Benjamin Graham: il pensiero su junk bond e obbligazioni governative estere

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Benjamin Graham è stato uno dei più grandi economisti e investitori che la finanza mondiale abbia mai avuto nella sua storia. Ai suoi insegnamenti si sono ispirate icone del settore finanziario come Warren Buffett. Graham è stato il padre del value investing, ritenendo che ogni investitore debba rapportare il prezzo delle azioni al valore intrinseco delle stesse nelle sue scelte di portafoglio. Questa filosofia va seguita anche per altri asset come le obbligazioni. In tale contesto, l’economista ha visto sempre con occhio critico due tipologie di titoli a reddito fisso: i junk bond e le obbligazioni governative estere. Ecco cosa pensava.

 

Benjamin Graham e i junk bond

I junk bond – che Graham definiva obbligazioni second-grade per distinguerle da quelle first-grade, ossia di prima fascia – sono titoli che pagano cedole più alte rispetto a quelle di maggiore qualità, ma nascondono un rischio maggiore. Quest’ultimo sostanzialmente si concretizza nell’inadempienza dell’emittente al rimborso del capitale alla scadenza. Le obbligazioni per definizione non presentano il rischio di impresa, a differenza delle azioni. Si tratta infatti di un prestito e non di una partecipazione all’impresa. Se l’azienda che ha emesso le obbligazioni va male, è tenuta a pagare gli interessi espressi dalle cedole periodiche e a restituire l’importo nominale alla scadenza concordata. C’è tuttavia la possibilità che l’azienda vada in default. A quel punto, l’obbligazionista ha diritto a riavere indietro il denaro investito in rapporto a quanto rimane dopo la liquidazione dei beni aziendali. Se non rimane niente dopo aver espletato i pagamenti prioritari, non riceverà niente.

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I junk bond, tradotti letteralmente in obbligazioni spazzatura, sono titoli emessi da società che presentano un livello di rischio di mancata restituzione del capitale più elevato rispetto alle obbligazioni cosiddette “investment grade”. Quanto più nel tempo tale rischio si fa concreto, tanto più il valore di mercato di questi titoli scende. Graham riteneva che la frenesia degli investitori di andare alla ricerca di rendimenti elevati li rendesse miopi di fronte al rischio di perdere gran parte del capitale. A suo avviso, per valutare correttamente un’obbligazione e il rischio collegato, bisogna vedere quant’è il numero di volte in cui gli utili dell’azienda coprono gli oneri per interessi. Dalle sue ricerche scoprì che c’era una sproporzione elevata tra le obbligazioni first-rate e quelle second-grade, ovvero che quel numero era molto più elevato per le obbligazioni di qualità. Questo lo indusse a pensare che il gioco non valesse la candela riguardo l’avventurarsi nei titoli spazzatura.

Un investimento in questa tipologia di bond potrebbe aver senso solo se il prezzo di mercato è inferiore almeno del 30% rispetto al valore nominale, affermava Graham. Il motivo è che, nei periodi di crisi, o anche solo in una congiuntura sfavorevole del mercato, il prezzo dei junk bond è suscettibile di grandi variazioni. In questi casi è sempre possibile aspettare fino alla scadenza per ottenere il rimborso del capitale, sempreché l’azienda non fallisca prima. Ciò diventa però difficile quando la scadenza è molto lontana nel tempo. Tra l’altro, osservava Graham, acquistare obbligazioni second-grade a prezzi alti rende difficile gestire la situazione emotivamente quando si assiste a  un crollo repentino e diventa complicato mediare la situazione con altri acquisti a prezzi più bassi.

C’è da dire che ai tempi di Graham era molto difficile fare una diversificazione di obbligazioni spazzatura, in quanto non vi erano fondi che mettevano insieme una quantità tale di bond di questa tipologia in grado di abbassare il rischio generico di uno o più crolli. Oggi la situazione è cambiata e gli investitori hanno possibilità di diversificare che allora non esistevano.

 

Le obbligazioni governative estere

Benjamin Graham non amava nemmeno le obbligazioni governative estere. Anche perché in passato lavorò come agente obbligazionario a New York per conto di mutuatari giapponesi e quindi conosceva le trappole che possono nascondersi dietro i bond stranieri. Tuttavia, l’economista metteva l’attenzione soprattutto sulle obbligazioni di Paesi non stabili dal punto di vista politico ed economico, in quanto presentavano un rischio maggiore di non riuscire a regolare i propri impegni finanziari. Il motivo principale della riluttanza di Graham a investire in questi titoli stava nel fatto che, se sorgevano problemi con le obbligazioni estere, il proprietario dei titoli non avrebbe avuto mezzi legali o di altro tipo per recuperare il suo credito, o quantomeno la strada per farlo sarebbe stata molto complicata. Su questo aspetto, oggi è ancora così.

Inoltre, le obbligazioni di alcune nazioni a rischio che promettono rendimenti molto elevati possono avere oscillazioni talmente elevate da mettere a dura prova i nervi degli investitori. Benjamin Graham portava alcuni esempi al riguardo. Uno era quello dei titoli cecoslovacchi offerti per la prima volta negli Stati Uniti nel 1922 a 96,5 dollari, con un rendimento dell’8%. Per quanto il ritorno dell’investimento potesse risultare accattivante, il problema nacque da cinque decenni di valutazioni sulle montagne russe. La quotazione di questi titoli crebbe fino a 112 dollari nel 1928, per poi precipitare a 67,5 dollari nel 1932, recuperare a 106 dollari nel 1936, collassare a 6 dollari nel 1939, riprendersi a 117 dollari nel 1946, precipitare ancora a 35 dollari nel 1948 e finire a 8 dollari nel 1970. È chiaro che questo saliscendi fu molto condizionato dal periodo bellico, ma è solo uno dei tanti esempi utilizzati da Graham per far comprendere come le obbligazioni estere di Paesi a rischio possano sottoporre gli investitori a uno stress psicologico non indifferente.





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