Apprendistato nella PA, occasione persa: cosa ha frenato l’innovazione

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In un recente studio condotto da ADAPT (scritto con Michele Tiraboschi e Matteo Colombo), sono state evidenziate alcune criticità in ordine a due sperimentazioni in tema di apprendistato, riconducibili a due diverse stagioni di indirizzo politico. La prima, su impulso dell’ex ministro della Pubblica Amministrazione Brunetta, risale al 2021, e ha dato luogo a soli 20 rapporti di apprendistato, tutti nell’ambito del dottorato di ricerca; la seconda sperimentazione, del 2023, ha consentito di mettere a bando solo 75 contratti di apprendistato.

Tentativi di integrare l’apprendistato nella pubblica amministrazione

Il tentativo di facilitare l’ingresso dei giovani nella Pubblica Amministrazione attraverso il contratto di apprendistato risale alla legge Treu del 1997, tentativo poi reiterato dalla Legge Biagi e dal Testo unico dell’Apprendistato del 2011, e dal Jobs Act del 2015: ma in tutti questi casi sono mancati i relativi provvedimenti attuativi, precludendo, di fatto, ai giovani fino ai 29 di utilizzare concretamente uno strumento che li formasse e assicurasse loro un posto di lavoro nel settore pubblico, oltre che la possibilità di gestire in maniera efficiente il turnover generazionale.

Il ruolo del decreto reclutamento e le sue limitazioni

Con la pandemia non ancora alle spalle, e con le sfide del PNRR all’orizzonte, il Decreto Reclutamento (decreto legge n. 80/2021, convertito in legge n. 113/2021) si è posto l’obiettivo di modernizzare la pubblica amministrazione, con l’intento, tra le altre cose, di iniettare una dose di giovane personale nelle file della amministrazione pubbliche.

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Lo strumento da utilizzarsi è quello dell’apprendistato, ma la volontà iniziale di avviare una vera e propria sperimentazione dell’apprendistato professionalizzante e dell’apprendistato di alta formazione nel settore pubblico, è stata drasticamente e inspiegabilmente limitata in sede attuativa ai soli dottorati di ricerca (art. 3 del Decreto Reclutamento) in parallelo a una incentivazione al ricorso di tirocini formativi (art. 2 della medesima legge) che già in partenza si presentavano come strumento di più facile impiego e ingaggio dei giovani nelle amministrazioni pubbliche finendo per cannibalizzare l’apprendistato.

La sperimentazione del 2024 e la struttura dei contratti

La sperimentazione ha visto il coinvolgimento di dieci amministrazioni, di cui cinque regionali, scelte nell’ambito della Conferenza Stato-Regioni: Presidenza del Consiglio dei ministri, Ministero dell’economia e delle finanze, Istituto nazionale di statistica (ISTAT), Agenzia delle entrate, Istituto nazionale assicurazione infortuni sul lavoro (INAIL); e Regione Emilia-Romagna, Regione Liguria, Regione Marche, Regione Puglia, Regione Toscana.

L’avviso pubblicato, con un oggettivo ritardo, dal Dipartimento della funzione pubblica il 6 giugno 2024 ha invitato dette amministrazioni a presentare al massimo due progetti di alta formazione e ricerca, ognuno coincidente con uno specifico contratto di apprendistato. La retribuzione, stabilita dallo stesso avviso, prevista per gli apprendisti è pari a 30.000 euro lordi anno, a fronte dei 600.000 euro destinati annualmente a finanziare l’intero programma.

Requisiti di partecipazione e limitazioni post-apprendistato

Per far funzionare questo primo progetto-pilota (per un totale di 20 contratti di apprendistato) era necessario che le cinque amministrazioni centrali e le cinque amministrazioni regionali stipulassero delle convenzioni con le Università, al fine di costruire percorsi di apprendistato per il conseguimento del titolo di dottore di ricerca, da attivarsi entro il 15 novembre 2024.

Requisiti per partecipare: cittadinanza italiana o quella di uno degli Stati membri dell’UE o essere stranieri regolarmente soggiornanti in Italia, età inferiore ai 29 anni, voto di laurea magistrale o titolo equipollente pari o superiore a 105/110, essere iscritti al portale del reclutamento (www.inpa.gov.it).

Al termine del percorso triennale di apprendistato, non è stata prevista però la possibilità di proseguire il contratto, al massimo potendo essere giudicato “solo” come elemento utile di valutazione nell’ambito di concorsi indetti dalla stessa amministrazione.

La nuova normativa del 2023 e opportunità per i giovani

Parallelamente al percorso tracciato dal Decreto Reclutamento del 2021, si deve dare atto di un’altra misura adottata dal Legislatore per far fronte agli impegni assunti sub PNRR: si allude all’art. 3-ter, del d.l. 22 aprile 2023, n. 44, conv. in l. n. 74/2023, recante Disposizioni urgenti per il rafforzamento della capacità amministrativa delle amministrazioni pubbliche, che ha introdotto delle opportunità per favorire il reclutamento dei giovani all’interno del settore pubblico.

