Mercati aperti. E’ il momento di creare operatori europei per gestire il risparmio

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L’idea che il risparmio debba essere regolato a livello nazionale non è sostenibile, si scontra con la crescente concentrazione dei fondi globali, dominati da operatori americani


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Non sembra arrestarsi il dibattito sulla necessità che il risparmio degli italiani “rimanga in Italia” e venga gestito da italiani. Su questo argomento si è già scritto qualche settimana fa. La pubblicazione del recente rapporto Tosetti Value, riportato dal Sole 24 Ore del 9 febbraio scorso, offre lo spunto per qualche ulteriore riflessione. La prima è che gli italiani non sembrano particolarmente interessati alla nazionalità di chi gestisce i loro risparmi. Lo stesso vale per i risparmiatori europei. Lo dimostra l’evoluzione delle masse di risparmio gestite, che negli ultimi anni ha evidenziato un afflusso crescente verso i grandi fondi americani. Nella classifica europea, i fondi statunitensi occupano oramai le prime tre posizioni assolute e cinque delle prime dieci. Solo quattro anni fa la seconda e la terza posizione erano occupate da fondi europei, di cui uno italiano, che ora è sceso in quinta posizione.

La seconda riflessione è che i fondi più grandi tendono a crescere sempre di più e il grado di concentrazione aumenta nel tempo, gradualmente ma inesorabilmente. I primi tre fondi americani raccolgono oggi in Europa poco meno della metà del totale dei primi dieci fondi. Il più grande gestisce la massa di risparmio equivalente a quella dei primi cinque fondi italiani. In altre parole, anche se i primi cinque gestori italiani si mettessero insieme non riuscirebbero a raccogliere la stessa somma del primo fondo americano operante in Europa. 

Come ricordato nel precedente articolo, il fattore principale sottostante a questa dinamica è la dimensione. Chi è più grande cresce di più. Per due motivi. Innanzitutto, la maggior dimensione consente di offrire una gamma più ampia di strumenti di risparmio ai propri clienti. Ciò è vero soprattutto per i fondi azionari, che devono investire in ricerca e gestione del rischio per coprire diverse aree geografiche e settori merceologici. Inoltre, la dimensione consente di ridurre i costi, in particolare quelli di ricerca e di distribuzione, e permette di investire con maggior efficienza, sfruttando in particolare le piattaforme tecnologiche.

I dati presentati nel rapporto di Tosetti Value confermano che vi è una correlazione positiva tra la dimensione dei fondi e la loro performance e una correlazione negativa tra dimensione e costi di gestione. Ad esempio, 100 euro investiti nel 2018 sono diventati, dopo 7 anni, 142 euro se gestiti dai principali cinque gestori americani, 126 dai principali cinque europei e 114 dai primi cinque fondi italiani. Il costo di gestione è stato in media di 78 centesimi all’anno per i fondi gestiti dai principali operatori americani, 1,15 euro per gli europei e 1,42 euro per quelli italiani. Questi divari di redditività e di costo suggeriscono che la gestione del risparmio non potrà continuare a rimanere frammentata in Europa. Alla luce di quanto sopra ci si può chiedere quali vantaggi ci possano essere a contrastare i processi di consolidamento e a insistere affinché il risparmio di un paese venga gestito principalmente da operatori locali. 

Ci potrebbero essere in teoria due vantaggi. Il primo è una miglior conoscenza della clientela, che dovrebbe consentire di soddisfare al meglio le esigenze dei risparmiatori italiani. Esigenze che, peraltro, non è detto siano poi così diverse da quelle degli altri risparmiatori europei. La sostenibilità di tale modello richiede comunque una posizione dominante nella distribuzione dei prodotti di risparmio, che è sempre più difficile da difendere in un contesto in cui cresce l’utilizzo degli strumenti digitali per confrontare le condizioni contrattuali e le spese di vari fornitori. 

Il secondo vantaggio è quello di una miglior comprensione delle opportunità di investimento locali. Ciò richiede tuttavia conoscenze specifiche, per valutare il rischio e il rendimento di tali opportunità rispetto a soluzioni alternative, e la disponibilità di fondi adeguati, per poter accedere agli investimenti più redditizi. Rimane comunque il problema di riuscire a diversificare in modo adeguato il portafoglio, per evitare una vulnerabilità eccessiva in caso di crisi locali. In sintesi, l’idea che il risparmio di un paese debba essere gestito esclusivamente a livello nazionale non è sostenibile in un contesto di mercati aperti e di concorrenza globale. L’unica partita possibile è quella di creare operatori europei di dimensioni tali da poter competere con quelli americani. La scelta è se giocare questa partita da protagonista o da comprimario.





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