La Legge toscana sul “Fine vita”

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Alfredo Zuppiroli

Paradossalmente, a chi versa in condizioni di sofferenza estrema e chiede quell’aiuto medico a morire che viene negato per colpa dello stallo legislativo nazionale, può restare un’unica possibilità alternativa al mantenimento in vita, subito ormai come una tortura: quella di suicidarsi, se ne è capace, in modo violento, con le conseguenze per chi resta facili da immaginare. Anche a questo la legge della Toscana tenta di opporsi.

Modalità organizzative per l’attuazione delle sentenze della Corte Costituzionale 242/2019 e 135/2024”: così s’intitola la legge approvata dal Consiglio Regionale della Toscana l’11 febbraio 2025. Fin dal titolo si comprende facilmente come con questa legge non si sia assolutamente introdotto un “diritto di morire” ma si sia piuttosto approvata una procedura che individua concretamente tempi, luoghi, modalità di una serie di azioni che si rendono necessarie per dar seguito alle due sentenze della Corte Costituzionale.

È infatti dal lontano 2019 che la prima delle due sentenze ha definito chiaramente il caso in cui l’incriminazione dell’aiuto al suicidio viene ritenuta non conforme al dettato costituzionale: si tratta dei casi in cui una persona pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli sia tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e sia affetta da una patologia irreversibile e fonte di intollerabili sofferenze fisiche o psicologiche. Nella stessa sentenza, inoltre, si legge che “la verifica delle condizioni che rendono legittimo l’aiuto al suicidio deve restare peraltro affidata – in attesa della declinazione che potrà darne il legislatore – a strutture pubbliche del servizio sanitario nazionale. A queste ultime spetterà altresì verificare le relative modalità di esecuzione, le quali dovranno essere evidentemente tali da evitare abusi in danno di persone vulnerabili, da garantire la dignità del paziente e da evitare al medesimo sofferenze”. Tale sentenza non solo dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 580 del codice penale, nella parte attinente alle ben precise condizioni che abbiamo visto, ma ci ricorda anche nel dispositivo: “sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente”.

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Di questo, dunque, e non di altro, tratta la legge regionale toscana appena approvata, cioè di quelle “modalità di esecuzione” dell’aiuto medico al suicidio che finora erano rimaste in una terra di nessuno.

È accaduto infatti che un’azienda sanitaria abbia dovuto mettere in atto tutta una serie di procedure per verificare che la persona che aveva chiesto di essere aiutata a suicidarsi rientrasse in quei famosi quattro requisiti per cui chi l’avesse aiutata a realizzare il proposito non sarebbe stato perseguibile penalmente, e poi si lasciasse questa stessa persona a sé stessa, negandole nel Servizio Sanitario pubblico le “modalità di esecuzione” necessarie. A questo vuoto di tutela, e non ad altro, ha risposto il Consiglio Regionale della Toscana approvando la legge in questione.

Come purtroppo accade in questi frangenti, si è scatenata una polemica mediatica a colpi di slogan ed anche di false notizie, che certamente non contribuisce a fare chiarezza sul tema ed anzi accresce nei cittadini la confusione. Come spesso accade in Italia nei dibattiti sui grandi temi etici, prevale la logica degli schieramenti, in una spirale di invettive nei confronti dell’avversario più consona alle squallide manifestazioni cui si assiste negli stadi. Sembra di essere tornati al primo decennio di questo secolo, alla dolorosa vicenda di Eluana Englaro, come se accostarsi a certe condizioni di sofferenza estrema non richiedesse invece umiltà, delicatezza, pudore, quella pietas così ben richiamata da Giuliano Amato nella sua introduzione al documento del Cortile dei Gentili sul suicidio medicalmente assistito: “Ci ha unito il rispetto degli uni per i principi degli altri, e quindi, qui, il rispetto da un lato per l’indisponibilità della vita, dall’altro per l’autodeterminazione. Ma ciò che ci ha consentito di procedere in una ricerca comune non è stato il tentativo di metterli teoricamente d’accordo. È stata la comune volontà di non metterli esplicitamente in campo davanti a circostanze nelle quali dominante era ed è per tutti noi un fortissimo e fortemente condiviso fattore comune: la pietà umana, che è insieme sentimento di solidarietà e fonte di azione solidale…solo quando queste condizioni raggiungono un determinato livello e tutte insieme sono in grado di convincere il malato che la sua vita in realtà è finita, che i suoi giorni futuri sono solo giorni di attesa sofferente della morte, che nessun progetto gli è più possibile se non quello di resistere, se ci riesce, alla sofferenza, solo a quel punto la sua richiesta di pietà, se arriva, riesce a diventare ineludibile, al di là dei principi…è questione di circostanze, non di principi[1].

