Con le sue dichiarazioni di intenti fragili e poco concrete, la risoluzione finale del G20 di Rio de Janeiro è improntata alla genericità. “Rimaniamo risoluti nel nostro impegno a combattere la fame, la povertà e la disuguaglianza, a promuovere lo sviluppo sostenibile nelle sue dimensioni economica, sociale e ambientale e a riformare la governance globale”, si legge nell’ultimo paragrafo della dichiarazione. La vaghezza dei contenuti, d’altro canto, è probabilmente il compromesso che ha consentito che il documento venisse approvato.
Sul clima manca un impegno vincolante a destinare risorse per sostenere i Paesi in via di sviluppo nell’affrontare i cambiamenti climatici, limitandosi al riconoscimento di una generica “necessità di catalizzare e incrementare gli investimenti da tutte le fonti e i canali per colmare il divario di finanziamento delle transizioni energetiche a livello globale”.
Incerte le conclusioni sulle grandi crisi internazionali, che non contengono condanne esplicite per via dei soliti veti incrociati. “Accogliamo con favore tutte le iniziative pertinenti e costruttive che sostengono una pace globale, giusta e duratura”, si legge con riguardo al conflitto ucraino.
A proposito dello scenario mediorientale, viene riaffermato “il diritto palestinese all’autodeterminazione” e la soluzione dei due Stati, “in cui Israele e uno Stato palestinese vivano fianco a fianco in pace all’interno di confini sicuri e riconosciuti”. E si sottolinea la “profonda preoccupazione per la situazione umanitaria catastrofica nella Striscia di Gaza e per l’escalation in Libano”.
Sull’impegno a combattere povertà e disuguaglianze aveva battuto molto il presidente del Brasile Lula, che ha ottenuto il lancio dell’Alleanza globale contro la fame e la povertà, con l’adesione di 82 Paesi, inclusa l’argentina dell’ultraliberista Milei. Un altro cavallo di battaglia del presidente brasiliano era la tassa ai miliardari, su cui non è però riuscito a strappare un successo altrettanto netto.
I Paesi – si legge nella risoluzione – si impegnano in modo cooperativo “per garantire che gli individui con un patrimonio netto ultra elevato siano tassati in modo efficace”. Lula, più concretamente, aveva proposto una tassa del 2% sui grandi patrimoni, che potrebbe garantire fino 250 miliardi di dollari per la lotta alla fame e all’impatto dei cambiamenti climatici sulle popolazioni.
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