Quando il trafficante è lo Stato

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Decine di migliaia di migranti arrestati in Tunisia. E poi venduti alla Libia. Dove vengono torturati. La denuncia in un rapporto al Parlamento Europeo

Ci hanno catturato in mare. Arrivati a terra, ci hanno perquisito, ci hanno preso i telefoni e le cose importanti. Abbiamo visto un poliziotto picchiare una donna e abbiamo voluto reagire, era una donna incinta. Loro hanno iniziato a tirarci i lacrimogeni negli occhi, poi ci hanno ammanettato e caricato su dei veicoli». La testimonianza è di W.A. uno delle migliaia di migranti intercettati in Tunisia le cui tracce si sono perse nel nulla, tra la sabbia del deserto e le prigioni libiche. Che per i migranti la situazione nel Paese nordafricano fosse critica era risaputo, ma nessuno ancora era riuscito a identificare uno schema ben preciso, un vero e proprio traffico di Stato che va avanti, ormai, da almeno tre anni. E si chiama proprio così, infatti, “State trafficking”, il rapporto presentato al Parlamento europeo di Bruxelles per denunciare le violazioni dei diritti umani, le torture e le condanne a morte avvenute dal giugno 2023 al novembre 2024. Non che dopo quella data le cose siano cambiate, anzi. Ma è quello il periodo in cui gli analisti hanno potuto verificare con i propri occhi alcune dinamiche e parlare con 30 testimoni. Il lavoro è stato portato avanti da Rrx, Ricercatrici/Ricercatori X, un gruppo internazionale che ha scelto di usare uno pseudonimo collettivo anonimo proprio per tutelare la sicurezza degli studiosi che in Tunisia rischiano grosso anche solo se fanno qualche domanda generica sul tema migratorio. Il rapporto, cui hanno collaborato anche l’Asgi, l’associazione Border Forensic e On Borders, ricostruisce i cinque step di questo traffico di Stato. Il primo, l’arresto. Il secondo, il trasporto verso la frontiera tunisino-libica. Il terzo, il ruolo dei campi di detenzione alla frontiera tunisina. Il quarto, il passaggio e la vendita a corpi armati libici. Il quinto, la detenzione nelle prigioni libiche sino al pagamento del riscatto.

 

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Le testimonianze e i racconti degli analisti hanno messo in evidenza quanto questo iter sia ormai perfettamente oliato e ottimizzato. È, ormai, un meccanismo automatico, nascosto ai più, ovviamente, ma praticamente garantito dall’Ue, che chiude un occhio, e dall’Italia, che ha fortemente lavorato alla sigla di un memorandum per il blocco delle partenze. Una riduzione degli arrivi dalla Tunisia effettivamente c’è stata, ma è direttamente proporzionale al numero di atrocità e violazioni che sono state compiute in Tunisia. Secondo il Forum Tunisino per i Diritti Economici e Sociali (Ftdes), infatti, il Paese di Kais Saied ha bloccato oltre centomila persone in fuga, di cui oltre l’80 per cento provenienti dall’Africa sub-sahariana. Una parte consistente di queste ottantamila persone, a partire dal giugno del 2023, è stata vittima di respingimenti verso l’Algeria e la Libia. «Queste espulsioni rimangono spesso invisibili, perché nascoste e realizzate in aree militari inaccessibili ai mezzi di comunicazione. È tale velo che questo rapporto vuole rimuovere attraverso i racconti che il lavoro di ricerca ha permesso di raccogliere», scrivono gli autori del dossier. La cattura dei migranti avviene spesso già in mare, con motovedette e gommoni pagati con i soldi dell’Ue. «La Garde Nationale ci ha chiesto di spegnere il motore. Ci hanno detto: se non spegnete il motore vi facciamo le onde e vi rovesciate. Dato che c’erano donne e bambini, abbiamo spento il motore. Noi gli abbiamo chiesto di trainarci a terra. Loro hanno detto no e hanno iniziato a fare le onde. La mamma del bambino ha iniziato a piangere, piangere e chiedere perdono», ha raccontato I. B. ai ricercatori.

