“Oggi manca un dibattito pubblico sulla guerra, i contrari vengono ridicolizzati”. La campagna “dal basso” di Emergency per parlare di pace. Partendo dalla Costituzione

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Respingere l’idea dell’uso delle armi come unica opzione, come una strada inevitabile. Riabituare le persone a parlare di pace, rimettere questa parola al centro del discorso pubblico. E spingere così governi e istituzioni a non ignorare più le voci di chi chiede di riaprire un dibattito sulla guerra e di chi vorrebbe l’Italia impegnata in prima linea non nell’industria bellica, ma nella risoluzione dei conflitti. È un lavoro dal basso quello che Emergency sta portando avanti con la campagna R1PUD1A la guerra. Lanciata a novembre, oggi conta il sostegno di oltre 180 comuni, decine di iniziative nelle scuole, in teatri, cinema, piazze e istituzioni culturali. Come spiega Simonetta Gola, direttrice della comunicazione della ong, R1PUD1A (con il numero 1 al posto della lettera i per richiamare l’articolo 11 della Costituzione) è “un’operazione culturale” che nasce in parallelo al lavoro sul campo che l’organizzazione continua a svolgere in 14 diverse aree del mondo. Lo scopo è quello di restituire alla discussione sul rifiuto della guerra uno spazio ormai perso tra i cittadini, e non confinarla quindi alle organizzazioni che si occupano di diritti umani.

Ilfattoquotidiano.it ha deciso di sostenere e raccontare l’iniziativa con articoli e una serie di dirette con il team dell’ong dedicate ai progetti nelle zone di guerra. Il primo appuntamento sarà martedì 11 febbraio per raccontare il lavoro nella Striscia di Gaza. Ci sarà poi una diretta dal centro maternità in Afghanistan, dove le donne si battono per continuare a lavorare, un altra dall’Ucraina, e una dal Sudan, che sta affrontando una delle più gravi crisi umanitarie al mondo, e dove Emergency ha intensificato la propria attività.

In un contesto internazionale in cui i governi, anche su pressione dell’Unione europea, si riarmano e sembrano non prendere in considerazione alcuna strategia diplomatica per fermare le guerre, Emergency ha concepito la campagna R1PUD1A ripartendo dalla Costituzione Italiana, nello specifico dall’articolo 11. “L’idea nasce dal fatto che non viene più rappresentato un pensiero, quello contro la guerra che sta alla base dell’articolo 11 della nostra Costituzione. Il ripudio della guerra non è solo un’ambizione personale o un’aspirazione di qualche associazione umanitaria, ma è ciò che ha voluto per noi chi è uscito dalla Seconda Guerra Mondiale. Si tratta di un’operazione culturale, per dare valore a quello che questo articolo rappresenta. L’articolo 11 non era scontato, è stato il frutto di una discussione molto approfondita che ha scelto la parola ripudia perché conteneva la rinuncia e insieme la condanna della guerra. La parola ripudia significa che i costituenti avevano deciso che quella cosa lì, la guerra, non doveva essere più un’opzione disponibile al nostro Paese. È un patrimonio che deve essere condiviso. Mattarella dice che la Costituzione era il ‘progetto per trasformare l’Italia’, ma la trasformazione sta andando in un’altra direzione, stiamo normalizzando la guerra“.

È proprio questa volontà di ripartire dalle persone, dalla società civile invece che dalla politica, che ha portato comuni in tutta Italia, da Napoli a Cosenza e Reggio Emilia, a partecipare, a cui si sommano moltissime iniziative svolte all’interno delle scuole. Alla mobilitazione si lega inoltre lo spettacolo teatrale di Elio Germano e Teho Teardo La Guerra Com’è, basato sul libro di Gino Strada Una persona alla volta che racconta la guerra nella sua essenza, e poi film, mostre e incontri pubblici.

Con queste iniziative e la ricerca costante di un dialogo con la cittadinanza, Emergency cerca di aiutare la società a uscire da un torpore nel quale è caduta, di risvegliarla dalla rassegnazione affinché torni a far sentire la propria voce alle istituzioni. “Iniziare l’attività dal basso è stata una scelta voluta – continua Gola – È faticoso ma importante far capire alle persone che la guerra ci riguarda direttamente, non è un qualcosa di lontano. Abbiamo trovato molto sostegno nelle istituzioni culturali. Per citarne una, il Cinema America. Sembrano piccole cose, ma contribuiscono a uscire dal perimetro delle organizzazioni che normalmente parlano di questi temi, perché il discorso contro la guerra non è solo per gli addetti ai lavori, riguarda la vita di tutti. E quindi un cinema che aderisce è una grande conquista, è un luogo della vita quotidiana dove possono essere coinvolte”. È uno sforzo, questo, che i cittadini, le istituzioni locali, le organizzazioni come Emergency devono portare avanti con tenacia: “Ci troviamo di fronte all’assenza di un dibattito pubblico sulla guerra e le responsabilità vanno cercate anche nel mondo dei media. Notiamo l’incapacità di vedere il mondo nel suo complesso, al massimo riusciamo a concentrare l’attenzione su una guerra alla volta, anche se sono in corso 56 conflitti nel mondo. Nei media e nel discorso politico, negli ultimi anni la guerra è stata normalizzata e qualsiasi dibattito sul tema risulta difficile da affrontare, in parte perché sono stati criminalizzati o ridicolizzati i punti di vista contrari ai conflitti e le persone si sono sentite intimorite, impotenti”.

