Per l’inclusione finanziaria in Italia resta ancora molto da fare

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Per vivere in modo pieno e dignitoso nella nostra società, i servizi finanziari di base sono indispensabili. Per ricevere lo stipendio serve un conto corrente in cui accreditarlo; per comprare casa o aprire un’attività in proprio serve un finanziamento; per tutelare la propria famiglia serve un’assicurazione; per pagare le bollette, la mensa scolastica o i tributi locali serve un qualsiasi servizio di pagamenti digitali. Inclusione finanziaria significa proprio questo: avere accesso, a costi e condizioni ragionevoli, a questi strumenti finanziari essenziali.

Ma in Italia questo diritto è garantito a tutti? E che ruolo ha il microcredito, strumento che nasce proprio per quei soggetti normalmente esclusi dalle consuete linee di credito bancario? A queste domande risponde il rapporto annuale nato dalla collaborazione tra Gruppo Banca Etica, C. Borgomeo & Co. e Rete italiana di microfinanza (Ritmi). La terza edizione, intitolata “Inclusione finanziaria e microcredito. Per un nuovo dialogo con i territori”, è stata presentata a Roma il 25 febbraio 2025.

In due anni 500mila famiglie hanno aperto un conto bancario o postale

Il rapporto si apre con un’ottima notizia sul fronte dell’inclusione finanziaria in Italia. Se all’inizio del 2020 c’erano 1,1 milioni di nuclei familiari privi di un conto corrente, di un deposito bancario o di un conto postale, all’inizio del 2022 queste famiglie erano poco meno di 600mila. Corrispondono quindi a circa 1,3 milioni di individui, contro i 2,3 milioni di appena due anni prima. Il passo avanti è tangibile. Ma le buone notizie finiscono qui.

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Permangono le differenze geografiche: su queste 600mila famiglie non bancarizzate, il 52% risiede al Sud Italia e un altro 20% nelle Isole. Nessuna risiede in In Trentino-Alto Adige e Valle d’Aosta. Per oltre tre quarti di queste famiglie il principale percettore di reddito è un individuo che non lavora; in un altro 22% dei casi ha un contratto da dipendente, mentre è rarissimo che sia un lavoratore autonomo. È anche estremamente comune (capita nel 77% dei casi) che i nuclei familiari non bancarizzati abbiano un reddito inferiore ai 17mila euro l’anno e che incontrino grosse difficoltà a risparmiare.

È raro che le famiglie a basso reddito chiedano un prestito ed è ancora più raro che lo ottengano. Sui quasi 3 milioni di richieste di finanziamento presentati tra il 2019 e il 2021, appena il 10% proveniva dallo scaglione di reddito più basso, per cui il tasso di rifiuto arriva al 30%. Basta salire di uno quintile di reddito, cioè tra i 17mila e i 26mila euro, per veder scendere al 13% il tasso di rifiuto. Guardando non al reddito disponibile ma alle fasce di età, si scopre che sono i giovani a fare più fatica a ottenere un prestito: al di sotto dei 34 anni il tasso di rifiuto è del 14%, contro il 4% nella fascia 45-64.

La desertificazione bancaria in Europa e in Italia

Per una famiglia, accedere al credito significa innanzitutto rivolgersi alla propria banca di fiducia, confrontarsi con l’operatore, valutare le varie opzioni e scegliere la strada percorribile. Ma le filiali bancarie, nei Comuni in cui vivono 4,4 milioni di cittadini e cittadine, non ci sono più. La desertificazione bancaria è un fenomeno che riguarda tutt’Europa. Delle 186mila strutture che erano aperte nell’area euro nel 2008, nel 2023 ne erano rimaste appena 106mila. Il che significa che si è anche passati da 2,24 milioni a 1,77 milioni di addetti.

L’Italia resta uno degli Stati con la maggiore quantità di filiali bancarie in rapporto alla popolazione (34 ogni 100mila abitanti, contro una media europea di 30), ma ha comunque visto il numero di sportelli contarsi di un quinto tra il 2019 e il 2023, con la perdita di 2.156 posti di lavoro. Nei primi nove mesi del 2024 altri 178 hanno chiuso i battenti. Di queste, in realtà, un centinaio ma sono state riconvertite in strutture dedicate esclusivamente al private banking, cioè alla consulenza personalizzata per clienti alto spendenti. Le filiali bancarie resistono soprattutto al Nord (il 57% del totale nazionale), così come i posti di lavoro: più di metà dei dipendenti lavora tra Lombardia, Piemonte ed Emilia-Romagna.

