IN GIUSTIZIA – Il castello giudiziario della politica italiana

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Attualità

di Francesco Da Riva Grechi





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L’inizio è stato il 17 febbraio 1992, quando il metodo delle investigazioni contro la mafia, inventato dai Ros in Sicilia e applicato laddove la presenza di cosa nostra era evidente e si trattava solo di provare i comportamenti mafiosi in un tessuto sociale di omertà ancora assoluta diventava prassi anche nel palazzo di giustizia di Milano. Venne poi teorizzato che corruzione e mafia sono la stessa realtà e che Mario Chiesa era come un corleonese anziché un semplice “mariuolo” come lo scaricò l’allora leader Maximo del Partito Socialista Bettino Craxi. Non che la corruzione non ci fosse, né che non fosse “sistemica”, il rimedio tuttavia si è rivelato molto peggiore del male e per capirlo non c’era e non c’è adesso alcun bisogno di ricorrere al senno del poi. A mano a mano che le indagini procedevano, il pool di mani pulite travolgeva tutto il mondo politico milanese e poi nazionale e infine l’intera Repubblica, prima e ultima, se, come sembrava allora, il PCI che cambiava nome fosse diventato partito di maggioranza e di governo. Ma irruppe Berlusconi e almeno nella società si ebbe un riequilibrio delle forze in campo che diventò successivamente il centrodestra che è oggi guidato da Giorgia Meloni. Nelle istituzioni un equilibrio non si è più trovato perchè la democrazia fondata sul parlamento ed il suffragio dei cittadini non è più libera di funzionare secondo l’investitura popolare. La casta dei funzionari organizzati dalle correnti della magistratura impone il governo della sinistra sistematicamente contro i risultati delle elezioni che premiano sempre il centrodestra. Il punto tuttavia è che quell’equilibrio si è perso per la rinuncia all’immunità parlamentare effettuata con la legge costituzionale 29 ottobre 1993, n. 3, che fu la vigliacca resa del parlamento di allora della quale ancora oggi si pagano le conseguenze.
E oggi che le cose sono cambiate ci sono le risorse per cambiare anche la politica, per non dare più a chi perde la possibilità di ribaltare le sconfitte con la magistratura e per non fare più scegliere a quest’ultima il governo dei cittadini. I magistrati italiani sono quanto di più lontano ci sia dalla Costituzione Repubblicana. La riforma del ministro Nordio, anche lui indagato dal Procuratore di Roma Lo Voi, è sicuramente la migliore oggi possibile e va portata avanti con la massima fermezza. Occorre però anche andare in altre direzioni che non sono quelle di assoggettare la magistratura all’esecutivo come oggi lo è alle opposizioni perdenti. Se l’unico effetto positivo delle stagioni di mani pulite e delle stragi fu lo sbloccarsi della democrazia dell’alternanza e l’avvio della seconda Repubblica, quella appunto fondata sul sacrificio di magistrati come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, come ad ogni occasione ricordato da Giorgia Meloni, oggi occorre un’altra rivoluzione per liberare il governo dall’oppressione ossessiva e paranoica della magistratura militante per la sinistra. Per quella che l’insigne costituzionalista Sabino Cassese chiama “Repubblica giudiziaria” occorrerebbe distinguere la tecnocrazia dalla politica fin dagli organici del ministero della Giustizia dove si deve rispondere al Ministro anzichè ai capibastone delle correnti dell’ANM e basterebbe una legge affinché la politica possa finalmente dare la risposta necessaria.


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