Se si guarda alla situazione internazionale, governi e istituzioni sembrano orientati in tutt’altra direzione. Per citare solo alcune delle ultime dichiarazioni, sia il segretario generale della Nato, Mark Rutte, sia l’Alto rappresentante per la Politica Estera dell’Ue, Kaja Kallas, hanno dichiarato che il 2% del Pil di spesa per la Difesa è insufficiente e che, se necessario, si dovranno prendere in considerazione anche tagli al welfare per poter sostenere investimenti maggiori. Lady Pesc ha inoltre detto che la Russia “conosce solo il linguaggio della forza” e che “dobbiamo spendere per prepararci alla guerra”, nonostante da Kiev e Mosca stiano arrivando piccoli segnali di apertura. “Il punto è anche questo – continua Gola – La Costituzione appartiene a tutti noi, parliamo del futuro di tutti noi. Se decidiamo di spendere il 3% in spese militari verranno tolte risorse ad altre cose. E rischiamo concretamente che si tagli la sanità, l’istruzione, i servizi essenziali. Quindi, anche per questa ragione, il tema della guerra riguarda direttamente la vita di ogni cittadino”. Un numero emblematico lo cita anche Emergency nella sua campagna: la spesa militare globale è arrivata al massimo storico di 2.443 miliardi di dollari, crescendo del 27% rispetto all’anno precedente, “mentre circa lo 0,1% di questa somma viene spesa, ad esempio, per l’Oms“.

Questi numeri rappresentano solo alcuni degli esempi che dimostrano come i principi che hanno mosso il mondo nel primo Dopoguerra siano stati gradualmente smantellati. Le Nazioni Unite, nate come organizzazione che potesse garantire o almeno favorire il mantenimento nella pace nel mondo, sono state sempre più spesso oggetto di attacchi, in un tentativo di delegittimazione che ha portato i suoi frutti. Nel corso dell’ultimo conflitto a Gaza si è arrivati a definire il segretario generale António Guterres “antisemita”: “Stiamo smantellando pezzo dopo pezzo la visione che c’è stata dopo la Seconda Guerra Mondiale – dice Gola – Cioè costruire un mondo, una comunità internazionale in cui si limitava la sovranità dei singoli Stati per vivere in una comunità solidale. Perché l’idea era la realizzazione dei diritti umani, per mettere le basi per la pace. La nascita delle Nazioni Unite è avvenuta proprio ‘per evitare alle future generazioni il flagello della guerra‘, come dice il Preambolo della Carta delle Nazioni Unite. Ma bisogna essere onesti: questo smantellamento è un processo che va avanti da tempo. La responsabilità del cattivo funzionamento dell’Onu e della mancata riforma è precedente a questi due anni, basti pensare alla guerra in Afghanistan iniziata al di fuori del diritto internazionale. Inoltre c’è un clima in cui è sempre più difficile per le organizzazioni internazionali intervenire in zone di guerra, ad esempio è sempre più complicato entrare nei Paesi dove non sei già presente. E sono aumentati i rischi, a partire dalla Siria, dove gli ospedali erano diventati dei target, per arrivare a Gaza. È la violazione del diritto umanitario che fino a qualche anno fa invece era dato per scontato. Quando parlo dello smantellamento parlo di questo, le conquiste nate dall’eredità della Seconda guerra mondiale vengono smontate un pezzo alla volta. E quando tu tieni fuori le ong da un conflitto non solo violi il diritto internazionale che garantisce l’assistenza alle vittime di guerra, ma togli dei testimoni da una situazione che evidentemente gestisci senza occhi esterni”.

Ciò che è stato pensato da chi ha riorganizzato il mondo devastato dal secondo conflitto mondiale, però, non deve essere considerato un’utopia irrealizzabile: “L’Onu e l’Ue hanno funzionato per un periodo di tempo e spazio, anche se limitati. Dobbiamo ricordarlo, hanno funzionato per un pezzo di mondo. Il problema è che non hanno funzionato per tutti. Ma abbiamo visto che questa strada è possibile, perché l’abbiamo fatto”. Ed è anche per questo che nasce la campagna R1PUD1A, conclude Gola, per ricordare che un mondo in pace è possibile: “Emergency ha due obiettivi statutari che sono la promozione della cultura di pace e il lavoro medico sul campo. Non ci possiamo limitare a curare la gente, dobbiamo anche impegnarci per mettere fine alla causa della loro sofferenza. Quello che vediamo lo dobbiamo raccontare e deve servire per impedire che altri si trovino nella stessa situazione”.



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