Alberto Trentini arrestato in Venezuela, ancora silenzio

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Il governo ha annunciato di avere avviato le trattative per riportarlo in Italia, ma per settimane del caso non ha parlato nessuno. Tra fiaccolate e raccolta firme, la famiglia preme per l’immediata liberazione

Marco PanzarellaRedattore lavialibera

17 febbraio 2025

Il 15 novembre scorso il cooperante veneziano Alberto Trentini, 45 anni, è stato fermato e arrestato dai funzionari del Servizio amministrativo per l’identificazione, la migrazione e l’immigrazione (Saime) in Venezuela, dove era giunto il 17 ottobre per conto della ong Humanity & Inclusion. Non sono ancora chiari i motivi dell’arresto, quel che è certo è che Trentini è stato subito affidato alle autorità della Direzione generale del controspionaggio militare (Dgcim), con destinazione finale Caracas.

Per mesi del caso Trentini non ne ha parlato nessuno, anche perché in quei giorni tutta l’attenzione era rivolta alla trattativa per la liberazione della giornalista Cecilia Sala, detenuta in Iran e rilasciata a gennaio a seguito dei negoziati tra Italia, Iran e Stati Uniti.

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Caso Trentini: l’appello della famiglia

A gennaio, una nota diramata dai familiari del cooperante, assistiti dall’avvocata Alessandra Ballerini, è stata ripresa dai media: “Nel pieno rispetto della sovranità territoriale del governo bolivariano e senza voler interferire nella diplomazia delle relazioni tra Italia e Venezuela – si legge – invochiamo l’attenzione di tutte le istituzioni dei due Paesi circa la drammatica situazione di Alberto Trentini e chiediamo la sua liberazione affinché possa tornare a casa e all’affetto dei suoi familiari e amici. Alberto è un cooperante e proprio questa sua missione umanitaria in Venezuela deve costituire un ponte di dialogo che consenta di raggiungere il risultato del suo pronto rientro in Italia. Lo chiediamo con forza e speranza. La tradizione di familiarità tra Italiani, una delle più importanti comunità nel paese sudamericano, e venezuelani impone questo segnale di pacificazione”.

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Il 14 gennaio un gruppo di deputati del Partito democratico ha presentato un’interrogazione al ministro degli Affari esteri e della cooperazione internazionale Antonio Tajani, chiedendo aggiornamenti sulla vicenda. Intanto, sul sito change.org è stata lanciata una petizione per chiedere alle istituzioni italiane, europee e alle Nazioni Unite “il massimo impegno e di agire con urgenza per ottenere il rilascio immediato di Alberto e la piena tutela dei suoi diritti fondamentali; assicurare regolare assistenza consolare, legale e medica; permettere contatti regolari con i familiari, avvocati e rappresentanza consolare”. Ad oggi sono state raccolte circa55mila firme.

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Il 14 gennaio un gruppo di deputati del Pd ha presentato un’interrogazione al ministro degli Affari esteri  Antonio Tajani, chiedendo aggiornamenti sulla vicenda

Tajani ha spiegato ai giornalisti che l’Italia stava lavorando al caso: “Abbiamo ribadito la richiesta di liberazione del nostro concittadino e di tutti gli altri prigionieri politici. Ci è stato confermato che è detenuto, abbiamo chiesto che venga trattato nel rispetto delle regole e abbiamo chiesto una visita consolare. Lavoriamo in tutti i modi per venire a capo di questa situazione”.  Alla Farnesina Tajani ha quindi aggiunto: “Come abbiamo chiesto discrezione e moderazione per Piperno e Sala, la chiediamo anche per questo caso”.

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A inizio febbraio una nota “non ufficiale” giunta dal Venezuela ha rassicurato sulle “buone condizioni” di Trentini, che soffre di ipertensione e necessita di farmaci specifici. Da allora sul cooperante è ripiombato il silenzio e neppure l’ambasciata italiana è riuscita a saperne di più. La famiglia, a parte qualche comunicazione scritta, ha preferito mantenere un profilo basso sulla vicenda. E anche l’avvocata Ballerini, contattata da lavialibera, si è limitatata a dire che “al momento non c’è nessuna novità”.

Una nota “non ufficiale” giunta dal Venezuela ha rassicurato sulle “buone condizioni” di Trentini, che soffre di ipertensione e necessita di farmaci specifici

Il 16 febbraio la madre di Alberto, Armanda, è intervenuta alla trasmissione Che tempo che fa, dove nelle settimane scorse i genitori di Giulio Regeni, Paola Deffendi e Claudio Regeni, avevano lanciato un appello per la liberazione del cooperante veneziano: “Chiediamo che il governo si dia una mossa perché è passato troppo tempo, non si sa dove sia. Vogliamo che questo giovane italiano torni a casa sano e salvo. E venga rispettato come portatore di pace”.

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Rispondendo alle domande di Fabio Fazio, Armanda Trentini ha spiegato che il figlio “è isolato e non ci risulta che abbia incontrato nessuno, non ha potuto chiedere di parlare con un avvocato o di contattare la sua famiglia, nulla. La nostra disperazione è questa”. La donna ha scritto una lettera alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni “da madre a madre. Mi aspetto che me lo porti a casa, che percorra delle strade anche facendosi aiutare dalle istituzioni di altri paesi come è stato fatto per la nostra giornalista Cecilia Sala. Quel che mi aspetto è una telefonata, è un desiderio che abbiamo dal 15 novembre”. La signora ha poi raccontato che il figlio aveva scelto il Venezuela “perché c’era questa ong che lavora con le persone con disabilità e perché si era innamorato di una ragazza e voleva starle vicino. Era arrivato da poco. Per questo siamo rimasti sconvolti del suo fermo, non ce lo spieghiamo”.

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Intanto su Facebook oltre un migliaio di persone seguono la pagina “Alberto Trentini libero”, che ha già promosso un flashmob svoltosi davanti a Palazzo Ducale, a Venezia, e la fiaccolata del 9 febbraio organizzata al Lido di Venezia, dove risiedono Trentini e la sua famiglia. In più luoghi dell’isola tra la laguna di Venezia e il mare Adriatico, tra cui piazzetta Santa Maria Elisabetta, è stato posizionato uno striscione verde che riporta la scritta “Alberto Trentini libero”, esposto qualche giorno dopo anche sul balcone di Palazzo d’Accursio, sede del Comune di Bologna, a Castelnuovo Valsugana e in Etiopia, uno dei paesi dove in passato Trentini ha lavorato.

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Sul caso è intervenuto a più riprese il giornalista e sindacalista Beppe Giulietti, oggi coordinatore nazionale dell’associazione Articolo 21: “Purtroppo non è accaduto ancora nulla, adesso tocca a noi occuparci di un ragazzo che ha fatto tanto per gli altri. Ora è lui ad aver bisogno del nostro aiuto”.

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