A meno di una settimana dall’elezione a presidente dell’Anm, Cesare Parodi, esponente di Magistratura indipendente, è già “sotto processo”: a criticarlo son o i suoi colleghi, gli altri vertici del “sindacato” delle toghe e i leader delle correnti.
Da quanto appreso, sono stati soprattutto i gruppi progressisti dell’Associazione magistrati, AreaDg e Magistratura democratica, ad aver rivolto al neo-presidente Parodi critiche sferzanti per come ha gestito i primi passi successivi all’investitura ufficiale. Innanzitutto sabato sera, appena eletto dal Comitato direttivo centrale, senza prima consultarsi con la sua nuova Giunta, ha chiesto un incontro al governo. Poi, è l’altro “capo d’imputazione”, ha rilasciato troppe interviste, in cui si sarebbe mostrato eccessivamente morbido nei confronti dell’Esecutivo.
Ma l’aspetto che maggiormente ha irritato le correnti, e quelle “di sinistra” innanzitutto”, è l’aver sostenuto, usando persino le parole del guardasigilli Carlo Nordio, che vedere nella separazione delle carriere il primo passo verso l’assoggettamento del pm al governo sarebbe un “processo alle intenzioni”. Parodi sarebbe stato immediatamente “redarguito”, per le interviste e le dichiarazioni rilasciate, sia con messaggi privati sia durante la riunione di Giunta che si è tenuta lunedì sera. Gli sarebbe stato rimproverato di essere completamente a digiuno di politica associativa, di essere, in pratica, uno sprovveduto che mette in pericolo l’immagine di una Anm fermamente contraria alla riforma, in tutti i suoi punti. Ed è per rimediare a questi presunti “svarioni” che il segretario generale dell’Anm Rocco Maruotti ha concesso un’intervista al Fatto Quotidiano per riaffermare il volto più intransigente delle toghe contro il ddl Nordio.
La situazione è talmente complicata che Parodi ha sentito la necessità di veicolare in tutte le chat possibili della magistratura una propria lunga lettera in cui ha cercato di spiegare il proprio pensiero e la propria linea, rimarcando l’unità necessaria contro la “madre di tutte le riforme”. Ha esordito dicendo «so perfettamente che molti di Voi – la maggioranza, credo – nutrono dubbi sul mio operato e ancor di più sulle mie intenzioni», poi ha proseguito: «Sono qui per metterci la faccia, con chiarezza assoluta. L’ho sempre fatto, non smetto oggi. Ringrazio chi vorrà credermi».
Ed è arrivato dritto al pomo della discordia: «Sono da sempre totalmente, ontologicamente contrario a questa riforma e – ancor più – alla prospettiva di assoggettamento del pm al potere esecutivo. L’ho dichiarato da anni anche in dibattiti pubblici ai quali hanno assistito politici ai quali posso chiedere di confermarlo. Ne sono orgoglioso e oggi più che mai non ho cambiato idea». L’uso del termine “ontologicamente” non è casuale: è lo stesso usato dalla mozione di Palermo dell’Anm in cui abbiamo letto che “l’unicità della magistratura è valore fondante del nostro associazionismo: tale sua caratteristica ontologica è incompatibile con ogni possibilità di mediazione e trattativa sugli specifici contenuti delle riforme”, questione posta a Parodi nell’intervista al Dubbio.
«Io confermo e condivido lo ‘spirito’ di Palermo, in tutto e per tutto. La riforma è globalmente, in tutto e per tutto, non accettabile». Però attenzione: anche nella lettera inviata a tutti i colleghi iscritti all’Anm, il neo presidente non ha affatto detto che il pericolo di un pm al servizio del governo sia previsto nella riforma. Su questo punto, che coincide con un dato oggettivo, Parodi appare irremovibile, e questo di certo non farà piacere ai suoi colleghi, che sul punto hanno lanciato numerosi allarmi.
Il leader appena eletto dalle toghe ribadisce poi «Non sono disposto a trattare nessuna modifica della riforma in cambio di alcunché: l’ho ripetuto allo sfinimento, per la semplice ragione che non ho – non abbiamo, spero e credo – nulla da offrire in cambio. Nulla». E allora perché chiedere un incontro al governo, si sono domandate molti magistrati nelle chat. Lui fornisce questa risposta: «Spiegare una volta per tutte – con chiarezza e direttamente – che noi ci opponiamo alla riforma perché crediamo sino in fondo nella Costituzione, come è oggi e per come è stata declinata, che vogliamo difendere un modo di essere magistrati nel quale ci riconosciamo e fare questo nell’interesse dei cittadini credo non possa essere un male». Occorre, per Parodi, «dimostrare di non avere pregiudizi: ognuno resta con le proprie idee ma nessuno ci deve accusare di non avere provato a scegliere una modalità di rapporto diversa. Non accadrà? Non sarà per colpa nostra e lo diremo, ai nostri colleghi e alla società civile. È fuori, nel Paese, dopo lo sciopero -che farò e faremo- che si gioca la partita: per quanto sapremo essere convincenti, ovunque e con chiunque. Sarà un lavoro difficile, ma stimolante: ci dobbiamo provare».
Insomma, apparentemente sembra che Parodi sia voluto rientrare nei ranghi della magistratura pienamente oppositiva alla riforma, disposto a fare di tutto per vincere l’appuntamento referendario della primavera del 2026. Ma questo tentativo di rassicurare tutta l’Anm di non deviare troppo dalla linea della giunta precedente funzionerà? Il banco di prova sarà lo sciopero del 27 febbraio. L’obiettivo è superare il 70 per cento di astensioni. Se così non fosse, sarebbe già pronta una mozione di sfiducia nei suoi confronti. Quindi ora dovrà impegnarsi affinché ciò non accada. Tuttavia c’è chi teme che Magistratura indipendente voglia in parte sabotare la giornata di astensione per poi presentarsi, qualora l’incontro promesso dal governo venisse fissato nei giorni successivi, più debole dinanzi a Meloni, Nordio e Mantovano.
Lo scopo: accontentarsi del sorteggio temperato per la scelta dei membri dei due futuri Csm, e chiudere definitivamente così la partita del referendum, che finirebbe per essere perso in partenza. A quel punto si aprirebbero scenari di guerra non tanto tra magistratura e politica ma tra all’interno della magistratura stessa.
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