l’unicorno si nasconde nelle aree interne? • Secondo Welfare

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A San Venanzo, piccolo paese sulle colline umbre, la giornata di Consuelo Rellini inizia quasi sempre alle cinque del mattino. È l’unico momento della giornata in cui riesce a ritagliarsi del tempo per fare un po’ di sport. Poi sveglia la figlia Futura, che ha da poco compiuto i tre anni, per portarla alle otto all’asilo nido di questo Comune in provincia di Terni. Quindi, raggiunge a piedi lo studio dove lavora come architetta. “All’una vado a riprendere la bimba e la porto da mia madre, passo un po’ di tempo con lei, poi ritorno in ufficio fino alle 18”, racconta la giovane donna. “Nel frattempo, anche mio marito è tornato dal lavoro, talvolta usciamo per una passeggiata e concludiamo la giornata tutti assieme”, aggiunge.

Una quotidianità faticosa, come quella di tanti genitori lavoratori, ma anche soddisfacente. Nella quale gioca un ruolo fondamentale il nido di San Venanzo.

L’asilo comunale Stella Nascente è stato inaugurato nell’ottobre 2022 nell’ambito del progetto EpicoEmPowerment Internal area’s kids and COmmunity. L’intervento, sostenuto economicamente dall’impresa sociale Con i Bambini, ha come obiettivo incrementare le opportunità educative per la prima infanzia proprio nelle aree interne. Ma, nel caso di Rellini, ha avuto conseguenze positive anche sul bilanciamento tra vita e lavoro.

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Grazie al nido, infatti, la giovane donna sembra essere riuscita ad arrivare a quel traguardo che per molte madri lavoratrici è spesso irraggiungibile, come abbiamo raccontato nelle precedenti puntate della serie #ConciliazioneUnicorno. Rellini ci è riuscita in un piccolo Comune dell’Appennino umbro, in una di quelle aree interne lontane dai centri più grandi e i cui abitanti hanno maggiori difficoltà di accesso all’istruzione superiore, ai servizi per la tutela della salute e la mobilità. Condizioni che, sommate all’assenza di occupazione, alimentano lo spopolamento di queste zone.

Il caso felice ma isolato di San Venanzo

L’esperienza positiva di San Venanzo sembra però essere un caso isolato. L’Italia, infatti, soffre di una cronica carenza di asili nido: nell’anno scolastico 2022/2023 (l’ultimo per il quale Istat ha elaborato dati ufficiali) “i posti disponibili nei nidi, nelle sezioni primavera e nei servizi integrativi pubblici e privati hanno raggiunto sul territorio nazionale una copertura pari a 30 posti ogni 100 bambini residenti da 0 a 2 anni”, si legge nel reportI servizi educativi per l’infanzia in Italia”.

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Si tratta però di un dato medio e, in quanto tale, non permette di rilevare immediatamente le profonde disuguaglianze territoriali che caratterizzano il nostro Paese anche in quest’ambito. Guardando ai dati regionali,Istat evidenzia come la media dei posti disponibili tra pubblici e privati sia decisamente più bassa al Sud (17,3 su cento) e nelle Isole (17,8 su cento) rispetto al Centro (38,8), al Nord-est (37,5) e al Nord-ovest (35). Le distanze tra i vari territori sono ancora più evidenti se si osservano i dati per le singole regioni: Umbria (con 46,5 posti ogni cento bambini residenti), Emilia-Romagna e Toscana guidano la classifica. Con una disponibilità di posti tre volte superiore rispetto a quella di Calabria, Sicilia e Campania, ultima con il 13,2 per cento.

ll Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) avrebbe dovuto colmare questo gap territoriale, portando il tasso di copertura di ogni regione almeno al 15% e quello nazionale al 33%, in linea con gli obiettivi Ue stabiliti nel 2002 (e che l’Italia avrebbe già dovuto raggiungere nel 2010). L’anno successivo all’approvazione del PNRR però, l’Unione Europea ha stabilito un nuovo e più ambizioso traguardo: 45 posti ogni cento bambini entro il 2030.

