Migranti, perché ora è il governo che rischia di violare la separazione dei poteri

Effettua la tua ricerca

More results...

Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors
Filter by Categories
#finsubito

Prestito personale

Delibera veloce

 


Il dibattito sulla gestione dei migranti e il caso Almasri monopolizzano o quasi da settimane, se non da mesi il dibattito pubblico, e danno forma concreta allo scontro tra governo e magistratura, già “animato”, sul piano “ideale”, dall’iniziativa riformatrice del ministro Nordio.

Da un punto di vista giuridico, la questione verte sulla separazione dei poteri e sulla legittimità delle scelte governative rispetto ai vincoli costituzionali e internazionali. Da una parte, la maggioranza di governo spinge per un rafforzamento della tutela statale, fino al superamento degli ostacoli posti dalle decisioni giudiziarie. Dall’altra, le opposizioni denunciano un utilizzo propagandistico della questione migratoria.

L’idea, ventilata nei giorni scorsi, di introdurre una norma ad hoc per impedire il trasferimento dei giudici delle sezioni specializzate sull’immigrazione nelle Corti d’appello ha rappresentato l’ulteriore tassello di una strategia che mira a rendere più agevole l’attuazione della praticità burocratica e le regole di salvaguardia dello Stato.

Microcredito

per le aziende

 

Tuttavia, questa ipotesi solleva enormi interrogativi di diritto costituzionale: l’articolo 104 della Costituzione sancisce l’indipendenza della magistratura da ogni altro potere, e la possibilità che il Legislatore intervenga per modificare la competenza – in corso d’opera – rischia di configurare un’interferenza sull’ordine giudiziario.

Il governo insiste sulla necessità di contrastare l’immigrazione illegale, accusando l’opposizione di polemiche sterili e ostilità pregiudiziale. Ma i numeri parlano chiaro: il piano dei trattenimenti in Albania – da “applicarsi”, almeno nella versione inziale del progetto, alle persone “intercettate” in mare prima ancora che raggiungano le coste del nostro Paese – sta mostrando tutte le proprie fragilità, mentre il dibattito pubblico si appiattisce su una propaganda securitaria che sembra più utile a mobilitare consenso che a risolvere realmente la questione migratoria. E il problema è ancora più profondo.

La gestione dei migranti in Albania, presentata inizialmente come un’innovazione in grado di risolvere il problema degli sbarchi attraverso una prospettata efficacia “dissuasiva”, si sta rivelando un’operazione costosa e inefficace. Questo modello si porrebbe in potenziale conflitto con l’articolo 10 della Costituzione italiana, che disciplina il diritto d’asilo e prevede che la condizione dello straniero sia regolata in conformità alle norme internazionali. L’accordo con l’Albania solleva dubbi sulla sua compatibilità con il principio di non refoulement sancito dalla Convenzione di Ginevra del 1951, che vieta il respingimento di richiedenti asilo verso Paesi in cui potrebbero subire persecuzioni o trattamenti inumani. Certo l’Albania non può essere considerata un Paese a rischio, ma c’è da chiedersi se di per sé il trattenimento in un Paese terzo di persone messesi in viaggio verso l’Italia, con conseguente limitazione della libertà personale imposta sempre sul suolo di quel Paese terzo, non configuri di per sé, seppur in modo paradossale, i rischi paventati dalla Convenzione di 74 anni fa.

Il governo continua a difendere il progetto, mentre le opposizioni lo attaccano definendolo uno spreco di risorse e un fallimento politico.

Il caso Almasri, inoltre, aggiunge un ulteriore livello di tensione e complessità giuridica. La decisione di rimpatriare l’ufficiale libico, nonostante le ombre sul suo passato, ha sollevato un vespaio di polemiche: l’opposizione accusa il governo di aver agito per convenienza, in violazione delle norme internazionali e della giurisprudenza consolidata della Corte di Strasburgo, mentre l’Esecutivo sostiene che il rimpatrio sia stato effettuato nel rispetto delle leggi nazionali ma, soprattutto, a tutela dello Stato, visto che si sarebbe evitata la permanenza, sul territorio italiano, di un soggetto pericoloso. Si è giustamente osservato: “E se fosse stato un terrorista, il rimpatrio sarebbe stato legittimo?”

Senza una valutazione approfondita delle responsabilità penali, si potrebbe configurare una violazione del principio del giusto processo e delle garanzie previste dall’articolo 3 della Convenzione europea dei Diritti umani, che vieta la tortura e i trattamenti degradanti. Ciò che emerge da questa vicenda è un uso strumentale delle politiche migratorie. La magistratura è accusata di ostacolare il governo in una gestione eticamente orientata alla sicurezza della Nazione; l’opposizione denuncia una deriva autoritaria. In mezzo restano i migranti, pedine di uno scontro che poco ha a che fare con la reale risoluzione dei problemi. La gestione della questione migratoria e il caso Almasri mettono dunque in evidenza la frattura tra i diversi attori politici e giuridici.

Alla luce di queste considerazioni, quali dovrebbero essere le priorità in una riforma delle politiche migratorie? È possibile conciliare efficacia delle misure di sicurezza con il rispetto dei diritti fondamentali dei migranti? Come evitare che la questione venga ridotta a uno strumento di scontro politico piuttosto che affrontata come un problema complesso e urgente da risolvere? Le domande, come sempre, sono tante, ma mancano le risposte concrete.

*Avvocato, direttore Ispeg

Finanziamenti e agevolazioni

Agricoltura

 



Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link