Vino e Cibo di Alvaro Visconti

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Anche se mia moglie gestisce l’Agriturismo di famiglia e ne è la cuoca, spesso a casa mi capita di dover preparare la cena. Ieri sera era in programma una grigliata di maiale, con braciole e salsicce (rigorosamente della Società Agricola F.lli Angelucci), cotte nel camino di casa. Rientrando al lavoro dopo un giorno di ferie, ho trovato sulla mia scrivania una bottiglia di Rubesco 2020 della cantina Lungarotti, recapitatami dal Direttore Nicola Bossi per un articolo sulla rubrica. E’ un rosso di Torgiano doc con il 13,5% di alcol. Quale occasione migliore per aprirla e testarla, pur sapendo che avrebbecomunque svolto egregiamente il suo compito?

Della bottiglia mi ha colpito l’etichetta, con uno stile che mi ricorda una tecnica di disegno che mi hanno insegnato, ormai quasi un secolo, fa al liceo e che raffigura due momenti della vendemmia. Spulciando su internet ho scoperto che si tratta di una parte del bassorilievo che orna la Fontana Maggiore di Perugia. Interessante è anche la genesi del nome: deriva dal verbo latino “rubescere”, che significa arrossire: chissà se vi è un riferimento a ciò che potrebbe accadere esagerando con la quantità … L’etichetta riporta che è ottenuto da uve sangiovese e colorino.

Conto e carta

difficile da pignorare

 

Il sangiovese, il vitigno a bacca rossa più coltivato nell’Italia centrale, non ha bisogno di presentazioni, mentre il colorino è poco diffuso ed ugualmente poco noto ai più. E’ un vitigno autoctono della Toscana, usato in passato per dare più colore al vino e per ammorbidire la tannicità tipica del sangiovese.Nel calice Il Rubesco Lungarotti 2020 si presenta di colore rosso rubino intenso con riflessi violacei; è limpido, non proprio impenetrabile, ma ci va vicino; la rotazione del calice rileva una buona struttura. Al naso è di buona intensità e persistenza; si percepiscono sentori di rosa e di viola, seguite da note di frutta rossa: ciliegia, amarena, melagrana, lampone; evidenti anche note speziate di pepe, cannella e tabacco. Il bouquet è quindi numeroso e nel complesso fine. Al palato è secco, ha una buona freschezza ed i tannini sono ben presenti; nel contempo il vino è caldo ed abbastanza rotondo. Qui faccio una digressione, ispirata alle lezioni del “prof” Ennio Baccianella, presidente dell’Associazione Sommelier a Tavola con Bacco.

Un vino è equilibrato quando tutte le componenti sensoriali sono in armonia tra loro. Tali componenti sono l’acidità, che conferisce freschezza e vivacità al vino; la sapidità, data dai sali minerali contenuti nel vino; i tannini, che apportano struttura, ma anche una s al vino; l’alcol, che aggiunge calore e corpo, e dai polialcoli, che donano morbidezza e rotondità. Se nessuna di queste componenti prevale nettamente sulle altre il vino è considerato può dirsi equilibrato. Se invece l’acidità fosse troppo alta rispetto alla dolcezza, il vino potrebbe risultare aspro; se l’alcol fosse troppo percepito, potrebbe risultare pesante o troppo caldo. Nel caso del Rubesco 2020 acidità e tannicità sono prevalenti, ma non in misura fastidiosa e nel tempo sono destinate ad equilibrarsi; nel complesso il vino è risultato più che gradevole. Non un vino da 90 punti in un panel di valutazione, ma comunque molto valido, anche in relazione al prezzo cui è venduto nelle enoteche online, di circa 9 euro.

Le caratteristiche sopra descritte lo rendono adatto con primi della nostra tradizione umbra, come le tagliatelle al ragù, ma anche con le lasagne alla bolognese; per i secondi con un arrosto, anche misto, con un arrotolato di vitello in tegame o con carne alla brace, meglio se una fiorentina o una tagliata di vitello, ma lo vedo bene con un pecorino stagionato e con dei salumi saporiti. Come agevolmente previsto, il vino ha svolto egregiamente il suo compito di “pulire” la bocca e prepararla al boccone successivo Un docente di filosofia teoretica sostiene che nel mangiare e nel bere, gli esseri umani dicono chi sono, come si rapportano al mondo e come stanno con gli altri. Perché l’uomo non è affatto quel che mangia, ma mangia quel che è. Insomma, proprio dal modo in cui mangia sono ricavabili le coordinate culturali che caratterizzano il suo modo di abitare il mondo. E questo un po’ mi preoccupa: descrivendo sporadicamente qualche cena, non vorrei fare un racconto pessimo di me stesso.

In ogni caso, dopo aver cenato mi sono seduto soddisfatto sul divano per finire di leggere un libro. Come sosteneva Moliere, grande è la fortuna di colui che possiede una buona bottiglia, un buon libro e un buon amico.



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