Agevolazioni fiscali per investimenti in beni strumentali: luci e ombre


La Legge di bilancio 2025 ha introdotto importanti novità nell’ambito delle agevolazioni fiscali per le imprese che effettuano investimenti in beni strumentali. Da un lato c’è stato il tentativo di rendere più appetibile il credito d’imposta Transizione 5.0, ma dall’altro è stato disposto un drastico ridimensionamento del credito d’imposta per i beni 4.0. Inoltre, in attesa dell’attuazione della riforma fiscale, è stato temporaneamente previsto un nuovo meccanismo agevolativo, la cosiddetta “Ires premiale”, che riduce il carico fiscale sulle imprese che trattengono gli utili 2024 ed effettuano investimenti altamente tecnologici.

Di seguito si analizza lo stato dell’arte di queste misure, evidenziandone luci ed ombre.

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Credito d’imposta Transizione 5.0

Il credito d’imposta Transizione 5.0 poteva essere una grande opportunità per le imprese. Quando l’8 dicembre 2023 il consiglio Ecofin ha approvato il nuovo PNRR italiano, destinando oltre 6 miliardi di euro alla transizione digitale ed energetica dei processi produttivi, si è diffuso un grande entusiasmo nel modo industriale. A fronte di così tante risorse, però, l’Unione Europea ha imposto regole molto rigide: tempi stretti per la realizzazione di progetti di investimento (da concludere entro il 31 dicembre 2025) e complessi obblighi documentali.

L’attuazione della misura si è fatta attendere a lungo: il Decreto attuativo del Mimit è stato pubblicato in Gazzetta ufficiale solo il 6 agosto 2024, con un ritardo comprensibile se si considera la complessità della materia, ma che ha compresso oltremodo il tempo a disposizione delle imprese per l’effettuazione degli investimenti.

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Nei mesi successivi l’agevolazione non è decollata. Con la Legge di Bilancio 2025 si è tentato di renderla più appetibile, da un lato mediante un potenziamento del sistema delle aliquote e dall’altro con l’introduzione di una procedura semplificata per gli investimenti sostitutivi di beni “obsoleti” ossia completamente ammortizzati da almeno 24 mesi. Quest’ultima disposizione avrebbe potuto contribuire in modo importante al rilancio della misura, ma l’interpretazione restrittiva che ne ha dato il Mimit con le FAQ del 24 febbraio 2025 ne ha depotenziato la portata semplificatrice.

Un altro punto dolente è la cumulabilità. Anche su questo aspetto la Legge di bilancio 2025 ha previsto un’apertura apprezzabile, consentendo il cumulo del credito d’imposta Transizione 5.0 sia con agevolazioni finanziate con risorse nazionali sia con agevolazioni previste nell’ambito dei programmi e degli strumenti dell’Unione europea. La norma, però, non ha disciplinato le modalità di effettuazione del cumulo.

Sul punto è intervenuto il Mimit (FAQ 8.6 del 24 febbraio), chiarendo che il cumulo con altre misure finanziate con fondi europei deve essere effettuato applicando il principio della “nettizzazione” (il credito d’imposta 5.0 va calcolato sul costo al netto dell’altra agevolazione). Nessuna indicazione specifica, però, è stata fornita sul cumulo con le agevolazioni finanziate con risorse nazionali come, a titolo esemplificativo, il credito d’imposta per la ZES Unica.

In definitiva, il tentativo di ridare impulso al credito d’imposta Transizione 5.0, attraverso le novità introdotte con la Legge di bilancio 2025, non sta producendo gli effetti sperati. Ad oggi le risorse prenotate risultano pari a circa l’8% di quelle disponibili e, senza una proroga, non potrà esserci un’accelerazione nell’utilizzo dei fondi. Anche il Governo ne ha preso atto: in un recente “question time” al Senato, il Ministro per gli affari europei ha annunciato che una parte delle risorse inizialmente destinate al Piano Transizione 5.0 sarà convogliata verso altre iniziative a vantaggio delle imprese, che al momento non è dato conoscere.

 

Ires premiale

Sul fronte delle altre agevolazioni per gli investimenti le cose non vanno meglio. La Legge di bilancio 2025 ha introdotto, in via temporanea, l’Ires premiale che consente di ridurre dal 24% al 20% l’aliquota Ires sui redditi 2025, purché si rispettino alcune condizioni: accantonamento di almeno l’80% degli utili 2024; utilizzo del 30% degli utili 2024 accantonati per l’effettuazione di investimenti 4.0 o 5.0 (utilizzo del 24% degli utili 2023 se superiore); incremento occupazionale.

