Bilancio e dintorni, limiti e contraddizioni dell’azione del governo Meloni

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di Marco Leonardi

 

Considerazioni sulla legge di Bilancio e non solo.

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1-Governo Meloni: la terza legge di Bilancio è come le precedenti: non fa nulla.
La legge di bilancio nel suo insieme, non produce sostanziali cambiamenti, appare prudente e prevedibile: si mantengono i conti in ordine, questo rassicura i mercati finanziari, e di conseguenza tiene la differenza tra i tassi di interesse pagati sul debito italiano e quelli tedeschi (spread). Questo equilibrio però è piuttosto precario, perché a fronte di spese certe, molti dubbi sorgono sulla attendibilità delle coperture previste in particolare per i prossimi anni. È la terza legge del Governo Meloni. La terza “copia e incolla” rispetto a quelle dei governi precedenti. Per l’ennesima volta la legge finanziaria, che è il principale atto di governo dei governi in carica, non propone e decide niente di significativo. La giustificazione addotta indica nell’assenza di risorse l’impossibilità di agire in maniera impattante. Ma per il governo Meloni questa giustificazione è solo una scusa. Sono infatti i governi che beneficiano dei fondi del PNRR. In generale i provvedimenti adottati sono nella migliore delle ipotesi delle bandierine ideologiche, con conseguenze scarse o inesistenti per le persone. Pensate ad esempio agli aumenti sulle pensioni.

2-Conti in ordine. E il dipendente “finanzia” l’autonomo.
Tenere i conti in ordine è sostanzialmente l’unico risultato prefigurato con la legge di bilancio. Risultato “finanziato” dal mondo del lavoro dipendente attraverso il fiscal drag: il fenomeno per cui nei sistemi a tassazione progressiva una forte inflazione ha come conseguenza automatica l’aumento dell’aliquota media irpef e dei relativi contributi mentre il potere d’acquisto delle persone, in realtà, diminuisce. Ci sono esempi di governi che decidono di restituire quanto “drenato” ai lavoratori ma non è il caso del Governo Meloni.
Qual è il valore di questo drenaggio fiscale (fiscal drag)? Nel 2024 (inflazione cumulata 2022-2024 17% ) dal lavoro dipendente sono stati drenati circa 17 miliardi… Quasi la totalità della manovra. 17 miliardi usati per rendere permanenti; quindi di fatto in parte già operative, le due uniche misure figurativamente a vantaggio dei “dipendenti”: la riduzione del cuneo fiscale e la riduzione delle aliquote Irpef: in pratica una partita di giro. Vantaggi per dipendenti e pensionati? Non pervenuti. La quota di bilancio dello Stato che arriva al lavoratore dipendente ha perso parecchi punti. In effetti assistiamo a una redistribuzione dal lavoro dipendente verso il mondo del lavoro autonomo. Politicamente si preferisce avere a che fare con una platea atomizzata composta da individui isolati e non collettivamente organizzati.

3-Non solo condoni. Anche rottamazioni, sanatorie e depenalizzazioni.
Una legge di bilancio con un’unica novità: negativa! Rappresentata dal concordato preventivo – condono – Siccome il concordato stentava a decollare si è dovuto aggiungere il condono sul passato dal 2018 in poi. Nei primi due anni il governo Meloni ha approvato una ventina di misure a favore di alcune categorie di cittadini, con buona pace dell’equità fiscale: ha promosso condoni e rottamazioni, ridotto sanzioni, consentito rateizzazioni fino a 10 anni, depenalizzato diversi reati fiscali. Varato, di fatto, una politica fiscale con zero controlli (probabilità di controllo solo il 4%) e tanta tassa piatta (non progressiva).

4-Politica Industriale… chi?
Le grandi imprese non sono state favorite: tolti gli incentivi per aumentare la capitalizzazione delle imprese, tolta la decontribuzione Sud, tolti gli incentivi per il settore automobilistico. La politica industriale è un disastro, in particolare nei due settori in cui il governo poteva e doveva incidere: acciaio ed automotive che hanno visto il governo all’angolo.

