Soluzioni innovative per una mobilità più sostenibile – Frontiere

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Favorire la mobilità sostenibile è tra le priorità dei policy makers, dalle amministrazioni comunali alle istituzioni nazionali ed europee. Uno studio del Politecnico di Milano, pubblicato sulla rivista internazionale Scientific Reports, risponde a quest’esigenza proponendo un sistema innovativo per la stima delle emissioni dei veicoli. Nello studio viene offerta una proposta concreta e centrata sul reale comportamento di guida, responsabilizzando il cittadino e coinvolgendolo attivamente nel processo di riduzione delle emissioni.

Lo studio An innovative virtual sensing system for the vehicle-centric evaluation of emissions in the sustainable mobility transition è stato condotto dai professori Silvia Strada e Sergio Savaresi del Dipartimento di Elettronica, Informazione e Bioingegneria, e da Antonio Pagliaroli, dottorando del medesimo Dipartimento.

Abbiamo chiesto ad Antonio di raccontarci in che modo il nuovo sistema di monitoraggio delle emissioni potrebbe cambiare il modello di mobilità che finora conosciamo.

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Antonio Pagliaroli

Qual è il percorso che ti ha portato a questa ricerca?

Tutto è partito dal mio progetto di tesi, sviluppato in collaborazione con UnipolTech, società di tecnologia del Gruppo Unipol. Allora non mi sarei mai aspettato gli sviluppi che questa ricerca avrebbe avuto in seguito. Lo studio, condotto con i professori Strada e Savaresi, è stato infatti presentato più volte alle amministrazioni comunali, tra cui quelle di Roma e Milano, alla Camera dei Deputati e alla Commissione europea in occasione di tavole rotonde.

Dopo la laurea triennale in Ingegneria Informatica e la magistrale in Computer Science and Engineering, ho continuato il mio percorso al Politecnico come assegnista, e ora come dottorando, presso il mOve, un gruppo di ricerca del Dipartimento di Elettronica, Informazione e Bioingegneria.

Di cosa si occupa il mOve?

Il mOve è un gruppo di ricerca nell’ambito dei sistemi di controllo elettronico applicati all’interno dei veicoli e tra i veicoli, dal controllo del telaio e del motore, all’ottimizzazione energetica e al coordinamento e controllo di flotte di veicoli. L’attività del gruppo si concentra principalmente sui veicoli a motore stradali e fuoristrada (automobili, motociclette, biciclette elettriche, trattori agricoli, treni, ecc.), senza però tralasciare i veicoli marini (navi di superficie e sottomarini). L’ampia varietà di mezzi e applicazioni favorisce un’intensa contaminazione di metodi, idee e tecnologie, contribuendo all’innovazione nel settore della mobilità, compresa quella autonoma.

Il PoliMOVE Autonomous Racing Team al Goodwood Festival of Speed 2024

Lo studio pubblicato su Scientific Reports propone un nuovo sistema di monitoraggio delle emissioni, basato sul comportamento reale di chi guida. Ci racconti come funziona?

Per effettuare le misurazioni, abbiamo sfruttato uno strumento Unipol che esiste già, senza dover utilizzare sistemi ad hoc. UnipolTech, infatti, installa sulle automobili assicurate una black box, con la funzione di monitorare la velocità e la posizione dell’auto. La black box è dotata di un GPS e di una IMU, che è un sensore inerziale che calcola accelerazioni e frenate brusche. Nello studio abbiamo inoltre tenuto conto delle informazioni relative al veicolo, che in genere vengono raccolte al momento dell’assicurazione (classificazione Euro, tipo di veicolo, marca e modello). Questo sistema utilizza quindi una strumentazione molto semplice, evitando così l’acquisto di dispositivi particolarmente costosi.

In particolare, abbiamo misurato i viaggi fatti da più di 8.000 automobili, calcolando la velocità media, la durata e la distanza del percorso, tenendo anche conto delle accelerazioni e delle frenate brusche, ovvero dello stile di guida. Una volta messi insieme i dati del veicolo con la misurazione dei viaggi, abbiamo costruito delle curve di consumo, che mostrano le emissioni di anidride carbonica (CO₂) e di ossidi di azoto (NOx).

