Musk e Trump, gli “ingegneri del caos” che (almeno) ci svelano la realtà

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Da tutta questa pazza pazza stagione trumpian/muskiana, nella quale a dichiarazioni effusive seguono azioni poco decifrabili, e nei nei cui confronti l’Europa alterna tentativi di contenimento, diagnostica psico-farmacologica, indignazioni morali, e tentativi di avvicinamento poco chiari allo storico alleato, un dato emerge.  Ma più che un dato politico (è presto per i bilanci, non siamo nemmeno ai giornalistici “cento giorni” di governo) è un dato semiotico, di regime di rappresentazione. Linguaggio e simboli. La presidenza Donald Trump, con l’apporto ipermediatico di Elon Musk al momento ha una funzione di smascheramento. Mostra cose che ci sono da sempre, ma che erano implicite o nascoste in una narrazione rassicurante, solo che ora la narrazione non è più rassicurante.
Dal punto di vista geostrategico (l’abbiamo accennato qui) il punto è l’attenzione degli Usa a fissare confini. Il Canada, il Messico, la Groenlandia, Panama. Gli Usa ora dichiarano il loro intento di sempre: vivere come un continente isolato dal resto del mondo da stati-cuscinetto invalicabili, di nome Oceano Atlantico e Oceano Pacifico. Tutte cose note, ma nei decenni scorsi stemperate dalla narrazione globalista, anche quella di matrice americana. E allargando il discorso alle altre fette di mondo: il disimpegno in Europa era nell’aria già da tempo, sempre vagheggiato, mai attuato; se mai è stata la presidenza Biden a cercare una contrapposizione volontaristica, alla lunga poco frequentabile, nei confronti dell’orso russo. Anche in Medio Oriente, le sparate trumpiane sui resort scoprono un tendenza (quasi culturale) di lungo respiro.

Lacità presunta

Dal punto di vista culturale interno c’è un richiamo a una serie di valori tradizionali (veri o puramente nostalgici? Non importa) che in fondo sono sempre stati nel codice genetico americano. Si può ironizzare sulla religiosità tradizionalista-acquisita del vice presidente JD Vance, e si può notare d’altra parte che la punta avanzata del wokismo è nata e si è sviluppata in seno alle università Usa. Senso di colpa colonial-razziale? Resta il fatto che quella Usa non è mai stata un’opinione pubblica davvero laica. Adesso meno che mai. Ma non è una novità, è solo un’epifania. 

Anche dal punto di vista economico. Al di là del profilo di “grande negoziatore” di Trump, uno per intenderci che le spara alte coi dazi per poi scendere e comprare, siamo dentro al grande tema del calo della produttività nordamericana, alla nota faccenda del disagio dell’”America profonda”. Al malessere coessenziale ai grandi imperi. Se ne parlava già, nei discorsi di Tiberio Gracco (Roma, II secolo a.C.). Bisognerà capire quanti degli ordini esecutivi di Trump saranno anche operativi, quanti saranno bloccati sulla mai facile via che passa tra il dire e il fare. Sta di fatto che quel che dice Trump è perfettamente coerente con la strategia di ripiegamento che è in atto da un po’. Speriamo solo, noialtri europei, di non farci troppo male. 

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Mark Zuckerberg, Jeff Bezos, Sundar Pichai ed Elon Musk, (AP Photo)

Il tech, e l’apocalisse carnevalesca

E infine la questione del tech. Che per molti è il vero punto di svolta di una qualche apocalisse. Con Elon Musk si assiste alla politicizzazione della tecnologia nella sua forma più sfacciata. Ma, in modo meno sfacciato, non è stato sempre così? Chi credeva davvero alla favola degli imprenditori in felpa e sneakers, del garage di casa, o, per dirla con acide parole di commento ad un qualche Keynote di Steve Jobs, agli “unicorni che cagano arcobaleni”? Chi credeva davvero al mito dei “creative commons” e alla sorta di comunitarismo hippie che era dei pionieri del digitale? Chi non sa che tutto il comparto tech vive dall’inizio in una simbiosi con la politica? Musk più che un modello di autocrate tecnologico è un contractor del Governo che ha rischiato di perdere un bel po’ di forniture, e ha un assoluto bisogno di appoggi politici, esattamente come Jensen Huang di Nvidia, Jeff Bezos di Amazon, Sundar Pichai di Google, Mark Zuckerberg di Facebook, Tim Cook di Apple e tutti gli altri (come notava Marco Simoni in un bell’articolo su Il Foglio). È pittoresco in senso iperrealista. Marziano quanto David Bowie. Espressionista per vocazione rappresentativa, per lo più involontaria. 

Come notava Giuliano Da Empoli in un bel libro, Gli ingegneri del Caos (Marsilio) uno degli aspetti del tecno-populismo è il Carnevalesco, il rovesciamento comico dell’ordine del razionale. Ecco, questo rovesciamento ha qualcosa di rivelativo. che abbiamo  tutti sotto agli occhi. 



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