L’autonomia lecchese e il nodo di colico

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Torna in pista la lecchesità che non è la Ferrari di Hamilton e neppure la banda che suona la solita musica (con me compositore) tra cortili, campanili, contrade, bensì un patrimonio identitario da difendere dai refoli e dagli spifferi che provano a spingere il nostro territorio verso la marginalità.

Per intenderci, nessuna sindrome da accerchiamento, assedio, neocolonialismo, semmai la percezione di tentativi sia pure sporadici e estemporanei, di ridurre il nostro peso specifico in questo quadrante strategico della Lombardia.

Qualche indizio, sparso qua e là, non costituisce prova di reato in corso, ma alimenta il sospetto di essere il bersaglio di frecciate e provocazioni che è meglio respingere al mittente con pacata ragionevolezza prima di scadere in schermaglie faziose e dannose in tempi di diffusa fragilità istituzionale, sociale ed economica.

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Da Como il funambolico sindaco Alessandro Rapinese ha lanciato un’Opa sulla Provincia di Lecco con il proposito di annetterla al suo ramo del Lario, calpestando, a sua insaputa, la lunga e faticosa marcia che ha condotto all’autonomia, raggiunta proprio trent’anni fa.

L’ambizione poggia sulle sabbie mobili che già rendono instabili e precarie le due Provincie, vittime di uno dei capolavori di Matteo Renzi che quando ne era alla guida a Firenze ne magnificava il ruolo essenziale e le future sorti. Poi si è messo a giocare a bowling con gli articoli della Costituzione, trattati come birilli, finendo bocciato lui per primo.

L’obiettivo sarebbe quello di contare di più, ma, a parte il merito della questione, è certamente il metodo a vacillare. Al netto dello sgarbo istituzionale, con una proposta che è spuntata senza una minima e doverosa informazione degli attori coinvolti, se la cifra deve essere quella “muscolare” di un tot numero di abitanti per poter fare la voce grossa, siamo davvero messi male come approccio e stile.

Lasciando perdere territori modesti e tuttavia fortemente competitivi come le Provincie autonome di Trento e Aosta, suggerisco, non dico di leggere, ma almeno di sfogliare i rapporti di Censis e Istat e anche i lavori del sociologo valtellinese Aldo Bonomi che mirano a valorizzare la capacità dei piccoli territori di essere attivi su piattaforme mondiali competitive, unendo gli ingredienti di una economia dinamica, infrastrutture non solo materiali, capacità istituzionale di fare sintesi.

Il pensiero corre ai distretti industriali, commerciali, turistici che non pagano dazio per i confini amministrativi ristretti, ma al contrario traggono la forza per reggere una sana competizione e proporre un prodotto migliore.

L’altro fatto offertoci dalla cronaca e più insidioso per Lecco è l’avvio di una proposta di distacco del Comune di Colico dalla Provincia di Lecco per unirsi a Sondrio.

Credo di essere, nella partita, l’arbitro più neutrale in campo, considerando che da lecchese doc reputo la Valtellina la mia seconda patria, professionale e antropologica, terra di un decennale esercizio con penna e microfono e soprattutto di relazioni, quelle che mi hanno lasciato in eredità fior di conoscenze e profonde amicizie.

Il nostro giornale, come sempre, si è incaricato di seguire i passaggi istituzionali di questa impennata che ha già generato dissenso anche all’interno di forze politiche dello stesso schieramento.

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In attesa dei risultati dello studio commissionato per suffragare l’illuminazione mi permetto di osservare, terra terra, che il distacco da Lecco potrebbe togliere ai colichesi opportunità già vissute e collaudate a partire dalla sanità, dalla formazione, dalla ricerca, per tacere di un sistema economico multidisciplinare con una presenza manifatturiera di qualità.

Il terzo malumore territoriale va ascritto alla fatica, se non riluttanza, di parte della Brianza di riconoscersi nell’ente provinciale.

Se la sanità è una sorta di eterna incompiuta, con l’ospedale Manzoni e il Mandic non sempre sintonizzati sulla stessa lunghezza d’onda, i collegamenti precari e complicati dei trasporti pubblici, le connessioni con l’area urbana, le eccellenze imprenditoriali più tentate di guadare verso Monza e Milano, aprono un varco che sa di allontanamento dal capoluogo lecchese, pur distante solo venti chilometri.

Se poi buttiamo l’occhio sul dramma, sì dramma, dei due ponti di Brivio e Paderno da rifare, e li collochiamo nella prospettiva di aeroporti e autostrade, rischiamo che il pessimismo surclassi l’ottimismo della buona volontà.

Abbiamo ragione di credere che nell’agenda della presidente della Provincia, Alessandra Hofmann, questi nodi politici e istituzionali siano in bella evidenza e contiamo anche che il clima evocativo e rigenerante del trentennale produca per le sponde del lago e dell’Adda lo stesso effetto che il Nilo produce sulle sue rive quando esonda.

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