di Edoardo Semmola
Il professor Leonardo Bianchi dell’Università di Firenze: la competenza è esclusiva dello Stato, la Regione doveva farsi promotrice di una legge nazionale
«Lo Stato, non la Regione. Sul fine vita deve legiferare il Parlamento».
Quindi secondo lei, Leonardo Bianchi, docente di Diritto costituzionale all’Università di Firenze, il Consiglio regionale ha sbagliato?
«La sentenza della Corte Costituzionale che mette al riparo il medico che aiuta un paziente a morire — in presenza di 4 specifiche circostanze — era già applicabile senza bisogno di una legge. I problemi applicativi che però pone, necessitano di una disciplina nazionale».
La Toscana avrebbe dovuto astenersi dal legiferare?
«Sì perché non si tratta di tutela della salute ma di assicurare l’esercizio del diritto alla vita. È il primo dei diritti».
La Corte di fatto ha sentenziato sul diritto a morire.
Giuridicamente parlando, a chi appartiene la vita? All’individuo? Allo Stato?
«Il diritto all’autodeterminazione è riconosciuto in Costituzione anche se non esplicitato testualmente, ma la Corte ribadisce che il suicidio non è un valore ma un disvalore».
Ma se suicidarsi non è reato e il medico che aiuta un paziente a morire non è punibile, questo «disvalore» non viene di fatto svuotato?
«Il disvalore sociale rimane se consideriamo il fatto che l’istigazione al suicidio è ancora punita. E rimane nella lettera della sentenza».
Il conflitto tra principio di autodeterminazione e diritto alla vita come si risolve?
«Quando due diritti fondamentali sono in conflitto si tratta di soppesarli secondo il principio di ragionevolezza. Dovrebbe farlo il legislatore nazionale».
Ancora il Parlamento dunque. Per questo pensa che la nostra Regione avrebbe fatto meglio ad astenersi.
«Anche perché questioni che impegnano la coscienza meriterebbero il voto segreto, mentre in Consiglio regionale il voto è palese. Poi, come detto: è una materia di competenza statale, non regionale. Il Consiglio regionale avrebbe dovuto farsi promotore di una legge nazionale».
Che la storia ci insegna sarebbe finita sotto il proverbiale tappeto.
«Questo però è un dato politico, non giuridico. E non è nemmeno così vero: la commissione Giustizia del Senato ci sta lavorando».
Per i promotori si è trattato di una extrema ratio per mancanza di alternative.
«Che però non tiene conto della necessaria uguaglianza di trattamento in tutto il territorio nazionale. Così si alimenta un “turismo della morte” da altre regioni. E anche all’interno della Toscana non si garantisce uniformità».
«Abbiamo 3 Asl e 4 aziende ospedaliere, le cui commissioni etiche potrebbero dare pareri diversi. E la commissione regionale di bioetica è paralizzata dal 2019 e non viene presa in considerazione da questa nuova legge».
«I tempi, troppo serrati: sono pochi 37 giorni per esaurire un provvedimento totalmente irreversibile».
Lei è contrario alla norma solo «tecnicamente» o anche dal punto di vista dei valori?
«Da giurista parlo solo degli aspetti problematici giuridici. Ma qui parliamo della vita, non delle concessioni balneari: c’è una qualità diversa».
Che la Toscana faccia da apripista su un tema così importante come lo giudica?
«Giurisprudenza costituzionale ed europea non offrono spazio per una legge regionale su questo tema».
E il tema dell’obiezione di coscienza come si affronta?
«La legge prevede un’adesione volontaria alle commissioni e alla pratica del suicidio assistito: è così che prova a levarsi di torno il problema: niente obbligo, niente obiezione».
«Forse, vediamo in fase di applicazione».
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