Certo, moltissime operazioni per cui un tempo ci si recava allo sportello oggi si possono eseguire comodamente attraverso uno smartphone. Ma l’internet banking vede ancora un’adozione molto parziale: in Italia si ferma al 51,5% degli utenti, contro una media europea del 63,9%. Ad avere difficoltà con gli strumenti digitali sono soprattutto gli anziani, il che fa temere che questo sia un ulteriore elemento di esclusione sociale. C’è da dire però che alcuni istituti hanno annunciato piani per l’apertura di nuove filiali.

Come cambia l’indice di inclusione finanziaria in Italia

Ciascuno di questi elementi, preso singolarmente, racconta una parte della storia. Per dare un quadro d’insieme, Banca Etica ha messo a punto l’indice di inclusione finanziaria, basato su due dimensioni. La prima è l’intensità creditizia, cioè il rapporto tra finanziamenti e Prodotto interno lordo. La seconda invece corrisponde alle condizioni di offerta del credito e si calcola valutando sia la presenza delle banche sul territorio, sia la loro propensione a erogare nuovi finanziamenti.

Il 2012 è considerato come l’anno di riferimento, con un valore fissato convenzionalmente a 100. E il 2022 si mantiene ben 8,4 punti al di sotto, segnando un record negativo dall’inizio di queste rilevazioni. Anche in questo caso ci sono forti differenze territoriali (una regione come la Lombardia raggiunge i 104,3 punti, la Basilicata non arriva a 66), ma è impossibile non notare come la curva dell’inclusione finanziaria sia in discesa in tutte le aree geografiche italiane.

«Un dato che non sorprende, d’altra parte, considerando gli eventi che hanno attraversato il periodo di rilevazione: dalla conclusione dei programmi di sostegno avviati durante la pandemia, agli impatti della guerra in Ucraina sul costo delle materie prime; sulla crescita dell’inflazione e le conseguenti politiche monetarie restrittive attivate da parte della Bce, che hanno così innalzato i tassi di interesse e, in sostanza, reso più oneroso l’accesso al credito», si legge nel rapporto.

L’inclusione finanziaria di donne e persone migranti

Quest’anno la ricerca include un approfondimento su due categorie: donne e persone migranti. Le donne non sono certo una minoranza sul totale della popolazione ma lo sono sul mercato del lavoro, perché il loro tasso di occupazione si limita al 56,2%, contro una media europea che supera il 70%. Sono una minoranza anche nei ruoli dirigenziali: appena il 29%, una percentuale che comunque è cresciuta negli ultimi anni. Anche sul fronte del rapporto tra donne e denaro c’è ancora molto da fare. In Italia, ancora oggi, il 37% delle donne non ha un conto in banca. Sui 474 miliardi di euro che sono stati prestati alle persone fisiche nel 2023, 216 miliardi sono andati ai finanziamenti cointestati, 165 agli uomini e appena 95 alle donne. Il che è paradossale, visto che sono mutuatarie più affidabili.

E i cittadini stranieri, quelli che non provengono dai Paesi industrializzati membri dell’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico)? Negli ultimi anni le banche si sono sempre più interessate a loro, anche offrendo servizi dedicati. Come risultato, la percentuale di stranieri titolari di un conto corrente è passata dal 61% del 2010 al 90% del 2020, salvo poi tornare indietro fino all’83% del 2022. In questi ultimi anni, segnati anche dalla crisi dei prezzi successiva alla guerra in Ucraina, due persone migranti su tre hanno dovuto intaccare i propri risparmi per far fronte alle spese ordinarie.

Quasi 300 milioni di euro erogati in un anno attraverso il microcredito

Dove non arrivano i servizi bancari tradizionali, subentra il microcredito. Sarebbe limitante descriverlo solo come l’offerta di piccoli prestiti: è un servizio che per sua natura si propone di migliorare l’inclusione finanziaria, perché si rivolge a soggetti ritenuti non bancabili, spesso senza richiedere loro garanzie patrimoniali. Oltretutto, questi programmi includono altri servizi non finanziari di ascolto, accompagnamento, formazione, monitoraggio dell’uso dei fondi concessi.

I dati del 2023, elaborati da borgomeo&co., vedono una crescita su tutti i fronti rispetto all’anno precedente. In Italia 127 soggetti hanno concesso microprestiti a 17.758 beneficiari (+13,4% sul 2022), con una media di 16.756 euro a prestito (+54%). Il loro ammontare complessivo supera quindi i 298 milioni di euro (+39,2%).

Tutto bene, quindi? Non esattamente, perché il microcredito può crescere soltanto se ci sono le condizioni giuste. Nel 2024 sono entrate in vigore le nuove norme sul microcredito produttivo che da un lato l’hanno reso più concorrenziale, per esempio elevando la durata massima dei prestiti da 7 a 10 anni, ma dall’altro lato impone requisiti piuttosto contraddittori sia per gli operatori sia per le imprese beneficiarie. Manca ancora all’appello una riforma del microcredito sociale, cioè quello destinato a persone e famiglie in difficoltà.

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