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Per la Corte Costituzionale il taglio delle pensioni più alte operato negli ultimi due anni è legittimo. La minore rivalutazione per le pensioni superiori a quattro volte il minimo non ha leso i principi fondamentali a garanzia dei trattamenti. Per ora non ci sarà alcun rimborso

Non ci sarà alcun rimborso, almeno per ora, per le pensioni oltre 4 volte il minimo tagliate negli ultimi anni.

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Nel 2023 e nel 2024 infatti la rivalutazione degli importi è stata riconosciuta pienamente solo alle pensioni più basse e il caso è finito sul tavolo della Corte Costituzionale.

Per la Consulta però il sistema di “raffreddamento” della rivalutazione automatica delle pensioni introdotto dalla Legge di Bilancio 2023 è legittimo. Il parere è stato espresso nella sentenza n. 19 pubblicata oggi.

Rivalutazione pensioni: nessun rimborso dopo il taglio degli assegni più alti

Da quest’anno il meccanismo di perequazione delle pensioni, ovvero di rivalutazione annuale degli importi in adeguamento all’inflazione, è tornato quello in vigore fino al 2022.

Negli ultimi due anni, invece, per effetto delle disposizioni introdotte dalla Legge di Bilancio 2023, la rivalutazione delle pensioni è stata riconosciuta in misura piena solamente agli assegni fino a 4 volte il minimo INPS. Per gli importi superiori, come indicato nella tabella, è stata ridotta gradualmente fino a quelli oltre 10 volte il minimo, i quali hanno ottenuto una rivalutazione del 32 per cento (del 22 per cento nel 2024).

Fasce trattamenti complessivi Percentuale indice perequazione da attribuire nel 2023/2024
Fino a 4 volte il trattamento minimo (TM) 100
Fino a 5 volte il TM 85
Fino a 6 volte il TM 53
Fino a 8 volte il TM 47
Fino a 10 volte il TM 37
Oltre 10 volte il TM 32 (22 per il 2024)

Tagli, stimati in circa 37 miliardi di euro, che hanno spinto alcuni pensionati a fare ricorso contro le disposizioni del Governo, con il caso che è finito sul tavolo della Consulta dopo che la Corte dei Conti della Toscana aveva sollevato una questione di legittimità costituzionale.

La vicenda si conclude però con un nulla di fatto. Con la sentenza n. 19, pubblicata il 14 febbraio 2205, la Corte Costituzionale ha espresso il proprio parere: il sistema di “raffreddamento” della rivalutazione automatica delle pensioni introdotto dalla Legge di Bilancio per il 2023 è legittimo.

I tagli alla rivalutazione delle pensioni non sono irragionevoli

La Legge di Bilancio 2023, si legge nel comunicato stampa della Consulta, nell’introdurre misure di “raffreddamento” della rivalutazione automatica delle pensioni superiori a quattro volte il minimo INPS, non ha leso i principi di ragionevolezza, proporzionalità e adeguatezza posti a garanzia dei trattamenti pensionistici.

Secondo la Corte, infatti, il meccanismo di rivalutazione in vigore negli ultimi due anni non è irragionevole perché ha salvaguardato integralmente le pensioni più basse e, per un periodo limitato, ha ridotto progressivamente la percentuale di rivalutazione di tutte le altre al crescere degli assegni, considerando la maggiore resistenza delle pensioni più elevate agli effetti dell’inflazione.

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Come sottolineato dalla Corte infatti:

“Le scelte del legislatore risultano coerenti con le finalità di politica economica, chiaramente emergenti dai lavori preparatori e legittimamente perseguite, volte a contrastare anche gli effetti di una improvvisa spinta inflazionistica incidente soprattutto sulle classi sociali meno abbienti.”

Per quanto riguarda le perdite subite dai pensionati con gli assegni più alti, la Consulta specifica che “il legislatore potrà tenerne conto in caso di eventuali future manovre sull’indicizzazione dei medesimi trattamenti”. Ad oggi quindi nessuna possibilità di recuperarle.

A stretto giro è arrivata la replica dei sindacati con CGIL e SPI CGIL che si dicono preoccupati per gli effetti della sentenza della Corte Costituzionale.

“Pur comprendendo la necessità di tutelare i pensionati con assegni più bassi, non possiamo ignorare che questo sistema comporta un’erosione del potere d’acquisto per centinaia di migliaia di pensionati, senza alcuna garanzia di recupero futuro. Non si può far cassa sulle pensioni, giustificando tagli con la necessità di politiche economiche di emergenza che si trasformano poi in misure strutturali.

La Corte sostiene che delle perdite subite si potrà tenere conto in eventuali future manovre, ma questa non può essere considerata una garanzia.”

Quest’anno, come detto, il meccanismo di indicizzazione è tornato quello in vigore prima di tali modifiche: nessuna penalizzazione pertanto per gli assegni oltre 4 volte il minimo INPS.

Alla luce di tali novità, la rivalutazione 2025 è riconosciuta come indicato in tabella (i valori aggiornati sono stati forniti dall’Istituto nella circolare n. 23/2025).

Dal 1° gennaio 2025 Fasce di importo Percentuale indice perequazione da attribuire Aumento del Fasce di importo
Fino a 4 volte il Trattamento Minimo 100 0,80 per cento fino a 2.394,44
Tra 4 e 5 volte il TM 90 0,72 per cento da 2.394,45 a 2.993,05
Oltre 5 volte il TM 75 0,60 per cento oltre 2.993,06



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