Le numerose condizioni di accesso – che in questa sede non si intendono approfondire – restringono fortemente la platea dei soggetti beneficiari: come riportato nella Relazione tecnica alla Legge di bilancio 2025 le realtà potenzialmente interessate saranno circa 18.000 (su 824.000 società di capitali) con effetti finanziari complessivi sulle casse dello Stato inferiori a 500 milioni di euro.

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Il meccanismo agevolativo, oltre ad essere complesso, presenta alcune criticità che ne indeboliscono il funzionamento incentivante sotto diversi aspetti.

Innanzitutto, manca una correlazione tra gli investimenti (parametro di accesso) e gli utili 2025 (base di calcolo dell’agevolazione). Ciò determina ingiustificate disparità di trattamento fiscale: società che realizzano investimenti di uguale ammontare ottengono benefici diversi a seconda dell’entità degli utili conseguiti nel 2025.

In secondo luogo, l’Ires premiale non consente di ottenere quel rafforzamento patrimoniale che fino al 2023 è stato possibile grazie all’Ace e che la legge delega per la riforma fiscale dichiara di voler garantire. L’Ires premiale, infatti, agevola solo il trattenimento degli utili 2024, escludendo dal beneficio le imprese che chiudono il 2024 in perdita ma che ricevono conferimenti da parte dei soci o che decidono di vincolare riserve di utili formatesi in anni precedenti.

La norma, inoltre, stabilisce la decadenza dall’agevolazione se i beni acquistati vengono ceduti entro il quinto anno successivo a quello di effettuazione dell’investimento. A differenza delle discipline 4.0 e 5.0, però, non è prevista la disapplicazione di questa causa di decadenza in presenza di interventi sostitutivi ossia qualora i beni dismessi vengano sostituiti con altri beni dotati di caratteristiche tecnologiche equivalenti o superiori.

Resta aperto, poi, il tema della cumulabilità. In assenza di una norma che disponga in senso contrario, dovrebbe essere possibile utilizzare in modo sinergico l’Ires premiale e i crediti d’imposta per gli investimenti 5.0 e 4.0. Il Decreto attuativo del Mef dovrà chiarire – tra i molteplici aspetti ancora oscuri – le modalità di effettuazione del cumulo.

 

Credito d’imposta beni 4.0

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Sul versante del credito d’imposta beni 4.0, le novità introdotte dalla Legge di bilancio 2025 suscitano non poche perplessità.

L’agevolazione, di cruciale importanza per la digitalizzazione dei processi produttivi, in questi anni è stata molto apprezzata dalle imprese per la sua procedura automatica e, come emerge dalla relazione “Verifica dell’impatto della regolamentazione” del Ministero dell’Economia pubblicata il 17 marzo 2025, ha anche prodotto effetti positivi sull’occupazione e sul fatturato delle imprese.

La misura, però, a partire dal 2024 ha subito un giro di vite.

La prima stretta si è avuta con il DL 39 del 29 marzo 2024, cosiddetto Decreto “Salva conti”, che ha introdotto un nuovo obbligo di comunicazione dettato dall’esigenza di tenere sotto controllo la spesa. Le regole del nuovo adempimento, però, non brillano per chiarezza: i modelli di comunicazione pubblicati con il Decreto del 24 aprile 2024 non sono accompagnati – come normalmente dovrebbe avvenire – dalle istruzioni per la compilazione; inoltre, si sono fatte attendere a lungo le indicazioni da parte dell’Agenzia delle Entrate su alcuni aspetti poco chiari, come ad esempio, i termini di presentazione delle comunicazioni (risposta a interpello n. 260/2024) e le modalità di assolvimento dell’obbligo di comunicazione per gli investimenti effettuati a cavallo del 30 marzo 2024 (risposta interpello  n. 69/2025).

Con la Legge di bilancio 2025, il credito d’imposta beni 4.0 ha subito ulteriori restrizioni: con decorrenza dal 2025, è stata abrogata l’agevolazione per i software 4.0 – per ragioni che sfuggono ad ogni logica – ed è stato introdotto un tetto di spesa di 2,2 miliardi di euro per gli investimenti in beni materiali 4.0 non “prenotati” entro il 31 dicembre 2024. Con riferimento a quest’ultimo aspetto, la norma prevede un aggiornamento del modello di comunicazione mediante un apposito decreto direttoriale, ad oggi non ancora pubblicato.

Ancora una volta le imprese devono subire un improvviso cambio di direzione e questa incertezza normativa non può che frenare gli investimenti.

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