Idroelettrico, a Belluno partita da 370 milioni di euro: «Nel 2029 svolta epocale»

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Il fatturato delle grandi derivazioni idroelettriche in provincia di Belluno – analizza l’assessore regionale all’ambiente Gianpaolo Bottacin – può superare i 300 milioni l’anno, oltre il mezzo miliardo in Veneto.

Dipende dal costo dell’energia sul mercato, che, si sa, è fluttuante. In regione ci sono 34 grandi derivazioni che alimentano 34 impianti idroelettrici con potenza superiore a 3000 kW.

Nel Bellunese più di una ventina.

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Su un fatturato di 300 milioni l’anno, l’introito netto potrebbe anch’esso variare tra i 100 e i 150 milioni l’anno.

Sempre in relazione al costo dell’energia che origina e, in parte, anche dalla disponibilità di risorsa idrica.

Poi ci sono 365 piccoli centrali idroelettriche, di proprietà privata o dei Comuni, per due terzi in provincia di Belluno e il cui fatturato annuo potrebbe essere superiore ai 60-70 milioni di euro; ma questo è un altro capitolo.

La deroga delle concessioni, decisa nei giorni scorsi in Consiglio, scongiura per qualche anno il temuto scippo, seppur in presenza di gare, ma in futuro si dovrà provvedere a un nuova norma di tutela affinchè i Comuni, in prima istanza, non perdano così preziosi tesoretti.

«Questi impianti, grazie alle leggi regionali 27/ del 2020 e 24 del 2022, che recepiscono le modifiche al disegno di legge 79 del 1999 apportate da un emendamento del Ministro Giorgetti», spiega Bottacin, «diventeranno di proprietà della Regione a titolo gratuito.

Prima dell’approvazione di queste norme, la legge prevedeva che alla scadenza della concessione, nel 2029 appunto, diventassero di proprietà dello Stato. È una svolta straordinaria. Si tratta di vera autonomia realizzata. Concreta. Oggi il Veneto, relativamente all’idroelettrico, si trova nella stessa identica situazione di autonomia del Trentino».

Per Bottacin si tratta di un passaggio epocale perché consente alla Regione di appropriarsi di un asset particolarmente strategico quale è quello dell’energia da fonte rinnovabile per eccellenza, ovvero l’energia idroelettrica. In quale misura la provincia di Belluno potrà, anzi dovrà beneficiare di questo patrimonio?

In altre parole, se è vero che fattura più di 300 milioni e che l’utile potrebbe non essere inferiore ai 100 milioni, ma più probabilmente vicino ai 150, quale quota Venezia potrebbe garantire a Belluno? Oggi, si sa, riceve 18 milioni di canoni idrici, un domani potrebbe trovarsi anche a gestire una buona parte di queste centrali.

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«La Regione avrà la possibilità di agire in tre modi diversi», spiega Bottacin.

«Gestendo direttamente (in house) gli impianti, oppure mettendo a gara nuovamente le concessioni, ma definendo le regole di ingaggio, ivi compresi i canoni, oppure ancora creando una società con un partner tecnico da individuare mediante procedura di evidenza pubblica.

Io nel 2029 non sarò più assessore, ma credo che quest’ultima sia la strada migliore, perché consente di avere un ruolo da protagonista, ma anche di avere un partner con un know how tecnico indispensabile».

Ricordando di lasciare un’eredità piuttosto importante alla nuova giunta regionale, Bottacin sottolinea che le autorizzazioni concessorie delle derivazioni idriche relativamente al territorio bellunese, sono rilasciate dall’ente Provincia, unico caso in Veneto proprio in virtù della specificità.

«Credo sia una partita determinante per tutto il Veneto e anche per il territorio bellunese. Ciò anche alla luce del dibattito attorno alle Comunità Energetiche, molto orientate al fotovoltaico ma apparentemente meno interessate alla partita dell’idroelettico.

Va infatti ricordato che oltre alle 34 grandi derivazioni, in Veneto esistono anche 365 piccoli impianti, le cosiddette centraline, per le quali questa settimana il consiglio regionale ha approvato una proroga fino al 2029.

Anche questa una partita decisamente importante e delicata visto e considerato che la norma europea prevederebbe di metterle a gara a fine concessione con il rischio che i concessionari pubblici possano perdere rispetto ad altri soggetti. Mi auguro che da qui al 2029 venga definita una normativa nazionale che consenta di mantenere un presidio anche su questi impianti».

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