un piano per recuperare gli errori fatti – Federazione Italiana Metalmeccanici

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Intervista al Segretario generale FIM Ferdinando Uliano

di Sara Martano

D – Uliano, la crisi dell’automotive in Italia è un argomento molto dibattuto da diverso tempo e il tema è spesso sotto la lente d’ingrandimento sia di studiosi che dell’opinione pubblica. Segretario secondo lei quali sono le ragioni di questa crisi?

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R-Questa crisi nasce da diversi fattori. Indubbiamente ci sono responsabilità dirette di Stellantis rispetto ad alcune strategie messe in atto sul piano degli investimenti: la mancanza di produzioni su piattaforma small con alti volumi o gli errori compiuti su Maserati. Alcune le abbiamo corrette imponendo ad esempio la produzione della 500 ibrida a Mirafiori e di ottenere la piattaforma small anche per l’Italia, la dotazione su tutti i prossimi modelli delle diverse motorizzazioni.  Ha certamente influito l’assenza, da molti anni, di una politica governativa di supporto al settore industriale in profonda trasformazione e i ritardi e i continui annunci sul lato degli incentivi al consumo. 

D – Quanto di tutto questo è da impuntare all’accelerazione sul fronte della transizione energetica da parte dell’Ue?

R– La tempesta perfetta è stata completata da una transizione ambientale forzata nei tempi in Europa, che non è stata accompagnata da sostegni e aiuti al settore industriale, alla rete d’infrastrutture e ai consumatori, determinando un problema enorme sul piano sociale. La scelta di stabilire l’obbligo della propulsione elettrica dei veicoli, abbandonando il principio della neutralità tecnologica, senza un forte supporto ai produttori e alle aziende della componentistica, ha dato un enorme vantaggio ai produttori cinesi, i quali, essendo partiti prima con lo sviluppo di questa tecnologia e godendo di aiuti di stato e da numerosi vantaggi relativi ai fattori di produzione (materie prime, terre rare, costo del lavoro e minori vincoli ambientali) stanno invadendo il mercato europeo grazie ad un surplus produttivo e a prezzi di vendita inferiori del 40%. Inoltre, in particolare nel nostro Paese, permangono tutta una serie di problemi legati all’infrastruttura di ricarica.

Di fronte al cambio del paradigma energetico definito dal Green Deal e dall’apertura di un orizzonte nuovo, la politica doveva adottare una normativa incisiva sul lato investimenti e più flessibile, considerando la tempistica in funzione della risposta del mercato e dei tempi necessari alla industrializzazione delle nuove tecnologie. Per di più, l’Unione Europea non ha finanziato in maniera sufficiente i fondi necessari alla riconversione ed oggi è costretta a fare un passo indietro.

D – Secondo lei gli investimenti effettuati dalle aziende del settore in Italia sono sufficienti?

R – Gli investimenti nel settore non sono stati sufficienti a garantire una tenuta industriale del settore e a limitare gli impatti di natura occupazionale.  Questo non significa che le imprese non abbiano investito ingenti risorse nella nuova tecnologia elettrica. Quello che è mancato è l’imprenditore istituzionale, Stato italiano ed Unione Europea, che doveva accompagnare e sostenere il processo di transizione. In Cina lo Stato ha svolto un ruolo determinante quando si è scelto di virare verso l’elettrico. Non è un caso che sia Draghi che il movimento sindacale europeo chiede un Fondo straordinario per salvare il settore dell’auto. Tornare indietro non è possibile è necessario un ulteriore impegno orientato al finanziamento della transizione green e digitale per non rendere vani gli investimenti fatti fino ad ora. Ora bisogna puntare ad eliminare le multe sul mancato raggiungimento dei mix di vendita tra motorizzazioni tradizionali e green, previste già dal 2025, predisporre ed orientare gli investimenti e scelte con maggiore attenzione alla sostenibilità non solo ambientale ma anche sociale, poi possiamo anche valutare le deadline temporali. Sarebbe un errore lavorare sullo spostamento dei tempi senza una necessaria politica di investimenti.

D -Dal punto di vista occupazionale quanto potrà incidere la crisi dell’automotive in termini di posti di lavoro?

R –Il Vecchio continente dal 2020 a oggi, ha perso già 186.000 posti di lavoro nel solo settore dell’automotive in particolare nella componentistica. Fin dall’inizio di questa vicenda, tutti sapevano che per costruire un’auto elettrica serviva circa il 30% in meno di lavoro. Questo perché il motore endotermico, rispetto alla propulsione elettrica, richiede una componentistica molto maggiore, che viene prodotta attraverso complesse lavorazioni meccaniche, di cui l’Italia è uno dei leader mondiali, con decine di aziende e migliaia di lavoratori. La crisi e il crollo delle richieste di mercato hanno fatto diminuire notevolmente i volumi di produzione e stiamo assistendo da ormai più di tre anni ad un crollo delle ore lavorate. E se non si procede con un piano straordinario su investimenti nelle tecnologie delle nuove motorizzazioni, non si potrà compensare queste perdite con nuove produzioni.

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D- Si parla in maniera sempre più concreta dell’ingresso dei cinesi nel mercato dell’auto in Italia? Secondo lei è una mossa che potrà risultare interessante?

