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Il futuro è nelle start up bio guidate da donne #finsubito prestito immediato


In Italia la bioeconomia, cioè il sistema economico che utilizza risorse biologiche o rinnovabili, vale circa 440 miliardi e dà occupazione a due milioni di persone (fonte Intesa Sanpaolo Research Department). «Comprende tutta la filiera bio-agroalimentare, la moda e la cosmesi sostenibile, la carta riciclata, la chimica verde, la farmaceutica bio» spiega Andrea Beretta, responsabile dei programmi di accelerazione di Cariplo Factory. Eppure, non ci sono tanti investitori che puntano su questo comparto. «Secondo le nostre rielaborazioni, se nel 2023 si è investito nelle start up, in totale, per un miliardo, a quelle bio sono andati soli 135 milioni. In Europa il mercato è sviluppato e finanziato, in Italia ancora no. Eppure crediamo che nel nostro Paese ci sia spazio per far crescere start up e per farle scalare all’estero».

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Con questo obiettivo è nato il programma di accelerazione Terra Next, creato da CDP Venture Capital (il più grande operatore di fondi Venture Capital in Italia) e Intesa Sanpaolo Innovation Center, gestito e portato avanti da Cariplo Factory. Arrivato alla terza edizione, Terra Next ha ricevuto finora 450 candidature; nei primi due anni ha fatto crescere 15 start up che hanno ricevuto dal programma 1,5 milioni di euro. Quest’anno ne ha selezionate altre sette che hanno ottenuto un finanziamento complessivo di 750mila euro oltre a un percorso di formazione di tre mesi. «Inoltre, grazie a Terra Next mettiamo in contatto le start up con ulteriori investitori, e i riscontri sono molto positivi. C’è fiducia e il progetto funziona» conclude Beretta.
Andiamo a vedere da vicino alcune delle realtà accelerate, scegliendo tra quelle guidate da donne.

«Con la nostra start up bio potenziamo le cellule della mela annurca»

Carmen Laezza, 29 anni, biologa, dottoranda all’Università Federico II e ceo di ImmunoVeg

Carmen Laezza, ceo di Immunoveg.

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«ImmunoVeg è uno spin off dell’università di Napoli Federico II e del Cnr. Dei quattro fondatori, due sono docenti universitari e due ricercatori Cnr. Io ho iniziato il dottorato poco dopo la nascita dello spin off e, nei laboratori della facoltà di Agraria, sto portando avanti la ricerca sull’uso delle colture vegetali per la produzione di bioingredenti. La linea principale riguarda la mela annurca campana. Coltiviamo cellule in laboratorio, senza doverle prendere dalle piante, e per potenziarle utilizziamo stimolatori naturali, come gli scarti del caffè e della lavorazione della birra. Queste cellule sono ricche di polifenoli, sostanze organiche con proprietà antiossidanti utilizzate nell’alimentazione e nella cosmesi.

Abbiamo già il brevetto per il potenziamento delle cellule, perché la particolarità è che lo facciamo in modo naturale. I “nostri” polifenoli potrebbero essere immessi negli omogeneizzati o nei succhi di frutta. In quanto alla cosmesi, ne abbiamo già testato l’uso nelle creme cicatrizzanti, e abbiamo visto come le ferite si rimarginano più rapidamente che con altri prodotti. La nostra ricerca è utile per risparmiare sui costi e sui tempi e per un’alimentazione più sostenibile. Questo non vuol dire sostituirsi alla produzione di mele. Però le cellule potenziate mantengono tutte le proprietà nutritive, che invece si perdono con la tradizionale lavorazione della frutta. Per ora siamo ancora alla fase di laboratorio, ma grazie a Terra Next e ad altri finanziamenti che stiamo cercando, come start up bio contiamo di passare presto alla produzione».

«Il nostro sensore ci dice come sta la pianta»

Michela Janni, 47 anni, fisiologa vegetale, ricercatrice Cnr e socia fondatrice di Plantbit

Michela Janni, fondatrice di Plantbit

«Plantbit è nata nel 2023 come spin off di Imem (Istituto dei materiali per l’elettronica e il magnetismo)-Cnr a Parma. Siamo in quattro soci fondatori; tre ricercatori del Cnr mentre uno di noi dal 1° gennaio 2025 sarà a tempo pieno sul progetto. La nostra start up si occupa di migliorare la sostenibilità nell’agricoltura. Abbiamo creato e brevettato un sensore, Bioristor, che si inserisce nel fusto della pianta e permette di controllarne lo stato di salute. In particolare, ci dice quando e come irrigare le piante, in modo da farle stare bene senza spreco di risorse; bastano 5 sensori per ettaro. Abbiamo già visto che con i pomodori riusciamo a risparmiare il 40 per cento di acqua ma funziona anche con le patate e gli alberi da frutto. Intanto stiamo continuando a fare ricerca su altri filoni, come individuare quando è necessario concimare e capire quando la pianta viene attaccata da patogeni esterni.

Il prototipo è già funzionante, abbiamo fatto prove sul campo. Abbiamo finalmente chiuso un accordo con gli investitori, da metà del 2025 passeremo alla vendita, sia attraverso consorzie cooperative, sia direttamente con le aziende produttrici. Siamo stati i primi a creare questo sensore, che in realtà era stato pensato per monitorare il sudore umano negli sportivi, e siamo riusciti ad applicarlo alle piante. I risultati sono molto positivi».

