L’insofferenza dei boss e le minacce a Meloni: ora le intercettazioni sui giornali piacciono pure alla premier e alla destra del bavaglio

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Non è vero che al governo non piacciono le intercettazioni pubblicate sui giornali. A Giorgia Meloni, per esempio, sono piaciute tantissimo le parole pronunciate da una delle persone arrestate nell’ultimo blitz antimafia della procura di Palermo.L’Italia per noi è diventata scomoda, io me ne devo andare perché non intendo assolutamente perdere quello che ho creato fino ad oggi”, diceva tale Angelo Barone, considerato dai pm come un personaggio di alto livello dal punto di vista economico per Cosa Nostra. Barone, evidentemente, non deve aver saputo che i mafiosi non parlano al telefono quando commettono reati, come ripetuto più volte dal guardasigilli Carlo Nordio. Le sue affermazioni e quelle di altre centinaia di indagati sono quindi finite in uno dei provvedimenti di fermo, notificati dalla procura di Maurizio de Lucia. Quei virgolettati, dunque, sono stati pubblicati dall’agenzia Adnkronos e poi da quasi tutti i quotidiani digitali italiani. E anche da Meloni, che li ha rilanciati sulla sua pagina facebook: “Le intercettazioni lo dicono chiaramente: ‘L’Italia per noi è diventata scomoda, io me ne devo andare’, ammetteva uno degli arrestati. Un segnale chiaro: la criminalità organizzata è alle strette, la lotta alla mafia non si ferma e non si fermerà. La mafia va sconfitta con determinazione e senza alcun compromesso. Lo Stato c’è e non arretra”, scrive entusiasta la presidente del consiglio.

Un messaggio senza dubbio doveroso quello di Meloni, che solo ieri aveva commentato un’altra intercettazione captata durante un’inchiesta antimafia, questa volta riportata da Repubblica. “Questa Meloni, minchia parla come una disonorata: Non si cambia niente”, diceva Filippo Filiberto, pregiudicato per traffico di droga. Si riferiva al fatto che la premier non avesse alcuna intenzione di alleggerire il 41 bis, il carcere duro per detenuti mafiosi. “Parla proprio come una disonorata fascista che non è altra… ma come si ci dà il voto ad una come questa”, aggiungeva l’uomo, mentre gli investigatori registravano ogni parola. “Ho letto le intercettazioni pubblicate da La Repubblica, in cui alcuni boss si scagliano contro di me e il governo italiano per non aver allentato il carcere duro ai mafiosi. Un’ulteriore conferma che siamo sulla strada giusta”, ha commentato dunque Meloni. Messaggi di questo tenore, con annessa solidarietà per la premier, sono arrivati anche dal ministro Tommaso Foti, dal sottosegretario Andrea Delmastro e da vari esponenti della centrodestra. Cioè lo stesso schieramento che ha dato il via libera al bavaglio sulle ordinanze di custodia cautelare.

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Nel dicembre scorso, infatti, il Consiglio dei ministri ha approvato in via definitiva il decreto legislativo che vieta la pubblicazione testuale delle ordinanze di arresto. Un provvedimento proposto dal deputato di Forza Italia Enrico Costa, ma che il guardasigilli Carlo Nordio ha esteso anche alle ordinanze di obbligo o divieto di dimora, di interdizione dallo svolgimento di un’attività e all’obbligo di firma. Ovvero tutti quei documenti giudiziari che spesso contengono i virgolettati delle intercettazioni telefoniche e ambientali. Comprese quelli che, negli ultimi giorni, Meloni e i suoi hanno dimostrato di voler continuare a leggere, considerandoli evidentemente utili. E infatti i 5 stelle attaccano: “Fanno sorridere le parole della presidente del consiglio che in un post social cita testualmente un’intercettazione pubblicata dalla stampa, esattamente quello che la legge Bavaglio del governo ha voluto vietare, con grave torto per l’opinione pubblica: Meloni contro le leggi del governo Meloni“, scrivono in una nota i parlamentari delle commissioni Giustizia di Camera e Senato.

E dire che, prima di scoprirsi appassionata di cronaca giudiziaria, la premier ha difeso personalmente il bavaglio. Lo ha fatto durante la conferenza stampa d’inizio anno, incalzata dal presidente dell’Ordine dei Giornalisti sul divieto di pubblicazione delle ordinanze. “È consentito al giornalista di avere l’ordinanza, si chiede di fare una sintesi. Si può continuare a dare notizia dei fatti di cronaca rilevanti, si chiede di non fare copia e incolla dell’ordinanza perché sono contenuti dati sensibili e stralci di intercettazioni“, aveva argomentato, sostenendo anche come il bavaglio fosse stato varato “in attuazione della direttiva europea del 2016 che riguarda il pieno rispetto della presunzione di innocenza”. Per la verità, però, pochi giorni dopo, la Commissione Europea aveva formalmente smentito il governo: la direttiva sulla presunzione d’innocenza non prevede alcun limite alla pubblicazione da parte della stampa di documenti processuali. E meno male: altrimenti Meloni e i suoi non avrebbero potuto leggere quelle intercettazioni che – giustamente – considerano rilevanti. Quello che non si capisce è perché non vogliono assicurare sempre lo stesso tipo di informazione anche agli altri cittadini: nessuna sintesi più o meno interpretabile, ma solo fedeli virgolettati.



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