(a cura di Vincenza Frasca, presidente del Gruppo Donne di Confimi Industria)
È sempre necessario riconoscere i meriti, ma spesso il plauso rischia di rimbombare negli spazi delle mancanze. Le donne italiane non fanno più figli. Colpa del costo della vita, delle retribuzioni inadeguate, dell’evoluzione della società e delle pari opportunità, e di un welfare zoppicante?
Secondo l’Istat, si stima che da una popolazione di 59,2 milioni si passerà a 57,9 milioni nel 2030 e a 54,2 nel 2050. E visto che un Paese che invecchia è uno Stato in crisi economica, il governo di Giorgia Meloni si è da subito impegnato pubblicamente per garantire centralità ai temi “natalità e famiglia”. Una promessa che è stata mantenuta con l’impegno.
Sono diverse, infatti, le novità in tema di supporto alle maternità. Si comincia con i nuovi Lea, i livelli essenziali di assistenza che altro non sono che le prestazioni mediche garantite dietro al pagamento di un ticket. A partire dal prossimo 30 dicembre, tra le prestazioni in lista figura anche la Procreazione medicalmente assistita (Pma). Già inseriti nella manovra Finanziaria 2025 presto in discussione, anche diverse agevolazioni fiscali per promuovere la natalità – dal bonus bebè al contributo per gli asili nido, passando per i fringe benefit.
Sono aiuti giustamente pensati per quelle donne, e famiglie, con un reddito basso, siano dipendenti pubblici o privati. Ma al di là degli aiuti economici, le politiche di welfare del Governo sembrano dimenticare una larga fetta di donne che contribuisce con il proprio lavoro all’economia del Paese. Sono le imprenditrici, quasi tutte a capo di Pmi, piccole e media imprese, perlopiù a gestione familiare; nella maggior parte a capo di un’azienda con pochi dipendenti.
Per questo, Confimi Industria ha presentato al governo alcune proposte alla legge di Bilancio che il Gruppo Donne della Confederazione ha elaborato con il supporto di tutte le rappresentanti della categoria.
Per sopperire all’assenza di meccanismi di welfare a supporto della maternità delle imprenditrici, abbiamo pensato all’istituzione di un apposito registro di “Temporary Manager” presso le Camere di Commercio. Una figura che consenta all’imprenditrice di poter scegliere e fruire gratuitamente di questa figura professionale per un periodo minimo di 5 mesi così come riconosciuto alle lavoratrici da lavoro dipendente.
Parallelamente si chiede lo stanziamento di fondi che permettano alle imprenditrici di potersi occupare dei figli nei primi 36 mesi di vita del bambino (almeno fino alla fase di prescolarizzazione) senza dover necessariamente interrompere l’attività lavorativa. Rimane in piedi la richiesta di aprire più asili nido pubblici, magari ampliando l’orario di apertura così da supportare realmente la gestione familiare. Un modo anche per creare nuovi posti di lavoro e nuova occupabilità soprattutto nei piccoli centri e nelle aree decentrate o cosiddette industriali.
Ancora: chiediamo che si lavori a una sempre maggiore applicazione della contrattazione aziendale o di secondo livello, utilizzando quegli strumenti che intervengono sulla flessibilità oraria e l’introduzione di una forma di taglio del cuneo fiscale per le imprenditrici con figli a carico, per ridurre il costo del lavoro e incentivare la loro partecipazione e permanenza nel mercato.
Un’attenzione anche in tema di previdenza: le imprenditrici sono sottoposte a un regime previdenziale molto distante dal lavoratore dipendente, ma ciò non toglie che possano essere introdotte delle accortezze di sostegno e supporto. Si potrebbe considerare, per esempio, l’estensione dell’opzione donna anche in favore delle imprenditrici nell’ottica di una reale interruzione del rapporto di lavoro rispetto alla propria azienda. E, in ultimo, si potrebbe modificare il meccanismo di calcolo – ai fini pensionistici – dei periodi di maternità. A oggi, infatti, il suddetto periodo risulta come contributo figurativo, ovvero si somma al conteggio dell’età pensionabile ma non concorre ai fini contributivi. Così come visto l’impegno e il ruolo sociale della maternità, sarebbe invece da equiparare e conteggiare ai fini pensionistici come pari a 12 mesi.
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