Riflessioni da Dubai sulle imprese famigliari

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Contributi e agevolazioni

per le imprese

 


di ANTONIO GOZZI *

L’area del Golfo (Emirati, Arabia Saudita, Qatar, Oman, Bahrein, Kuwait) è in forte crescita e il clima che si avverte frequentando quei Paesi è estremamente positivo. 

La disponibilità di ingentissime risorse finanziarie generate dall’esplosione del prezzo dell’energia conseguente all’invasione russa dell’Ucraina consente a questi Paesi di giocare un ruolo di primo piano, e sempre di più sarà così in futuro. Giganteschi investimenti sono in corso di realizzazione nell’area del Golfo (si pensi per esempio al futuristico progetto The Line/Neom, la città sostenibile nel deserto dell’Arabia Saudita). Altri investimenti dei Paesi dell’area saranno realizzati in Nord Africa. Si avverte la volontà di questi Paesi di partecipare, in uno schema di cooperazione, alla definizione degli equilibri in Medio Oriente; e gli accordi di Abramo, se estesi anche all’Arabia Saudita, potrebbero rappresentare una tappa fondamentale di questo processo. L’Italia gode in questo momento di un’ottima considerazione e reputazione per il grande lavoro di relazioni e diplomatico svolto nell’area da Giorgia Meloni, per una sempre più intensa presenza delle imprese italiane, e per il prezioso ruolo svolto da Luigi Di Maio quale rappresentante speciale dell’UE per il Golfo.

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Nei giorni 11-12 febbraio scorsi ho seguito i lavori del World Government Summit che si è tenuto come ogni anno, a partire dal 2013, a Dubai. Si tratta di un grande evento che riunisce esponenti di governo di varie parti del mondo, organizzazioni internazionali e leader d’impresa, e che ha l’obiettivo di rinforzare la cooperazione internazionale, di identificare soluzioni innovative per le sfide che ci attendono e di ispirare e sostenere i cambiamenti generazionali sia nelle organizzazioni pubbliche che nelle imprese.

All’interno di questa grande iniziativa ho partecipato ad una tavola rotonda che si è, per l’appunto, occupata di family business, di passaggi generazionali e dell’impatto che la rivoluzione digitale e l’IA avrà su questo tipo di imprese famigliari.

Il confronto è stato molto interessante perché ha coinvolto imprenditori di diverse nazionalità, con culture diverse ma accomunati dall’esperienza plurigenerazionale di gestione di family business.

I padroni di casa, gli emiratini appunto, sono molto interessati a queste esperienze perché le imprese famigliari sono anche per loro un’importante realtà che sorregge la crescita interna e guardano all’Italia ed al suo capitalismo fatto da pmi di proprietà di famiglie come ad un esempio di creatività, diversificazione ed eccellenza.

Molti sono i concetti emersi dal tavolo cui ho avuto la fortuna di partecipare e che ha visto impegnati imprenditori arabi, statunitensi, inglesi, svizzeri, cinesi, tedeschi, italiani.

Anche se i sistemi di impresa sono diversi da Paese a Paese, un po’ dappertutto le imprese famigliari rappresentano un fattore di unità e stabilità economica.

L’intensità e la lealtà nei confronti dell’impresa garantite dal coinvolgimento dei componenti della famiglia rafforzano l’impresa stessa, e sono spesso l’origine della sua performance e del suo successo.

La vitalità, la flessibilità e la reattività le rendono spesso più performanti delle grandi corporation manageriali.

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Non sono le imprese che formano e condizionano le persone, ma è esattamente il contrario. Sono le persone delle famiglie imprenditoriali che plasmano le imprese, perché la creatività è più forte della routine

In questo senso, l’avvento delle nuove generazioni spesso rappresenta un elemento di rinnovamento strategico e organizzativo delle imprese, favorisce l’innovazione e introduce nuove culture e nuove visioni sulla traiettoria dell’impresa. I temi della digitalizzazione e dell’IA sono spesso oggetto di questi rinnovamenti interni.

L’eredità (l’heritage detto all’inglese), ossia il patrimonio lasciato dalle generazioni precedenti, viene raccolto e rivisitato in maniera completamente nuova dai giovani talenti, anche se la cultura e l’identità dell’impresa durano nel tempo e costituiscono la bussola che indica la rotta per le nuove generazioni.

Ogni singolo individuo tende poi naturalmente a raccogliere e sviluppare, a seconda delle sue attitudini, una parte specifica di quella eredità culturale, creando qualcosa di nuovo ma che rimane in collegamento organico con l’origine, con l’identità profonda, con l’anima dell’impresa.

In quest’ottica, innovazione e diversificazione non sono soltanto strategie di business o tecniche di management, ma prima di tutto sono espressione di attitudini, curiosità e visioni delle nuove generazioni.

Tutto quanto detto anche nella tavola rotonda mi ha fatto riflettere sul fatto che le imprese famigliari, come tutte le imprese, sono in perenne trasformazione: ma qui la trasformazione ha a che fare anche con il passare delle generazioni in famiglia.

Non mancano certamente i problemi, primo fra tutti il fatto che il numero dei componenti della famiglia che si occupa dell’impresa cresce di generazione in generazione, e la composizione delle aspettative e degli interessi può essere molto complessa e distrarre energie mentali, di tempo e finanziarie alla gestione normale dell’impresa.

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È per questo che la parola chiave a mio giudizio è professional ownership. In altre parole le famiglie proprietarie e i loro esponenti di punta, se vogliono essere legittimati al ruolo di comando, devono saper esprimere leadership, cultura e grande professionalità rispetto a tre temi fondamentali: la visione strategica, la collocazione e la gestione delle risorse finanziarie e del capitale, la scelta e la guida del management.

In un mondo in rapido cambiamento le imprese famigliari, se sorrette da solidi valori e dalla professionalità dei proprietari, possono essere uno strumento di crescita duratura. 

(* i contenuti di questo articolo sono frutto di una riflessione comune fatta con Matteo Gillerio, responsabile per Duferco dello sviluppo del business in Nord Africa e nel Medio Oriente)



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