Ed è proprio sulle circostanze che si è pronunciata la Corte Costituzionale con le due sentenze: la 242/2019 ha delimitato il campo alle quattro condizioni già citate, la 135/2024 ha voluto chiarire che la nozione di “trattamenti di sostegno vitale” deve essere interpretata come tutti quei trattamenti praticati sulla persona, indipendentemente dal loro grado di complessità tecnica e di invasività, non necessariamente compiuti da personale sanitario, ma anche da familiari o caregiver che assistono il paziente, sempre che la loro interruzione determini prevedibilmente la morte del paziente in un breve lasso di tempo. Si comprende facilmente come con queste parole si sia voluto evitare il rischio di interpretare i trattamenti di sostegno vitale come soltanto quelli, ad esempio, caratterizzati dall’uso di macchinari, con le conseguenti disparità delle persone nei confronti dell’articolo 3 della Costituzione, che ci vede tutti uguali davanti alla legge indipendentemente dalle “condizioni personali”. Ancora, questa sentenza è importante perché ha voluto ribadire “con forza l’auspicio, già formulato nell’ordinanza n. 207 del 2018 e nella sentenza n. 242 del 2019, che il legislatore e il servizio sanitario nazionale intervengano prontamente ad assicurare concreta e puntuale attuazione ai principi fissati da quelle pronunce, oggi ribaditi e ulteriormente precisati dalla presente decisione”: è di questa attuazione, auspicata fortemente dalla Consulta, che la Regione Toscana si è voluta far carico, nelle more di uno stallo legislativo che, come ricordato dalla stessa Consulta, dura ormai dal 2018!

Nello scomposto dibattito che ha accompagnato l’approvazione della legge regionale toscana ci è capitato di leggere invocazioni ad investire sulle cure palliative come alternativa alle richieste di aiuto medico al morire. Non si vuole ovviamente difendere una cultura ed una conseguente prassi medica e sanitaria che continuano a confinare le cure palliative nell’area residuale degli ultimi giorni, se non delle ultime ore di vita, oppure ricorrendo loro solo per il trattamento del dolore nei pazienti oncologici: i periodici approfondimenti che sul tema l’Agenzia Regionale di Sanità della Toscana produce dal 2017 disegnano uno sconfortante quadro di sottoutilizzo delle cure palliative[2]. Ma, quand’anche le cure palliative fossero realmente disponibili, e precocemente, per tutti gli ammalati che ne avessero bisogno, il recente documento del gruppo di lavoro “Per un Diritto Gentile” ci spiega come le cure palliative riducano, ma non annullino, le richieste di aiuto medico al morire:L’esperienza clinica e i dati scientifici mettono però in evidenza come una minoranza delle persone in fase avanzata e terminale di malattia (4-10% dei decessi totali) non trovi una risposta adeguata nell’offerta e nella pratica delle cure palliative. In questi casi, il reale bisogno e la correlata volontà del paziente sono di anticipare la morte, non trovando nelle cure palliative un adeguato controllo della sofferenza (principalmente di natura psico-esistenziale) e, soprattutto, non trovando un senso, un valore e una dignità nel percorrere la fase finale della malattia in attesa della morte. Le cure palliative, che per definizione non anticipano né ritardano la morte, non sono in grado di rispondere a queste richieste. Ne è prova il fatto che nei Paesi in cui l’aiuto medico al morire è legalizzato, la maggior parte delle persone che formulano una richiesta di aiuto medico al morire o la attuano sono state precedentemente assistite dalle cure palliative[3].

