Rinnovabili in Sardegna: tra norme, proteste e ricorsi a che punto siamo? | Sardegna che cambia

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Nel fare il punto sulla contesa per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili in Sardegna, è utile mettere in sequenza i fatti. Basta questo per comporre un quadro illuminante della situazione. E i fatti fondamentali sono i seguenti. Iniziamo dall’autunno del 2021, quando il governo Draghi emana un decreto con cui, dando corso alle direttive europee sulla decarbonizzazione, pone come obbiettivo dell’Italia la massimizzazione della produzione di elettricità da fonti energetiche rinnovabili (FER) e stabilisce i criteri generali per l’individuazione delle aree in cui dovranno essere costruiti gli impianti necessari a tale scopo. Lo stesso governo “dimentica” però di emanare nel periodo successivo le norme attuative di questo primo decreto.

Nella tarda primavera del 2024 finalmente il ministro dell’Ambiente Pichetto Fratin emana le norme attuative del decreto Draghi, dal quale sono passati oltre due anni e mezzo. E invita ogni Regione a deliberare a sua volta sulle aree idonee all’installazione di impianti FER, sulle aree cosiddette “ordinarie” e sulle aree non idonee, perché a ognuno di questi tipi corrisponderà una diversa procedura autorizzativa. Inoltre stabilisce delle quote e assegna alla Sardegna il compito di installare entro il 2030 impianti per una potenza complessiva di 6,2 GW: il contributo isolano al raggiungimento degli obiettivi fissati dall’Unione Europea per ogni Stato membro.

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DALLA MORATORIA REGIONALE ALLE IMPUGNAZIONI DEL GOVERNO

Nel luglio 2024 la Regione Autonoma della Sardegna (RAS), guidata dalla presidente Alessandra Todde, mette le mani avanti ed emana la Legge 5, chiamata di “moratoria” perché esclude l’installazione di nuovi impianti FER fino a quando non saranno pronte le norme sulle aree idonee e non idonee. Lo scopo è porre il territorio in sicurezza, proprio mentre centinaia e centinaia di progetti riguardanti l’Isola passano al vaglio del ministero dell’Ambiente, dando corpo a quello che viene comunemente chiamato “assalto speculativo”. La RAS insomma ferma il gioco fino a quando non si stabiliranno regole eque per tutti.

Il Governo in risposta impugna la Legge 5 davanti alla Corte costituzionale, sostenendo che eccede di gran lunga le competenze della Regione sarda. A tutt’oggi la Consulta non si è ancora pronunciata in merito. Intanto però la RAS svolge il compito assegnato da Pichetto Fratin e all’inizio del dicembre 2024 emana la Legge 20 sulle aree idonee. La legge è corredata da folti allegati e sostenuta, secondo i tecnici regionali, dalle competenze conferite alla Regione Sardegna dal suo Statuto in materia paesaggistica, urbanistica, di produzione e distribuzione dell’energia.

Lo scontro istituzionale fa da cornice all’impegno di sindaci e comitati contro la speculazione energetica

In base ai numerosissimi criteri elencati, il testo riduce le aree idonee alle FER a una minima parte del territorio dell’Isola – il 2% secondo i dati forniti dalla Regione –, escludendo tutto il resto e “forzando” in questo modo i limiti stabiliti dal decreto Draghi. Nelle prime settimane del 2025, il governo impugna la Legge 20, replicando quanto già fatto per la legge di “moratoria”, e insiste: la Regione Sardegna non può accampare le proprie competenze statutarie per sottrarsi, in tema di produzione di elettricità da fonti energetiche rinnovabili, agli obblighi derivanti dal preminente interesse nazionale, dalle direttive europee, dalle riforme economiche e sociali dello Stato. Il conflitto viene portato davanti alla Corte costituzionale, che si pronuncerà nei prossimi mesi.

