La siderurgia italiana è la seconda più grande d’Europa e la prima per produttività del lavoro. Ma le criticità non mancano, tra crollo della produzione di acciaio primario e dipendenza dall’estero. Cosa dice lo studio di Cassa depositi e prestiti.
L’industria siderurgica italiana è la seconda più grande d’Europa, dopo quella tedesca, e l’undicesima a livello mondiale. Con un valore aggiunto per addetto di 135.600 euro, può esibire il livello di produttività del lavoro più alto tra i paesi europei, davanti a Spagna (125.800), Francia (125.600) e Germania (101.000). Non mancano, tuttavia, gli elementi di debolezza, a cominciare dagli alti costi dell’energia dalla bassa produzione di acciaio primario, quello ottenuto dal minerale di ferro, una condizione che si lega alla crisi di Acciaierie d’Italia, la società che controlla lo stabilimento ex-Ilva di Taranto e che rappresenta “tradizionalmente il maggiore fornitore nazionale di prodotti piani”. Lo si legge nello studio di Cassa depositi e prestiti intitolato La siderurgia italiana tra sfide nazionali ed europee: quali prospettive di sviluppo?.
IL PROBLEMA CON L’ACCIAIO PRIMARIO
L’industria italiana dell’acciaio, infatti, produce quasi esclusivamente acciaio secondario, ricavato dal rottame di ferro nei forni elettrici, che hanno un impatto emissivo minore degli altiforni ma non garantiscono una produzione altrettanto qualitativa. “I laminati piani prodotti da acciaio primario”, si legge nel brief, “sono insostituibili in diverse lavorazioni”, come le carrozzerie delle automobili o gli imballaggi in latta: “la produzione di acciaio primario rappresenta, pertanto, un tema irrinunciabile per i volumi ma soprattutto per la qualità dell’output della siderurgia italiana”.
LA SIDERURGIA ITALIANA TRA FORNI ELETTRICI E ALTIFORNI
Oltre l’85 per cento della produzione siderurgica italiana è rappresentata da acciaio secondario, a fronte di una media europea del 44 per cento. Questo fa dell’Italia la prima “elettrosiderurgia” – cioè la prima industria siderurgica basata sui forni elettrici – dell’Unione europea, con una quota del 30 per cento, ben più elevata di quelle della Germania (18,5 per cento) e della Spagna (13 per cento).
D’altra parte, l’unico stabilimento a ciclo integrale (o altoforno) oggi operativo sul territorio italiano e in grado di produrre acciaio primario è l’ex-Ilva di Taranto. Nel 2023 la produzione del sito è stata inferiore ai tre milioni di tonnellate e nel 2024 si è ridotta ulteriormente, a fronte di una produzione storica che superava gli otto milioni di tonnellate.
SOSTENIBILITÀ E VULNERABILITÀ
Vista la focalizzazione sui rottami e sui forni elettrici, l’industria siderurgica italiana è molto virtuosa sia sul piano della circolarità (“è la prima per quantità di rottame ferroso riciclato e riutilizzato”, spiega Cdp) che della sostenibilità emissiva (è quella con l’intensità di CO2 più bassa tra i primi produttori mondiali, con un valore più che dimezzato rispetto alla media globale).
D’altra parte, gli impianti a forni elettrici non riesce a compensare del tutto il calo della produzione di laminati piani (si utilizzano nella produzione di componenti meccaniche, veicoli ed elettrodomestici) per via della crisi dell’ex-Ilva. Tra il 2012 e il 2023 la produzione italiana di prodotti piani si è ridotta di un terzo, mentre quella di laminati lunghi (impiegati nell’edilizia) è rimasta sostanzialmente stabile sulle dodici milioni di tonnellate.
Il nostro paese dipende dunque dall’estero – in particolare da nazioni esterne all’Unione europea, come Cina e India – per soddisfare il fabbisogno di prodotti piani: “nel 2023, a fronte di un consumo interno pari a 15 milioni di tonnellate, il Paese ha importato oltre 11 milioni di tonnellate di prodotti piani”.
L’Italia è anche un’importatrice netta dei rottami che utilizza nei forni elettrici: è una vulnerabilità che le autorità non dovrebbero sottovalutare, considerata la tendenza europea all’elettrificazione della siderurgia che farà crescere significativamente la domanda di rottame, riducendo la disponibilità per le nostre acciaierie.
IL PREZZO DELL’ENERGIA
Tra le principali criticità della siderurgia italiana c’è anche il prezzo elevato dell’energia elettrica: nel secondo semestre del 2023 gli utenti industriali energivori hanno pagato l’elettricità a un prezzo medio del 45 per cento più alto rispetto agli omologhi francesi. L’Italia è uno dei maggiori paesi importatori di elettricità al mondo.
Nel rapporto si afferma che nonostante la discesa dei prezzi dell’energia dai valori record toccati nel 2022, “elettricità e gas naturale continuano a costare ai consumatori energivori italiani il doppio rispetto a fine 2019”.
E L’IDROGENO?
Stando al brief di Cassa depositi e prestiti, per allineare la siderurgia agli obiettivi per l’azzeramento netto delle emissioni di gas serra, è necessario “perfezionare e accrescere la scala di tecnologie alternative, come la carbon capture e il ricorso all’idrogeno verde. In particolare, la riduzione diretta del ferro (DRI), abbinata ai forni ad arco elettrico, diminuirebbe in modo significativo le emissioni inquinanti, qualora l’idrogeno verde fosse impiegato in sostituzione del metano”. La riduzione diretta è un processo per la produzione di acciaio alternativo alla fusione del minerale di ferro che utilizza il gas metano, il combustibile fossile meno emissivo; il metano può però venire sostituito dall’idrogeno ricavato da fonti a zero emissioni (il cosiddetto “idrogeno verde”) in modo da abbattere ulteriormente le emissioni del processo.
“Se gli impianti di DRI stanno iniziando a sperimentare una discreta diffusione”, prosegue il documento, “la produzione di idrogeno verde, tuttavia, è lontana dall’assumere una dimensione industriale, soprattutto a causa di costi ancora elevati. Al contrario, la richiesta di idrogeno e di energia rinnovabile necessaria per produrlo sono ragguardevoli, secondo gli scenari di decarbonizzazione totale del settore”.
– Leggi anche: Idrogeno, quali sono le aziende italiane coinvolte nel nuovo progetto Ue
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