Una missione molto difficile da completare per il nostro Paese, a maggior ragione osservando l’evoluzione del Piano nazionale di ripresa e resilienza in questo ambito.

Il target fissato inizialmente dal Governo, infatti, era di realizzare oltre 264.000 posti con un investimento complessivo di 4,6 miliardi di euro, ma dopo la revisione di fine 2023 l’obiettivo è sceso a 150.000 circa. Le risorse europee, pur restando la principale fonte di finanziamento, sono state ridotte a 3,24 miliardi di euro e integrate con fondi nazionali.

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Ma il rischio è di non farcela nemmeno così.

Secondo un recente studio dell’Ufficio parlamentare di bilancio, a inizio dicembre 2024, i progetti censiti erano 3.199 e i fondi effettivamente utilizzati ammontavano a 816,7 milioni di euro: un dato ben distante dal cronoprogramma finanziario del PNRR, secondo cui la spesa avrebbe già dovuto superare la metà delle risorse stanziate. E a venire penalizzati sembrano essere soprattutto i centri più piccoli, solitamente situati nelle aree interne.

La quasi totalità dei Comuni con meno di 500 abitanti, secondo lo studio, allo stato attuale resterebbe priva di asili nido. E più in generale l’81,4% dei territori che non avevano una struttura di questo tipo prima dell’approvazione del PNRR continuerebbe a non averla.

“Complessivamente – conclude l’Ufficio parlamentare di bilancio – la piena realizzazione degli interventi del PNRR sugli asili nido ridurrebbe i divari tra le regioni meridionali e quelle del Centro-Nord ma aumenterebbe le disuguaglianze nell’offerta di questi servizi pubblici all’interno delle regioni stesse”.

Senza asili né lavoro, il dilemma delle aree interne

I nidi non sono solo una questione educativa. I territori con meno servizi per l’infanzia sono anche quelli con una minore occupazione femminile, e viceversa. È un circolo vizioso che si auto-alimenta, sottolinea Antonia Labonia, pedagogista e presidente del Gruppo nazionale nidi e infanzia. “L’esperienza di questi anni ci dice che dove un servizio è presente ne aumenta la richiesta da parte delle famiglie. E questo vale anche per i nidi: se non c’è offerta non c’è nemmeno domanda da parte di chi ne avrebbe bisogno, che si organizza diversamente per trovare altre soluzioni”, spiega l’esperta.

L’esperienza del nido di San Venanzo nasce anche per spezzare questo circolo vizioso. “Anche qui fino a una ventina d’anni fa si diceva che i nidi non erano necessari, perché le neo-mamme stavano a casa”, ricorda Emanuela Castorri, coordinatrice del servizio per la cooperativa sociale di Orvieto Il Quadrifoglio.Per cambiare questa visione abbiamo svolto un lavoro di sensibilizzazione culturale e avviato sperimentazioni in alcuni Comuni: l’attivazione dei primi nidi e l’esperienza positiva delle prime famiglie ha fatto aumentare la richiesta da parte di altri genitori. E così i servizi sono cresciuti in risposta ai bisogni emergenti”, spiega.

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Il circolo vizioso, dunque, si può spezzare.

Aree interne, conciliazione possibile?

Durante il primo anno scolastico, le iscrizioni al nido Stella Nascente sono state 7. Nel secondo sono state 12 mentre per l’anno in corso sono 11: tra cui un bambino proveniente dal vicino Comune di Marsciano e il figlio di una coppia che si è trasferita appositamente a San Venanzo da Roma. Quasi tutte le famiglie, spiega Castorri, hanno fatto ricorso al nido anche in un’ottica di conciliazione.