5-PNRR: la meglio Europa. Mai così tante risorse, troppe?
Questo governo dispone quindi di un sostegno ma fa finta che il PNRR non ci sia. Il governo Meloni beneficia di uno strumento senza eguali (la prima vera “emissione” di debito-comune, l’accetta ma lo vuole cambiare per farlo “proprio”. Si perde un anno e mezzo. Si tolgono soldi ai comuni e si danno alle aziende con industria 5.0 che fa fatica a funzionare. Accumuliamo ritardi, nel 2024 spesi 22 mld, programmati 43 mld: si concentra una cifra residua di spesa sostanzialmente ingestibile di 130 mld tra il 2025 e 2026. Livelli residui di spesa più che doppi rispetto a quelli tenuti fino ad ora.
La crescita economica prevista per i prossimi anni è molto bassa, senza i fondi PNRR ci troveremmo in una fase di stagnazione. Gli investimenti previsti per sanità ed istruzione derivano sostanzialmente da finanziamenti PNRR.
Le riforme che dovrebbero condizionare l’elargizione dei contributi, si affrontano con grande timidezza, paura (ad esempio concorrenza).
Ulteriore difficoltà il ruolo ruolo attivo e sostanziale degli enti territoriali in particolare per la fase di attuazione del PNRR. Quelli di medie e piccole dimensioni richiedono personale ed assistenza tecnica adeguati per svolgere la delicata e preziosa funzione di “scarico” sul territorio dei finanziamenti.

6-Salari al palo, cresce il lavoro povero.
Il Salario Minimo sarebbe una opportuna tutela. La contrattazione nazionale in alcuni settori fondamentali da anni non tiene il passo con l’inflazione. In Italia dal 2019 a oggi ha avuto, al netto dell’inflazione, una crescita dei profitti del 2,7% ed una contrazione dei salari dell’1%. In presenza di una fiammata inflazionistica cosi intensa come quella degli ultimi anni e con caratteristiche tali (rincaro energia e alimentari in primis) da colpire in misura maggiore le fasce più povere della popolazione, l’eccezionale creazione di lavoro ha consentito di arginare solo in parte l’aumento della povertà. Detto altrimenti, senza questo ciclo di occupazione, l’aumento della povertà sarebbe stato di ben maggiore entità, ma è anche vero che è stata una crescita di occupazione “povera”.

7-Il nazionalismo non è la dimensione giusta, si cresce cooperando a scale superiori.
Il nostro paese ha manifestato nel passato una sensibile riduzione del tasso di crescita, una lunga stasi della produttività ed un aumento della povertà assoluta. Negli ultimi due anni la crescita c’è stata a fronte di una spesa di 200 mld di bonus. E se venisse meno il PNRR l’economia tornerebbe a regredire verso la stagnazione. Le politiche strategiche non si possono più fare al livello nazionale. La scala europea è quella giusta. E non possiamo avere solo  interlocutori italiani: quindi il rapporto Draghi, può piacere o no, indica correttamente il livello su cui operare. Interventi a livello europeo simili a quelli messi in piedi per il PNRR che per trarre il maggior beneficio richiedono un alto livello nella qualità dell’implementazione delle riforme a livello nazionale.

8-Bonus 110 ha fatto anche del bene?
Le risorse destinate al Bonus 110 sono mancate al finanziamento di politiche per l’istruzione, la ricerca, la sanità pubblica. Per consentire ai proprietari di prime e seconde case, per lo più facoltosi e benestanti, di rifarsi la casa con le tasse dei contribuenti. Solo 3,5 mld sono stati spesi per ristrutturare case popolari. Il Bonus 110 doveva essere a termine, e durante la pandemia sono stati dati necessariamente incentivi a pioggia. Successivamente Il PD ha osteggiato la chiusura del Bonus prendendosi la “colpa” del mantenimento in vita di una misura contro cui il governo Meloni si scagliava. Governo che, in realtà, prolungandolo ha determinato il raddoppio delle risorse finite nel Bonus 110, riuscendo al contempo a incarnare la principale voce critica verso il provvedimento. “Bravi”… come sono bravi, a destra, a nutrire le differenze compattandosi in prossimità delle urne. Mentre noi cerchiamo alleanze quando servirebbe trasmettere nitidamente le eventuali differenti visioni e poi, in prossimità delle elezioni, non riusciamo a produrre alcuna sintesi comune.

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