Presidente della Regione era Giancarlo Cruder. Assessore alla sanità e all’assistenza sociale Cristiano Degano. Correva l’anno 1998: il 29 maggio la giunta regionale approvava il primo Piano per le malattie oncologiche, che prevedeva il varo della Rete oncologica regionale (Ror). Tondo (con Kosic), poi Serracchiani (con Telesca) hanno messo mano al piano, aggiornandolo. Ma l’organizzazione di rete del sistema oncologico regionale non è mai stata formalmente strutturata.
Ci sta provando la giunta guidata da Massimiliano Fedriga, mettendo delineando una riorganizzazione che rappresenta l’architrave dell’intera operazione di ripensamento del sistema sanitario regionale. «Non si può continuare a fare un po’ di tutto dappertutto. Gli ospedali devono essere specializzati e resi tra loro complementari», sintetizza l’assessore regionale alla Salute, Riccardo Riccardi, che ha messo mano al dossier ancora nella passata legislatura, consapevole delle inevitabili proteste (perfino interne alla maggioranza) che avrebbero accompagnato una così massiccia ristrutturazione e che, puntualmente, sono emerse nella fase di gestazione del piano.
Riccardi è convinto che il sistema, così com’è concepito oggi, «non possa più reggere a lungo». E con l’indice percorre colonne e righe delle tabelle che ricostruiscono i numeri dell’attività delle chirurgie oncologiche, punteggiate del rosso che segnala i reparti che nell’ultimo biennio non hanno raggiunto le soglie indicate dall’Agenas. Tanti, oggettivamente. «In sostanza, soltanto i numeri del Santa Maria della Misericordia di Udine sono in linea con le indicazioni ministeriali», rileva l’assessore regionale parlando in redazione al Messaggero Veneto.
Assessore, salute e numeri seguono spesso binari paralleli. In questo caso l’analisi non può che partire da qui, però.
«Non dobbiamo impiccarci ai numeri, che non rappresentano gli unici parametri da seguire nella riorganizzazione. Ma non possiamo continuare a far finta che non esistano, lamentandoci quando poi caliamo nelle graduatorie delle prestazioni: le distanze dalle soglie minime contenute nelle tabelle che tengono conto dei criteri fissati da Agenas dimostrano la frammentazione del nostro sistema ospedaliero. Per fare un esempio: nel 2022 le operazioni al retto sono state 110 in regione, effettuate in undici presidi. Il cut off, ovvero la soglia fissata da Agenas, è di 25: la media è presto fatta. Sono dati di cui non possiamo non tenere conto. Se ogni ipotesi di riorganizzazione generale parte dalle chirurgie, quella oncologica detta di fatto la linea».
Riccardi sulla riforma delle rete oncologica Fvg: «Alcuni standard di sicurezza oggi non sono garantiti»
«Nella nostra rete ospedaliera ci sono ospedali hub e spoke, non si può continuare a fare un po’ di tutto dappertutto. Gli ospedali devono essere specializzati e resi tra loro complementari. Cro e Burlo vanno difesi, ma inseriti nel contesto complessivo: devono essere dedicati alla loro principale missione, quella della ricerca. Vanno eliminate sovrapposizioni: il problema non è togliere attività o autonomie, ma garantire le soglie degli standard di sicurezza da una parte, privilegiando ricerca e sperimentazione innovativa dall’altra, sconfiggendo definitivamente convergenze parallele insostenibili. Tutto questo in una stagione dove mancano medici e infermieri e sono quest’ultimi a scegliere dove andare a lavorare, ovvero in strutture con maggiore casistica e non dove non si raggiungono le soglie di sicurezza».
Sul Cro di Aviano e sulla decisione di accorpare di fatto la direzione a quella dell’Azienda sanitaria Friuli Occidentale, si è consumato lo strappo nel centrodestra. Gli assessori di Fratelli d’Italia non hanno votato le nomine dei direttori generali.
«Se qualcuno avesse deciso, come sento dire, di incorporare il Cro all’Asfo non avremmo scelto una direzione generale ad interim, ma nominato un commissario. La direzione unica non significa né fusione, né chiusura: significa fare ordine in una fase di riorganizzazione».
Possiamo dunque dare per appianate le divergenze con gli alleati?
«Io sono un dipendente della maggioranza. Obiettivo della politica è anche cercare di comporre le legittime posizioni di difesa, anche territoriale. Che però sono comprensibili fino al limite della tenuta. Bisogna avere il coraggio di sciogliere dei nodi rimasti irrisolti per quasi trent’anni».
I malumori in maggioranza hanno portato a rinviare a gennaio la discussione sulla Ror.
«Avevamo quattro obiettivi da chiudere entro dicembre: manovra, nomine dei direttori generali della sanità, linee di gestione del Ssr del 2025, Ror. Ne abbiamo centrati tre su quattro, facendo slittare di un paio di settimane soltanto la riorganizzazione della rete oncologica. Domani porteremo in giunta le linee di gestione, dopo l’okay del Consiglio delle Autonomie locali, che ci consentirà di chiedere le deroghe per i punti nascita di Latisana e Tolmezzo».
Torniamo alla chirurgia oncologica: il piano di riorganizzazione che avete presentato in commissione rivela anche un consistente esborso per l’aggiornamento tecnologico delle dotazioni.
«Nel 2022 per il rinnovo del parco tecnologico delle radioterapie abbiamo investito 44,7 milioni: più di noi hanno investito solo Lazio e Campania. Il tema ricorre: abbiamo avuto la necessità di aggiornare i macchinari in parecchi ospedali, anziché concentrare gli investimenti».
Vi hanno accusato di non aver coinvolto nell’iter i professionisti.
«Non è affatto vero. Il confronto c’è stato e ci sarà:non dobbiamo dimenticare che il piano è triennale e prevede momenti di valutazione intermedia. Gli interessi di pochi da anni tengono bloccato un sistema progettato per garantire bisogni di salute che si sono modificati radicalmente nel tempo. Si nasce meno e si vive di più, la cronicità ha preso il baricentro della domanda, scienza e ricerca ci danno soluzioni migliori, quel modello non può funzionare come potrebbe un riassetto attesa da troppo tempo. Dobbiamo avere la capacità di vincere questa narrazione raccontata da pezzi di sindacalismo ancora esistente, di stampo territoriale, professionale e politico, che per troppi anni sono riusciti a condizionare decisioni necessarie».
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