Chi sceglie il tempo pieno può portare i bambini dalle 8 del mattino alle 15.30 e usufruisce anche del servizio mensa. I pasti sono compresi nella retta che, per la fascia di reddito più elevata (con un Isee superiore a 22.000 euro), ammonta a circa 250 euro al mese. Una cifra che può ridursi considerevolmente grazie al bonus nido erogato dal Governo.

Anche l’aspetto economico, infatti, ha un peso importante sulla possibilità dei genitori di fare ricorso al nido come strumento di conciliazione. Come ha rilevato un’inchiesta realizzata da Altroconsumo a inizio 2024 in otto grandi città, il costo della retta può raggiungere facilmente cifre elevate sia nel pubblico (500 euro circa a Milano e Torino per una famiglia con un Isee da 30.000 euro) sia soprattutto nelle strutture private (circa 600 euro a Roma, 580 euro a Bologna, 667 euro a Torino e quasi 800 euro al mese a  Milano). Cifre spesso insostenibili, che in diversi casi  spingono le donne – solitamente più precarie e meno pagate rispetto ai partner – a rassegnare le dimissioni per prendersi cura dei figli.

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Nelle aree interne, come mostra il caso di San Venanzo, i costi sono invece decisamente inferiori. A condizione che i nidi ci siano. E che si riesca ad affrontare il problema degli spostamenti, soprattutto nei Comuni con territori più vasti e meno serviti. Istat rileva che, tra le motivazioni della mancata iscrizione dei figli al nido, il 4% dei genitori indica come motivazione la distanza dalla struttura, ma si tratta di un dato nazionale che è verosimile ipotizzare pesi molto di più fuori dalle città.

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Come a Gioi, per esempio, un Comune di appena 1.000 abitanti nell’area interna del Cilento, in provincia di Salerno. Anche qui, come a San Venanzo, nell’ambito dello stesso progetto Epico, è stato aperto un nuovo asilo nido, nel novembre 2022. E per affrontare il tema delle distanze, fin dall’inizio è stato previsto l’acquisto di un pulmino appositamente attrezzato con seggiolini che permettono il trasporto in sicurezza di bambini così piccoli.

“La spesa per l’acquisto del mezzo è stata sostenuta direttamente dal Comune, che ce lo ha affidato in comodato d’uso”, spiega Imma d’Auria, responsabile della cooperativa La Sirenetta che gestisce il nido. “Oltre a venire incontro alle esigenze dei genitori, questo ci ha permesso di allargare il bacino d’utenza e ha portato qualche bambino residente in altri Comuni a iscriversi da noi”, aggiunge.

Le famiglie sembrano apprezzare: ad oggi tutte usufruiscono del servizio di trasporto.

Il secondo welfare e i bisogni emergenti

A San Venanzo, invece, Consuelo Rellini continua ad accompagnare lei la figlia al nido. Ma è comunque contenta. Il fatto che Futura la figlia frequenti un buon asilo, con educatrici qualificate, opportunità di crescita e momenti di gioco rappresenta per la donna un bellissimo regalo”.

Se non avesse avuto questo servizio, la sua quotidianità sarebbe stata molto diversa: rinunciare al lavoro non è mai stata un’opzione, ma non avrebbe voluto nemmeno sacrificare l’opportunità offerta da un nido. “Sono convinta che stare insieme ad altri bambini sia un’occasione di crescita importante. Probabilmente, nella speranza di essere presa, avrei presentato domanda d’iscrizione a Marsciano”, dice riferendosi a un Comune più grande a una decina di chilometri di distanza.

Per sua fortuna, invece, la nuova struttura è vicina a casa e di qualità, a suo giudizio. “Mi confronto spesso con gli altri genitori, siamo tutti molto contenti”, dice. Ora che il progetto sostenuto da Con i Bambini si sta concludendo, l’obiettivo dovrebbe essere quello di affidare la gestione del nido dalla cooperativa al Comune, “per lasciare questo servizio sul territorio in maniera stabile, spiega la coordinatrice Emanuela Castorri.