RINNOVABILI: LA POSIZIONE DI SINDACI E COMITATI

Lo scontro istituzionale fa da cornice a ciò che poi concretamente avviene nell’Isola e all’impegno di sindaci e comitati contro la speculazione energetica. Il decreto Draghi dell’autunno 2021 infatti, non seguito dalle norme attuative, lascia spazio ai grandi player del mercato elettrico. Questi, nell’assenza di criteri certi, avviano una fitta progettazione per impianti eolici e fotovoltaici riguardante tutto il Meridione d’Italia più la Sardegna. Nel complesso, migliaia di pratiche arrivano sui tavoli del ministero dell’Ambiente, che apre per ognuna di esse un’istruttoria tecnica finalizzata a concedere o meno l’autorizzazione all’impianto proposto. 

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Autore: Andrea Degl’Innocenti
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Il che si traduce a sua volta in un’ondata di avvisi alle amministrazioni comunali, che a partire dalla primavera del 2023 si vedono piovere addosso progetti su progetti per torri eoliche e pannelli fotovoltaici destinati al loro territorio. La rivolta è immediata e generalizzata, non solo da parte dei sindaci ma anche da parte dei comitati, che sorgono a decine in tutta l’Isola. Vengono scritte osservazioni dirette al ministero in opposizione ai progetti delle aziende. Si organizzano manifestazioni di piazza e sui campi minacciati di esproprio.

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E si raccolgono firme: la raccolta culmina il 2 ottobre 2024 con la consegna al Consiglio regionale sardo di circa 211.000 sottoscrizioni a un disegno di legge popolare, detto Pratobello 24, che dichiara che il 100% del territorio sardo è non idoneo ad accogliere impianti FER . A questa proposta la politica al governo della Sardegna preferisce la Legge 20, mentre la Pratobello 24 è ad oggi ferma. Resta che la mobilitazione popolare sul tema è nel triennio 2023/25 massiccia e non accenna a indebolirsi. Comitati e cittadinanza vegliano sulle mosse delle aziende del mercato elettrico, del ministero dell’Ambiente, del Governo e della stessa Giunta regionale, a difesa del territorio sardo.

ELEMENTI DI INSTABILITÀ

Su questa situazione si innestano altri elementi, che accentuano l’instabilità del “sistema rinnovabili” nella Sardegna attuale. Tra loro, la mancanza di un Piano energetico e ambientale regionale (PEARS) aggiornato. Quello corrente risale al 2016 e in sua assenza qualsiasi ipotesi sul fabbisogno energetico dell’Isola – base dalla quale sarebbe opportuno partire per programmare la futura produzione elettrica sarda – è campata per aria. 

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La volontà, espressa da Roma anche all’inizio di febbraio 2025, di dotare l’Isola di una rete per l’approvvigionamento e la distribuzione del gas. Ma contro il ricorso in Sardegna a questo combustibile fossile inquinante e da dismettere si schiera larga parte della politica e dell’opinione pubblica sarda. Ancora, un nuovo e recentissimo decreto del ministero dell’Ambiente che ha ridefinito gli incentivi destinati a chi costruisce gli impianti di produzione di energia da fonti energetiche rinnovabili e le procedure autorizzative necessarie alle nuove installazioni. Tutti da valutare, nei prossimi mesi, gli effetti del decreto. 

La totale sottrazione al controllo della RAS dei giganteschi impianti eolici off shore, per i quali è in corso una massiccia progettazione: sono di competenza statale e su di essi la Regione ha voce in capitolo quasi nulla, benché la loro costruzione sia prevista poco al largo delle coste sarde. E il passaggio davanti al Tar del Lazio del decreto governativo del 2024 sulle aree idonee, in seguito ai ricorsi di molte aziende, reo di aver concesso alle Regioni troppa libertà nella definizione delle stesse aree idonee. Se il Tar darà ragione alle multinazionali dell’energia, la Sardegna dovrà attenersi rigidamente al dettato del decreto Draghi del 2021.

L’unica conclusione possibile ad oggi è che non si possono tirare conclusioni. La situazione resta molto fluida, la normativa è in continua evoluzione e di certo vi è solo purtroppo il progressivo restringimento degli spazi a disposizione della RAS per limitare l’assalto speculativo alla Sardegna. La linea del governo è chiara: incrementare il più possibile la capacità italiana di produrre elettricità da impianti FER, anche a costo di soverchiare gli interessi delle popolazioni locali. Ad esse spetta e spetterà difendersi.



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