Dallo studio emergono implicazioni concrete sia per le istituzioni che per il singolo cittadino. Come si pongono i risultati della vostra ricerca rispetto alle norme che generalmente vengono messe in atto per favorire la mobilità sostenibile?

Questo modello mette in condizione il cittadino di sapere quanto il proprio veicolo impatti sull’ambiente e di conseguenza di regolare il proprio comportamento di guida. I risultati dello studio possono rappresentare un valido strumento anche per i policy makers nell’ambito della mobilità sostenibile. Le politiche che vengono in genere messe in atto, ad esempio, dalle amministrazioni comunali, si basano sulla classificazione Euro; il modello suggerito propone di ampliare il sistema di limitazione per categorie di veicoli, tenendo conto del monitoraggio singolo delle emissioni e del comportamento reale di guida.

I risultati della ricerca potrebbero costituire un elemento in più in favore di quelle fasce di popolazione che, per fattori economici, non possono optare per un’automobile elettrica o ibrida. Tuttavia, rimane vero che la tipologia di auto influisce in maniera consistente sulle emissioni e pertanto il sistema di limiti legato alla classificazione Euro è comunque valido. Possiamo dire che la nostra ricerca amplia, grazie all’inserimento della componente del comportamento individuale, il sistema basato sulle limitazioni.

Prendendo l’esempio di Milano, che con le aree B e C mette in atto il consueto paradigma delle classi Euro, notiamo che ci sono dei movimenti anche in un’altra ottica; come, ad esempio, il progetto Move-In (Monitoraggio dei VEicoli INquinanti) che propone una soglia chilometrica in base alla classe Euro del veicolo e alla sua alimentazione (diesel o benzina).

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Facendo un’analisi personalizzata dell’impatto ambientale, avete individuato una “green speed”, ovvero la velocità che consente minori consumi e una riduzione delle emissioni. Quale sarebbe?

La “green speed” è a tutti gli effetti la velocità ottimale per un motore. A velocità elevate, la resistenza aerodinamica cresce, costringendo il motore a lavorare di più e a consumare maggiore energia. Dallo studio è emerso che otteniamo un funzionamento migliore del motore ad una velocità tra i 50 e i 70 km/h. La “green speed” è quella che normalmente teniamo nelle strade extraurbane, mentre nell’ambiente urbano il comportamento di guida è in genere più “aggressivo” sui pedali: continue frenate e accelerazioni, soprattutto se brusche, generano un maggiore impatto ambientale.

Continuerai a sviluppare questi temi di ricerca nel futuro?

Gli studi sulle emissioni sono di certo un trend in crescita, ma personalmente penso che sia importante concentrarsi maggiormente sui modelli di mobilità. Ad oggi, infatti, sto facendo ricerca su come la mobilità influisca non solo sul quantitativo di emissioni, ma anche sullo sviluppo delle città. In particolare, mi sto concentrando sui cambiamenti che le nuove tecnologie, dai veicoli elettrici a quelli a guida autonoma, apporteranno sulla quantità delle emissioni e sullo stile di vita di tutti noi. Queste nuove tecnologie potrebbero in futuro cambiare radicalmente non solo il nostro utilizzo dei veicoli in città, ma anche la conformazione della città, ad esempio con l’aumento di spazi pubblici.

La mia ricerca si sta quindi evolvendo in un contesto più ampio: è partita dallo studio delle emissioni e si sta sviluppando sui modelli di mobilità. Questo filone di ricerca mi sta dando molte soddisfazioni; c’è infatti un grande interesse anche da parte dei big player mondiali, soprattutto per quanto riguarda l’impatto dei veicoli autonomi sulla mobilità.

Cosa ti piace di più nella tua attività di ricerca?

Risponderò forse in maniera semplice, ma sincera: per me la cosa più importante è l’impatto reale di quello che faccio tutti i giorni. Mi piace il fatto che la mia ricerca non sia “pura”, ma applicata e che quindi possa dare un contributo alla realizzazione di qualcosa di tangibile.



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