di MARIO GENTILI*
SENIGALLIA – Nel dibattito di questo periodo, sfociato nel Consiglio Grande, sulla questione di ponte Garibaldi aleggiavano, comprensibilmente, lo spettro, il timore e le “ferite” delle passate alluvioni.
Ogni proposta di soluzione tecnica del ponte ha avuto l’obiettivo di scongiurare esondazioni in caso di piena diventata fenomeno sempre più frequente anche con pioggie di media entità.
Ho già espresso la mia idea di città permeabile , con uno sguardo al futuro ed in linea con le migliori esperienze di trasformazione sostenibile; ora vorrei però estendere questo approccio al territorio collinare agrario perché credo sia necessario capire e cercare di ridurre le cause delle piene piuttosto che porre rimedi artificiali che potrebbero col tempo diventare insufficienti ed inefficaci.
Ho messo a confonto due foto aeree della stessa zona collinare, una del 1955 ed una del 2024 ( si potrebbe fare dell’intero territorio comunale se non nazionale ed il risultato non cambierebbe), ed ovviamente il panorama è completamente trasformato. Non tanto ovviamente se pensiamo che per secoli l’ immagine del 1955 potrebbe essere stata pressochè la stessa.
E’ evidente come settant’anni fa il paesaggio agrario fosse caratterizzato da piccoli appezzamenti, con una ricchissima diversificazione colturale, superfici a seminativo consociato con alberi di differenti specie (es. querce, gelsi, olivi, ecc.) o con filari di vite “maritati” (cioè consociati con aceri, ecc.). E’ il paesaggio immortalato artisticamente da Mario Giacomelli.
Poi l’evoluzione delle tecniche agricole e la semplificazione dei modelli colturali avvenuti negli ultimi decenni hanno determinato un abbandono dell’edilizia sparsa e diminuzione della presenza dell’agricoltore sul territorio, abbiamo assistito al passaggio dell’agricoltura da intensiva ad estensiva con conseguente rarefazione della componente arborea contribuendo alla scomparsa di uno degli elementi principali di varietà del paesaggio. La foto aerea di un anno fa mostra chiaramente l’utilizzo della monocoltura estensiva su decine di ettari e la scomparsa definitiva delle zone arboree, delle canaline di raccolta delle acque ed in alcuni casi anche dei fossi. Praticamente un deserto.
Non dico niente di nuovo, sono cose risapute ed analizzate da molti studi di settore che hanno dato vita a politiche agrarie già prima del 2000 , vedi i Piani di Sviluppo Rurale e la riforma della Politica Agraria Comunitaria. Ma gli effetti sul risanamento del territorio agricolo sono stati nulli, riducendo il tutto ad una elargizione di contributi economici.
Cosa c’entra questa riflessione con l’alluvione?
Immaginiamo 1000mq di terreno collinare coltivato a monocoltura, senza alberi. Con una pioggia normale, l’acqua scorrerà rapidamente in superficie, poiché I fertilizzanti chimici hanno reso il suolo meno permeabile e questo contribuisce all’erosione e al sovraccarico dei fossi.
Ora su quella stessa area piantiamo alberi ( vigneti, frutteti, oliveti,noccioleti,etc) per un’estensione di 500mq, alla stessa pioggia vedremo che sul terreno arriverà il 50% d’acqua mentre l’altro 50% e’ trattenuto dalle fronde degli alberi e viene ceduta lentamente nella terra che ha il tempo di assorbirla.
Estendiamo questo esempio all’intero territorio comunale ed avremo una riduzione del 50% del rischio di piena ed un terreno che gradualmente torna ad essere permeabile.
Ovvio, banale, ma cosa non va in questo ragionamento ? Il profitto.
Le attuali condizioni economiche dell’attività agricola non permettono una conversione della produzione in senso multicolturale per la crescente incertezza nel collocamento dei prodotti agricoli, la stagnazione dei prezzi, l’ aumento dei costi, la difficoltà ad individuare mix produttivi economicamente convenienti. Molte aziende agricole si reggono in vita grazie ai contributi della PAC, figuriamoci se possono pensare ad investire in tempi lunghi su un frutteto o noccioleto o noceto quando sul mercato trovi questi prodotti provenienti da paesi stranieri a prezzi decisamente più bassi.
Quindi dobbiamo rassegnarci al depauperamento del nostro territorio ?
Al contrario, io penso che l’unica soluzione per ridurre significativamente i disastri ambientali sia il prendersi cura del nostro territorio attraverso pratiche e politiche urbanistiche-agricole mirate al restauro ambientale. Concretamente, penso a strumenti di pianificazione locale che comprendano almeno l’intero bacino idrogeologico del Misa e che favoriscano le aziende piccole e grandi in progetti di riconversione ecosostenibile: dal rimboschimento alla diversificazione colturale, dall’uso equilibrato delle risorse naturali alla gestione dei fossi.
Tutto questo ha un costo elevato per qualsiasi azienda ma qui deve intervenire la politica amministrativa attraverso incentivi economici, contributi europei, finanziamenti alle emergenti cooperative di giovani che, sempre in maggior numero , intendono promuovere l’ agricoltura biologica.
Sogni illusori? Pensate che nella nostra città, una stima dei costi per le riparazioni dei danni causati dalle alluvioni, di quelli per la realizzazione di nuovi ponti e delle pur necessarie e improcrastinabili vasche d’espansione, si può approssimare al ribasso in 300.000.000 di euro.
Facendo una interpolazione dei dati regionali del VII° Censimento dell’agricoltura – 2022, nel nostro Comune abbiamo circa 300 aziende agricole ( una media di 20ha ad azienda). E’ pleonastico sostenere che con un contributo di 1.000.000 di euro ad azienda per progetti di riconversione ambientale , probabilmente ora non ci troveremo a parlare di ponti, vasche di espansione e risarcimenti vari.
Dopo anni di tragici eventi dovuti all’alluvione, credo che la sensibilità collettiva debba educarsi ad una cultura del rispetto della natura e del prendersi cura delle fragilità del territorio, e’ l’unico modo che abbiamo per favorire un futuro più sostenibile e sicuro per le prossime generazioni.
*Architetto
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