«La nostra bioplastica dagli scarti del pesce»

Mariangela Melino, 36 anni, cfo e cofounder di Relicta

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Mariangela Melino, cofounder di Relicta.

«Relicta è nata nel 2017 nel Contamination Lab dell’università di Sassari, un percorso per aspiranti giovani imprenditori. Un mio collega, Davide Sanna, aveva ideato una bioplastica con gli scarti del pesce che però si scioglieva in acqua. Sembrava un problema, si è rivelato il suo punto di forza. Abbiamo creato un team e nel 2020 è nata la nostra start up bio. Relicta è un perfetto esempio di economia circolare. Può essere utilizzata per il packaging di prodotti elettronici e per l’alimentare secco. Si scioglie immediatamente se immersa in acqua calda; in quella del mare servono 20 giorni ma fin da subito non inquina, quindi se i pesci la mangiano non c’è problema. Dal 2020 abbiamo avuto diversi finanziatori, tra i quali Terra Next, e oggi nella società oltre ai noi cinque soci sono entrati due fondi d’investimento. La fase di prototipizzazione è finita da tempo, abbiamo il brevetto della bioplastica, che è trasparente e inodore, e stiamo aspettando quelli per la fase industriale.

I tempi di produzione sono gli stessi delle altre bioplastiche; come quelle che nascono dagli scarti delle lavorazioni agricole anche la nostra, che viene dal mare, deve essere pre-trattata. Siamo pronti per passare alla fase pilota e alla produzione, speriamo di partire nel 2025, anche perché abbiamo già rapporti con aziende sarde e internazionali per la vendita e con quelle ittiche per l’approvvigionamento della materia prima. Noi cinque, pur provenendo dalla stessa università, non ci conoscevamo. Ma il bello è che il team funziona benissimo, siamo in perfetta sintonia».

«Una tecnologia innovativa per tracciare i prodotti»

Antonella Farzati, 46 anni, cofounder e ceo di Farzati

Antonella Farzati, ceo di Farzati.

«Sono avvocata, mio marito è informatico: insieme, 10 anni fa abbiamo creato dal nulla questa società in un paese nel parco del Cilento. Facciamo ricerca e sviluppo nell’agroalimentare, nel medicale, nelle biomasse, sviluppando tecnologie innovative nei nostri laboratori. Abbiamo creato un sistema integrato di tracciabilità attraverso un dispositivo, BlueDev, del quale siamo proprietari, che verifica la provenienza e la qualità delle materie prime organiche. Per esempio, del pecorino toscano Dop controlliamo l’intera filiera, dal latte fino alla singola forma di formaggio. Di recente abbiamo raggiunto un accordo col consorzio della mozzarella campana Dop.
Il BlueDev è un piccolo dispositivo, funziona come uno scanner che va a catturare la struttura complessa chimica del prodotto; attraverso l’AI creiamo un’impronta digitale che ci consente di mettere i dati in sicurezza e ce li certifica, come se fosse un notaio digitale. Bastano pochi secondi per avere l’informazione completa, a seconda di quello che chiede il cliente, senza bisogno dell’etichetta. Per quanto riguarda l’olio d’oliva, bastano 5 ml per riuscire a mapparlo e a distinguere le diverse percentuali di cultivar, le varietà di olive impiegate. Nelle bioplastiche, controlliamo dal polimero al sacchetto finito. Abbiamo ideato tutto noi, sia la parte hardware, sia quella software. La nostra sfida è restare qua, in un paesino lontano da tutto, e offrire ai giovani un’opportunità per non emigrare».

«Una start up bio per lavorare sul benessere di cani e gatti»

Bianca Viancini, 33 anni, founder di Longevity Pet

Bianca Viancini, founder di Longevity Pet.

«L’idea mi è venuta grazie al mio bulldog francese, che aveva diversi fastidi fisici. Mi sono chiesta che cosa potessi fare per migliorare la qualità della sua vita e mi
sono accorta che ci sono poche soluzioni non farmacologiche per la prevenzione dei malanni di cani e gatti. Così, con un piccolo team di quattro persone, appoggiandoci a un laboratorio esterno e ad alcuni veterinari consulenti, abbiamo messo a punto il percorso benessere di Longevity Pet. Da gennaio 2024, siamo sul mercato con
i nostri integratori ottenuti da ingredienti naturali tutti made in Italy. Vendiamo on line e in alcune farmacie partner.

Stiamo crescendo: da poco siamo anche presenti in una catena di supermercati molto diffusa come unico brand di integratori pet. Abbiamo una banca dati di circa 6000 clienti; in base alla razza e all’età dell’animale siamo in grado di offrire un percorso di prevenzione preciso, oltre a un servizio gratuito di consulenza dei nostri veterinari. Tra i prodotti di maggior successo di Longevity Pet ce n’è uno calmante per i gatti, con camomilla e valeriana, e un altro per i problemi articolari dei cani di grossa taglia».

 

iO Donna ©RIPRODUZIONE RISERVATA

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