L’Italia fallisce l’obiettivo Pnrr sulla giustizia civile. Finanziamenti Ue a rischio

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Nel 2024 le pendenze civili sono aumentate, facendo mancare all’Italia il target previsto dal Pnrr. Il mancato raggiungimento dell’obiettivo potrebbe comportare la perdita delle risorse europee. Nordio e il caos al ministero


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L’Italia ha mancato il raggiungimento di uno degli obiettivi più importanti previsti dal Pnrr sulla giustizia per il 2024. Si tratta della riduzione dell’arretrato civile: anziché diminuire, come era avvenuto dal 2021 in poi, nel 2024 le pendenze civili presso i tribunali sono aumentate a sorpresa del 3,5 per cento, raggiungendo quota 2.817.759, circa centomila in più del 2023. Rispetto al 2019 le pendenze sono calate del 91,7 per cento, contro l’obiettivo richiesto dal Pnrr del 95 per cento entro il 31 dicembre 2024. Emerge dalla relazione presentata dal ministro Carlo Nordio all’inaugurazione dell’anno giudiziario. Il mancato raggiungimento dell’obiettivo potrebbe comportare la perdita di finanziamenti destinati specificatamente al ministero della Giustizia, ma potrebbe anche influire sulle risorse assegnate allo stato italiano nel suo complesso. 

 

L’aumento inaspettato dell’arretrato civile pone a forte rischio il conseguimento del principale target richiesto dal Pnrr: la riduzione della durata dei processi civili. Alcuni segnali preoccupanti emergono già ora dalla relazione del ministero della Giustizia: la durata media dei procedimenti civili (il cosiddetto “disposition time”) nei tribunali è di 343 giorni, contro i 325 del 2023 (+5,5 per cento); ancora peggio va presso i giudici di pace, con una durata media di 379 giorni, contro i 341 del 2023 (+11,1 per cento). Sulla base di una proiezione dei numeri che arrivano dai diversi uffici giudiziari sarà pressoché impossibile centrare l’obiettivo più importante previsto dal Pnrr per la giustizia civile, cioè la riduzione del 40 per cento della durata media dei procedimenti civili entro giugno 2026. 

 

Altri segnali negativi arrivano sul fronte del personale. Il decreto n. 80 del 2021 ha previsto l’assunzione di 16.500 addetti all’ufficio per il processo, ma al 30 settembre 2024 risultano in servizio 8.804 persone. Lo stesso provvedimento ha previsto il reclutamento di figure professionali con diversi profili giuridico-amministrativi e tecnici a supporto delle cancellerie e delle altre linee di progetto in tema di digitalizzazione e di edilizia giudiziaria per complessive 5.410 unità, ma al 30 settembre scorso gli addetti in servizio risultano 3.101. Risultato: per quanto riguarda gli investimenti in ufficio per il processo e in capitale umano è stato utilizzato soltanto il 41,37 per cento del finanziamento del Pnrr, pari a oltre 2 miliardi di euro. 

 

Per l’edilizia giudiziaria risulta essere stato speso addirittura soltanto il 19,73 per cento del finanziamento Pnrr complessivo, pari a 411 milioni di euro. 

 

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Nella relazione predisposta dal ministero della Giustizia si fa riferimento anche all’impegno assunto con la Commissione europea per la digitalizzazione del processo penale, anche attraverso l’applicativo processo penale (App). Proprio quello che, reso obbligatorio dal ministero a partire dal primo gennaio per il deposito di atti, documenti e memorie, ha subito mandato in tilt decine di tribunali e corti d’appello, costringendoli a rinviare l’entrata a regime del processo penale telematico.  

 

E’ evidente, insomma, che al ministero della Giustizia le cose non stiano funzionando a dovere. La ragione principale, rivelano fonti di Via Arenula, sta soprattutto nella confusione generata dalla centralizzazione dei poteri operata dal capo di gabinetto del ministro Nordio, Giusi Bartolozzi. Come raccontato da tempo su queste pagine, la “zarina di Via Arenula” ha accentrato a sé tutte le decisioni più importanti che competono al ministero, bypassando in maniera sistematica i vari capi dipartimento.

 

Una modalità di operare che di certo mal si concilia con la definizione e soprattutto l’attuazione dei complessi piani di investimento previsti dal Pnrr, come dimostrano ora i risultati negativi (se si esclude il penale) messi nero su bianco dallo stesso ministero della Giustizia. 

 

Le incursioni di Bartolozzi nei dipartimenti e negli uffici di diretta collaborazione del ministro sono da tempo ritenute inaccettabili da molti capi degli uffici, che infatti negli ultimi mesi o hanno lasciato l’incarico (come il predecessore di Bartolozzi, il capo di gabinetto Alberto Rizzo, il capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria Giovanni Russo, il direttore generale dei sistemi informativi automatizzati Vincenzo De Lisi, la direttrice dell’ispettorato Maria Rosaria Covelli, persino la capo ufficio stampa Raffaella Calandra) oppure non vedrebbero l’ora di farlo. 

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Se Nordio intende invertire la rotta farebbe bene a cominciare a guardare a cosa succede all’interno del suo ministero. 





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