R- Dai cinesi ci dobbiamo difendere. Il surplus produttivo che loro hanno, lo stanno utilizzando, abbattendo i prezzi di vendita, per conquistare fette di mercato importante nel nostro continente, con l’obiettivo di spazzare via l’industria dell’auto europea. In questa fase dobbiamo evitare nell’immediato le ricadute per chi lavora negli stabilimenti auto, ma ancor di più per i dipendenti della componentistica che subiranno effetti ancor più negativi per le forniture verso le case automobilistiche tedesche molto legate alla Cina. In questa fase servono anche barriere di protezione per fermare l’onda, ma ribadisco sono scelte temporanee e tampone, bisogna puntare su investimenti straordinari per recuperare il gap su tecnologie e prezzi.

D – Segretario, quanto incide oggi il costo del lavoro italiano o europeo rispetto a quello cinese?

R-In Italia abbiamo un costo del lavoro mediamente di 29 euro l’ora contro i 35 della Francia e i 44 della Germania ma non è l’elemento che rappresenta le maggiori criticità per le produzioni europee, i nostri costi sono legati molto di più al costo dell’energia e soprattutto alla componentistica soprattutto chip, software  e  costo delle batterie, cuore delle auto elettriche, che da noi a causa del costo delle materie prime è molto più alto mediamente 95 dollari a Kwh contro i 53 dollari al kWh di quelle cinesi.

D- Parliamo di Stellantis, dopo le dimissioni dell’Ad Carlos Tavares, qual è la situazione attuale? La produzione continua a scendere in molti stabilimenti italiani. Può farci un quadro?

R-Per il 2025 ci aspettiamo un andamento simile a quello dell’anno appena concluso che dal punto di vista delle produzioni e del lavoro, ha rappresentato il record negativo da più di mezzo secolo a questa parte. L’impatto dei nuovi modelli elettrici e ibridi che ci sono stati presentati si dovrebbe far sentire a partire dal 2026, gli investimenti anche sui modelli relativi più di largo consumo, ma certamente tutto dipenderà dalla risposta del mercato, rispetto al quale è molto difficile fare previsioni in questo momento. Stiamo spingendo a rafforzare in termini produttivi le prospettive per tutti gli stabilimenti. Il nostro obiettivo è la risalita produttiva per salvaguardare occupazione e stabilimenti, compresi quelli dell’indotto.

D – La situazione, in particolare della Maserati è molto critica. Sul fronte produttivo c’è un calo del 79%. Cosa si può fare al riguardo e quali sono le vostre sollecitazioni?

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R-Maserati rappresenta una delle situazioni maggiormente critiche (per usare un eufemismo), nonostante i modelli di qualità e con alte prestazioni il marchio sconta degli errori e delle leggerezze in termini di marketing. Maserati come Alfa Romeo richiederebbero dentro la galassia dei marchi Stellantis un maggiore attenzione sono prodotti che si rivolgono ad una clientela particolare che cerca attenzione oltre che alte prestazioni dei modelli. Da parte nostra abbiamo chiesto di anticipare l’avvio delle produzioni dei nuovi modelli e di investire di più. Non possiamo più perdere tempo, ma serve una strategia migliore che dia ai marchi il giusto valore e prestigio che meritano.

D – Altro nodo importante rimane il progetto della giga-factory di Termoli per la produzione di batterie. Durante l’ultimo incontro al Mimit non si è riusciti a fare chiarezza sul futuro dello stabilimento e per ora l’investimento risulta sospeso. E’cosi?

R-Purtroppo si. La joint venture ACC tra la holding automobilistica, Stellantis, Mercedes-Benz e TotalEnergies di Termoli doveva produrre batterie a partire dal 2026. Lo stop della giga-factory molisana per noi resta una questione imprescindibile che non possiamo perdere. Le batterie come abbiamo detto sono cuore della produzione dei veicoli elettrici, ma anche delle auto ibride. Se non si riavvia il progetto della giga factory, in prospettiva comprometterebbe tutto il settore nel nostro Paese.  Come sindacato stiamo facendo tutte le pressioni con Stellantis per un veloce riavvio di questo importante progetto. Bisogna ridare un futuro industriale ed una garanzia e sicurezza occupazionale ai lavoratori di Termoli e a tutto il settore automotive nazionale.

D Secondo lei quali sono gli interventi che il Governo dovrebbe mettere in atto per sostenere e valorizzare il settore?

R- Il Governo ha il merito di aver messo in piedi con il sindacato e tutti gli attori della filiera dell’automotive dei tavoli tematici in cui sono state fatte delle proposte rispetto agli interventi che bisogna portare avanti per dare al settore dell’auto una prospettiva. Alcune di queste proposte il governo le sta sostenendo anche in Europa, a partire dalla richiesta di anticipare la verifica delle multe sulla riduzione delle emissioni, fondamentale per evitare il tracollo di tutti i maggiori produttori europei.  Non servono certo i tagli al Fondo dell’Auto. Siamo riusciti a recuperare i fondi per il 2025, ma rimane il problema degli anni successivi. Questi fondi servirebbero per investire sulle infrastrutture per la mobilità elettrica, ma soprattutto  rivedere  accompagnare la riconversione all’elettrico con politiche di sostegno alle produzioni e non solo alla domanda come fatto fino ad oggi. Su questi aspetti, date le risorse necessarie quello che occorre maggiormente è un piano industriale condiviso in tutta Europa per sostenere – come abbiamo fatto insieme agli altri sindacati Europei il 5 febbraio scorso – l’intero settore dalla filiera della  componentistica, fino alle grandi aziende di assemblaggio- finanziando tutta una serie di misure utili a favorire le attività di ricerca, sviluppo e orientamento per le piccole imprese, la formazione dei lavoratori e l’introduzione di ammortizzatori sociali funzionali a tutelare gli organici nella specifica fase di transizione.

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