Non solo, dunque, è inaccettabile invocare le cure palliative come alternativa al suicidio medicalmente assistito, ma è anche sorprendente continuare a leggere stizzose invettive contro la “cultura dello scarto” nei confronti dei più deboli. Si veda in proposito la letteratura scientifica, che ci dimostra come le persone che più ricorrono al suicidio medicalmente assistito ed all’eutanasia siano le più ricche, le più istruite e vivano in contesti in cui l’assistenza sanitaria e la democrazia liberale funzionano bene, mentre vi ricorrono meno i più fragili dal punto di vista sociale, economico e culturale[4]. Sempre nello stesso studio si legge che la religione dominante gioca un ruolo significativo: i Paesi a maggioranza musulmana sono generalmente meno favorevoli, mentre quelli a maggioranza protestante mostrano maggiore apertura, con i Paesi a maggioranza cattolica in una posizione intermedia. Anche i fattori etnico-linguistici giocano un ruolo, se nel Belgio fiammingo si ricorre alla morte medicalmente assistita in una percentuale doppia rispetto al Belgio vallone, così come nella Svizzera tedesca e francese l’incidenza è maggiore rispetto alla Svizzera italiana. Anche nel Regno Unito è in atto un acceso dibattito sul tema: “per le persone meno abbienti la combinazione tra servizi di assistenza sociale inadeguati e quadri giuridici restrittivi per il suicidio assistito spesso lascia loro poche opzioni per alleviare la sofferenza. Tali disparità riducono l’autonomia nel processo del morire a un privilegio dei ricchi, togliendo a molti la dignità di poter scegliere”[5].

In conclusione, voglio richiamare le opportune considerazioni di Luciano Orsi, uno dei padri delle cure palliative in Italia, nel documento già citato del Cortile dei Gentili: “il paradigma dell’aiuto medico al morire può apparentemente essere visto di segno opposto rispetto alla tradizione culturale di tutela della vita biologica che ha sin qui improntato la medicina e orientato l’organizzazione sanitaria. Esiste però una visione alternativa che deve essere presa in attenta considerazione … la transizione epidemiologica verso le patologie cronico-degenerative, la transizione demografica (allungamento della vita media) e il potere tecnologico della medicina hanno creato situazioni avanzate o terminali di malattia che la persona può vivere con estrema sofferenza e senza trovarvi un senso esistenziale. Di qui la richiesta di anticipare la propria morte. Nel momento in cui anche l’anticipazione della propria morte diventa un bisogno di una persona malata cui la medicina e la correlata organizzazione sanitaria non possono evitare di rispondere, allora il paradigma dell’aiuto medico al morire può rientrare nella tradizione culturale visto che la cura è l’essenza più profonda e originaria della pratica sanitaria. La morte medicalmente assistita può quindi essere vista, non solo e semplicemente come una manifestazione di autodeterminazione individuale ma anche e soprattutto come una nuova forma più estensiva di risposta ai bisogni e alle sofferenze che si mantiene all’interno di una relazione di cura e di fiducia tra persona malata e curanti1.

Paradossalmente, a chi versa in condizioni di sofferenza estrema e chiede quell’aiuto medico a morire che viene negato per colpa dello stallo legislativo nazionale, può restare un’unica possibilità alternativa al mantenimento in vita, subito ormai come una tortura: quella di suicidarsi, se ne è capace, in modo violento, con le conseguenze per chi resta facili da immaginare. Anche a questo la legge della Toscana tenta di opporsi.

 

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Alfredo Zuppiroli, già Presidente della Commissione di Bioetica della Regione Toscana.

 

Riferimenti

[1] https://www.cortiledeigentili.com/dialogo-sul-suicidio-medicalmente-assistito/

[2]https://www.ars.toscana.it/images/pubblicazioni/Collana_ARS/2022/Documento_ARS_118/Interno_Cure_palliative_agosto_2022_ok.pdf

[3] https://www.dirittogentile.it/wp-content/uploads/2025/02/2025-10.2.DirittoGentileMemoriaPdLToscana5.2025.pdf

[4] Asher DC, Dalla-Zuanna G. Data and Trends in Assisted Suicide and Euthanasia, and Some Related Demographic Issues. https://doi.org/10.1111/padr.12605

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[5] Rees C, Maduagwu C, Iqbal H, Badrinath P. Inequity Even in Death – The Role of Assisted Dying https://www.bmj.com/content/387/bmj.q2691/rapid-responses

 



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