Premiare la lealtà non sempre favorisce la competenza
Si dirà che, alla luce del risultato delle elezioni presidenziali del novembre 2024, i valori e i livelli di soddisfazione sono radicalmente cambiati ed è quindi ragionevole che l’amministrazione si allinei con il nuovo mandato. Nessuno nega che, entro una certa misura, gli apparati amministrativi applichino le politiche del governo in carica e, se necessario, vengano riorganizzati per consentire che questo avvenga al meglio. Tuttavia, questo non ha a che fare con l’efficienza, ma attiene alla volontà e capacità di un esecutivo di controllare la macchina amministrativa.
Dietro i richiami al carattere non democratico degli apparati amministrativi nel mirino del D.O.G.E. c’è infatti il problema organizzativo della lealtà. Ogni vertice politico percepisce l’esigenza di poter contare su uno staff di cui potersi fidare, affinché le decisioni siano eseguite in maniera conforme alla propria volontà. Tuttavia, premiare la lealtà ha spesso dei costi in termini di competenza. I funzionari in carica sono percepiti come non controllabili o addirittura ostili e tuttavia è molto probabile che siano depositari di informazioni e conoscenze utili al governo, a prescindere dal suo indirizzo.
In The Study of Administration, saggio che si ritiene abbia fondato la scienza dell’amministrazione negli Stati Uniti, l’ex presidente Woodrow Wilson invitava i suoi connazionali ad abbandonare i sospetti verso i modelli europei solo perché propri di paesi privi di un pedigree democratico. Professionalizzare l’amministrazione pubblica appariva necessario per superare il dilettantismo e la corruzione dello spoil system: i costi di un’amministrazione intimamente democratica. Gli stati Uniti erano già forti abbastanza da non temere per la loro democrazia, che anzi avrebbe dovuto fondersi col professionalismo europeo e migliorarlo, sottoponendolo al pubblico scrutinio, che invece in Europa mancava.
La riformulazione del problema burocratico operata da Wilson troverà la sua raffinazione teorica nella metà del secolo successivo. Herbert Simon dedicò un capitolo intero al tema della lealtà organizzativa, che non intendeva come imposizione di una rigida disciplina, tema che attiene ai rapporti di autorità, ma come quei processi di identificazione attraverso i quali i membri di un’organizzazione danno senso al loro agire. Questi processi sono in parte spontanei, e sfociano spesso in sub-identificazioni, ovvero con l’attaccamento al proprio ufficio, ad uno specifico programma, e via dicendo. Il compito della leadership, suggerisce Simon, è quello di guidare i processi di identificazione sintonizzandoli con gli obiettivi esterni dell’organizzazione, facendo sì che lo spirito di corpo e il professionalismo non siano fini a sé stessi, ma giacimenti di sapere pratico e strumenti di intervento. Negli stessi anni, Alvin Gouldner, rileggendo i nodi irrisolti della teoria weberiana della burocrazia con il suo studio etnografico della celebre fabbrica di gesso, notava come la riorganizzazione possa essere ispirata a un ideale punitivo di burocrazia, ciecamente orientato all’esecuzione di regole che hanno il solo obiettivo marcare il principio di autorità, a prescindere da considerazioni di efficienza. Come per la fabbrica di gesso, il D.O.G.E. ha individuato nell’assenteismo (sotto forma dei contratti di smart-working introdotti durante il periodo COVID-19) il terreno di battaglia. Per Musk e Ramaswamy: “Requiring federal employees to come to the office five days a week would result in a wave of voluntary terminations that we welcome: If federal employees don’t want to show up, American taxpayers shouldn’t pay them for the Covid-era privilege of staying home” (richiedere ai dipendenti federali di presentarsi in ufficio cinque giorni alla settimana si tradurrebbe in un’ondata di licenziamenti volontari che accoglieremmo con favore: se i dipendenti federali non vogliono presentarsi, i contribuenti americani non dovrebbero pagarli per il privilegio di restare a casa concesso nell’era del Covid).
Le intenzioni non potrebbero essere più chiare: la cessazione dello smart working non è motivata da una valutazione, anche approssimativa, della sua efficienza, ma presentata come una misura funzionale ad una volontà di tagliare personale a prescindere, accompagnata da una rappresentazione della misura come di un privilegio che allenta il controllo democratico sui lavoratori del settore pubblico.
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