In particolare, il comma 1 dell’art. 3-ter del d.l. n. 44/2023 consente alle PP.AA. di reclutare giovane personale con il contratto di apprendistato, nei limiti del 10% delle loro facoltà assunzionali, fatta eccezione per gli enti locali, ove tale limite viene elevato al 20%, per un periodo temporalmente limitato, ossia fino alla data di scadenza per la realizzazione del PNRR (31 dicembre 2026).

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Analisi dettagliata dei bandi e delle posizioni offerte nel 2024

Dalla indagine empirica condotta interrogando il portale del reclutamento www.inpa.gov.it, è emerso che nel 2024 sono stati bandite solo 75 posizioni di apprendistato, e che il 60% dei bandi sono stati pubblicati dai Comuni. Volendo considerare il dato dal punto di vista regionale, spicca il dato della Regione Lombardia (7 bandi, con 41 assunzioni, quasi uno su quattro sul totale, pari al 23,3%), seguita dal Veneto (5 bandi, pari al 16,6% sul totale), dalla Sicilia e della Toscana (entrambe 4 bandi, pari al 13,3% sul totale).

Contraddizioni nei bandi e carenze nella formazione

Con riferimento al tipo di professionalità richiesto in regime di apprendistato, tutti i bandi esaminati descrivono il livello di inquadramento, rinviando al pertinente contratto collettivo, talvolta indicando anche il livello retributivo, talaltra rimettendo la relativa determinazione alla successiva stipula del contratto individuale di lavoro. Si fa riferimento alla posizione dello specialista o del funzionario, in contraddizione con la natura del percorso di apprendistato che è incompatibile con l’assunzione di persone già qualificate per la funzione, e lo stipendio base lordo annuo minimo registrato nella analisi corrisponde al livello retributivo iniziale, pari a 23.212,35 euro, per il CCNL Funzioni locali, mentre quello più cospicuo arriva a 32.000,00 euro per il profilo del collaboratore amministrativo professionale del CCNL Sanità.

Il 70% dei bandi prevede una durata contrattuale pari a tre anni, coincidenti con la durata massima prevista dal decreto attuativo ministeriale, e nel 23% dei casi la durata prevista è di due anni; mentre l’età massima prevista per candidarsi è eterogena, andando da un limite di età di 24 anni (6,6% dei casi) ad un massimo di 32 anni (16,6%) dei casi, mentre nel 13,3% delle ipotesi analizzate non è stato previsto alcun limite di età.

Il dato non si presenta, dunque, specularea quanto previsto dalla disciplina ordinaria dell’apprendistato professionalizzante e di quello di alta formazione e ricerca (ai sensi degli artt. 44 e 45 del Jobs Act), ove l’età massima stabilita è pari a 29 anni, dal momento che l’apprendistato è pensato come funzionale, anche nella sua stessa definizione legislativa alla “formazione e occupazione dei giovani”.

Conclusioni e riflessioni sulla sperimentazione

Nel corso del 2024 sono state solamente novantacinque – in totale – le posizioni bandite, venti relative alla prima sperimentazione e settantacinque alla seconda. Non è peraltro dato sapere l’esito effettivo di queste procedure, e se tutti i contratti siano stati attivati, e siano ancora in essere.

Colpisce non solo il dato numerico, ma anche la circostanza che per la prima sperimentazione, datata 2021, siano occorsi ben tre anni per renderla operativa, e che si sia ridotta a solo 20 contratti attivabili per il conseguimento del (solo) dottorato di ricerca: difficile parlare di una vera e propria innovazione.

Stupisce anche il fatto che spesso si parli di “indennità” e non di “retribuzione”, il che avvicina detti contratti di più al modello delle internship universitarie o a quello delle tradizionali borse di studio, piuttosto che a quello di un rapporto di lavoro caratterizzato da una costante circolarità tra apprendimento on the job, lavoro, e ricerca.

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Con riferimento alla seconda sperimentazione, si parla di 30 bandi che hanno fruttato solo 75 posizioni di apprendistato, ed è arduo immaginare che siano destinate esclusivamente a giovani laureati, se in diverse procedure pubbliche non è previsto alcun limite di età, e nelle altre, il range d’età va dai 24 ai 32 anni, con evidenti e notevoli differenze. Stupisce, poi, constatare lo scarso peso occupato, all’interno dei bandi, dalla formazione prevista per gli apprendisti (il 63,4% non ne fa alcun cenno), così come il mancato coinvolgimento di istituzioni formative esterne all’amministrazione. Un apprendistato quindi con poca formazione, per giovani ma anche per adulti, senza obiettivi formativi e standard da raggiungere e quindi in definitiva funzionale ad assumere nuovo personale già “pronto”.

Complice, almeno per adesso, il silenzio della contrattazione collettiva, deputata a prevedere un raccordo strutturale tra il singolo piano formativo individuale del contratto di apprendistato e i sistemi di classificazione e inquadramento del personale nel settore pubblico, per potersi parlare di concreta sperimentazione in grado di innovare e modernizzare la macchina delle Pubbliche Amministrazioni.



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