 

Secondo quanto ricostruito, i migranti vengono ammassati in spazi di concentramento da cui partono i bus diretti verso il deserto. «Il trasporto avviene prevalentemente di notte. Sugli autobus, oltre all’autista, c’è sempre il personale in uniforme della Garde Nazionale ed è proprio lì, tra i sedili, che si assiste a una prima intensificazione delle violenze fisiche e morali. Le persone sono immobilizzate e non hanno alcuna informazione rispetto al loro destino. Qualunque richiesta relativa al cibo, alle cure o a bisogni fisiologici viene trattata attraverso le percosse», spiegano gli autori del rapporto. La fase successiva è quella dell’abbandono nel deserto senza acqua né cibo, una condanna a morte, o del raduno in luoghi strategici dove avviene un vero e proprio mercato di esseri umani. Uomini, donne, ma anche bambini. Le donne sono quelle che valgono di più, fino a 300 dinari tunisini, cioè 90 euro. «I prigionieri sono scambiati con denaro, hashish e carburante – spiegano ancora gli analisti – e i pagamenti possono prevedere anche una forma mista fra queste tre modalità. Una costante fra i venditori è la presenza di personale in uniforme dal lato tunisino. Variabile è la tipologia degli acquirenti dal lato libico: nelle testimonianze si riporta la presenza di gruppi interamente in uniforme e con mezzi ufficiali, gruppi misti (personale in uniforme e personale armato in abiti civili), milizie prive di uniforme». «Ci hanno lasciato nel deserto», ha raccontato un testimone. «I libici sono venuti con un pacchetto di soldi che hanno dato ai tunisini».

 

Questo meccanismo infernale della Tunisia è avallato e finanziato dall’Ue e, di fatto, va a rafforzare il business dei trafficanti: quelli che dalla Libia comprano esseri umani, li seviziano, li buttano in prigione per ottenere riscatti dalle famiglie e poi li rilasciano, permettendogli di riprendere il largo verso il Mediterraneo, ovviamente pagando altri soldi ad altrettante milizie. È un micidiale circolo vizioso che la politica internazionale e la politica italiana, in particolare, stanno alimentando con accordi internazionali, come il memorandum con il presidente Saied, e con il memorandum con la Libia. Proprio il Paese da cui proveniva e dove è stato rispedito con un volo di Stato il capo della polizia giudiziaria libica Njeem Osama Almasri Habish, noto per torture e traffico di migranti e per questo finito sotto indagine dalla Corte penale internazionale dell’Aja. Giorgia Meloni è sotto inchiesta con l’accusa di peculato e favoreggiamento, per non aver rispettato un mandato di cattura. Giusto lei che vantava di dare la caccia ai trafficanti lungo tutto il globo terracqueo. Almasri, però, è una figura cardine dell’apparato libico che gestisce gli affari internazionali e, soprattutto, è uno di quelli che conosce fin troppi segreti. Molto meglio, avrà pensato il governo, ignorare le accuse e proteggere il rapporto economico con la Libia. Le politiche del governo, dunque, così come dei governi precedenti, in realtà, non pongono fine al problema migratorio. Anzi, lo finanziano, elargendo milioni nelle tasche di stupratori, mercenari, assassini e trafficanti. Negli ultimi anni, di fronte a conclamati abusi, violazioni dei diritti umani e naufragi, Ue e Italia hanno girato la faccia dall’altro lato, rendendosi complice di atti disumani, come quelli che vengono descritti nel dossier di Rrx. La rete degli smugglers, poi, è sempre attiva, su tutte le rotte. L’organizzazione è capillare e si basa su un concetto di marketing molto avanzato che, spesso, può far affidamento su accordi reali che, però, vengono tenuti nascosti dalle istituzioni, i così detti accordi soft, e sulla richiesta sempre maggiore. Di mettersi in salvo, andare oltre il confine, arrivare in Europa. 



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