Se il passaggio di consegne all’istituzione pubblica andrà a buon fine, si tratterà di un esempio di collaborazione virtuosa tra primo e secondo welfare, con gli attori di quest’ultimo capaci di innescare un cambiamento reale.

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“I finanziamenti sono importanti, ma non sono tutto”, riflette Labonia, Presidente del Gruppo nazionale nidi e infanzia. Nell’ambito delle iniziative di Con i Bambini, al Terzo Settore infatti è affidato il compito di sostenere i Comuni nella promozione di questo servizio “dando sostegno organizzativo, gestionale e pedagogico, facendo emergere un bisogno che spesso non viene nemmeno riconosciuto perché in quel territorio un nido non c’è mai stato”. E, per garantire che i nidi avviati non vengano chiusi con la fine delle sperimentazioni, il coinvolgimento delle istituzioni locali è importante fin dai primi passi: “Devono farsene carico, per innescare un vero cambiamento e per evitare che, dopo l’entusiasmo iniziale, il nido venga chiuso davanti alle prime difficoltà. Certo, il tema economico è rilevante: questi sono servizi i cui costi di gestione del personale ricadono interamente sui Comuni”, continua Labonia.

Fare rete e creare nidi sovra-comunali che accolgono i bambini di più territori limitrofi è sicuramente una strategia utile ad abbattere i costi per i Comuni. Ma Labonia insiste sul fatto che la sostenibilità dei nidi è legata essenzialmente a scelte a livello nazionale: “occorre riconoscere che i servizi per la prima infanzia sono fondamentali: se da un lato è vero che sono costosi, dall’altro questa spesa è in realtà un investimento sul benessere dei bambini”. E anche sui genitori, per quanto riguarda la conciliazione vita-lavoro.

A San Venanzo, il Comune sembra averlo capito. “Il nido è un servizio su cui puntiamo molto per cercare di far restare le coppie più giovani e contrastare spopolamento e denatalità”, spiega il sindaco Marsilio Marinelli.

Il ruolo (e i soldi) dei Comuni

Con il prossimo anno scolastico, si concluderà il triennio di sperimentazione del progetto Epico e, con esso, il finanziamento erogato da Con i Bambini, ma la giunta di Marinelli ha deciso che la gestione dell’asilo resterà alla cooperativa Il Quadrifoglio. “Per il prossimo anno metteremo a bilancio 90.000 euro per garantire il funzionamento”, aggiunge il sindaco. Si tratta di una somma importante per un Comune di piccole dimensioni, che verrà coperta con risorse sia comunali sia statali. È previsto, però, anche un aumento delle rette. Il contributo delle famiglie “andrà adeguato nei prossimi mesi, ma faremo in modo che resti sostenibile”, promette Marinelli.

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Il tema dei costi di gestione vale anche per i nuovi posti nido che verranno creati grazie al PNRR. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza finanzia le strutture, ma tocca ai Comuni mettere le risorse per farle funzionare.

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A tale scopo, come spiega nel dettaglio un articolo de lavoce.info, è stato creato il Fondo di solidarietà comunale (Fsc), “con uno stanziamento di risorse via via crescenti, dal 2022 al 2027” che, però, “non sempre consentiranno di assicurare la gestione dei nuovi posti”. Il tema è stato sollevato anche dall’ANCI, l’Associazione nazionale comuni italiani che, in un comunicato, ha chiesto al Governo rassicurazioni “sulle risorse finanziarie che consentiranno ai Comuni di poter gestire le strutture che saranno realizzate e garantire l’apertura”.

Come insegna la storia di San Venanzo e di Consuelo Rellini, la ricerca dell’unicorno conciliazione per i genitori delle aree interne d’Italia passa anche da questi fondi.

Foto di copertina: Gabriella Clare Marino, Unsplash.com





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