Sostenibilità e competitività: un binomio imprescindibile, che non può essere un vuoto ritornello di moda, da ripetere all’occorrenza, ma privo di contenuti reali. Un accoppiamento indispensabile, perché, senza il link tra le due, il raggiungimento degli obiettivi ESG è impossibile. Le aziende, soprattutto quelle di media e piccola dimensione, devono infatti necessariamente essere competitive per sopravvivere sul mercato e quindi il tempo e le risorse a disposizione non possono che essere impiegate in questa direzione. Diventa pertanto fondamentale, trovare e capire il meccanismo per collegare il modello di business con le tematiche di sostenibilità, facendo in modo che gli obiettivi ESG vengano raggiunti mentre si punta a quelli di competitività. E per riuscirci, è fondamentale comprendere lo spazio d’azione in cui un approccio operativo che includa la sostenibilità riesca a cogliere le opportunità imprenditoriali. Queste sono le premesse con cui Stefano Fasani, Program Manager di Open-es, ha aperto l’evento Ostiense Next: ecosistemi di innovazione, organizzato a Roma da Wired in partnership con ROAD (Rome Advanced District) e Open-es, durante il quale l’alleanza di sistema che riunisce il mondo industriale, finanziario e istituzionale su una piattaforma digitale per supportare il percorso di sviluppo sostenibile dell’ecosistema imprenditoriale e che oggi vanta più di 26.000 imprese attive, ha presentato i risultati del Navigatore ESG.
Il report, giunto alla sua seconda edizione, si pone tre obiettivi. Il primo è fornire una fotografia della situazione attuale e quindi di quanto del potenziale di competitività connesso agli aspetti ESG, in termini – per esempio – di opportunità di riduzione costi, di aumento ricavi e di accesso più facilitato (o a condizioni migliori) a risorse umane e finanziarie, le imprese stanno sfruttando per identificare le priorità da affrontare. Il secondo è comprendere i bisogni delle aziende e infine, il terzo, stilare un piano d’azione dell’alleanza Open-es.
All’evento hanno preso parte numerosi partner dell’alleanza: Loris Spaltini, Snam, Fabio Francalancia, Engineering, Fortunato Costantino, Q8, Letizia Macrì, ESG European Institute, Giuseppe Bavota, Open Fiber, Giovanni Marsili, Gianni&Origoni, Luca Germani, Iveco Group, Marcello Bariani, Baker Hughes, Marco Stampa, Saipem, Laura Esposito, TIM, Andrea Di Maurizio, Autostrade per l’Italia, Gabriele Tavazzani, Amundi, Roberto Zuccaro, UniCredit, Tiziana De Virgilio, Baker McKenzie, Federico Caniato, Politecnico di Milano. Oltre ai rappresentati di istituzioni quali Stefano Cappiello, MEF – Direttore Generale della direzione V – regolamentazione e vigilanza del sistema finanziario, Alessandro Musumeci, Capo della Segreteria Tecnica del Sottosegretario di Stato con delega alla transizione digitale, Gaia Ghirardi, Chief Sustainability Officer, CDP Cassa Depositi e Prestiti, Lavinia Lenti, SACE Head of Net Impact & Metrics, Costantino Chessa, Head of Procurement Eni.
L’evento ha visto la partecipazione di tre keynote speakers: Paolo Angelini, Vice Direttore Generale Banca D’Italia, Lara Ponti, Vice Presidente per la Transizione Ambientale e gli Obiettivi ESG – Confindustria, Benedetta Brioschi, Partner e Responsabile Sustainability e Food&Retail di The European HouseAmbrosetti.
A che punto siamo
Il Navigatore ha analizzato il livello di maturità dell’integrazione degli aspetti ESG per un campione di oltre 5.200 imprese, di cui l’80% PMI, e ha valutato la fase di sviluppo in cui si trovano: a che punto sono quindi in termini di misurazione degli aspetti di sostenibilità (individuazione KPI, rendicontazione, monitoraggio) e di organizzazione interna attraverso l’implementazione di policy specifiche e piani concreti di sviluppo e miglioramento. Dall’analisi è emerso che il pilastro più presidiato dalle imprese è quello sociale, seguito da governance e infine ambiente. Questo è dovuto probabilmente al fatto che le piccole e medie imprese italiane hanno ereditato un patrimonio culturale che da sempre ha un approccio attento a questi temi, cosa che invece non vale per quanto riguarda la misurazione degli impatti ambientali, aspetto che implica una metodologia più complessa della stima dei KPI, una conoscenza specifica dei temi e la necessità di risorse dedicate allo scopo.
In generale le imprese italiane, sebbene stiano iniziando a occuparsi e interessarsi di sostenibilità, non hanno ancora piani di sviluppo concreti e non sono ancora quindi in una fase d’azione. E sebbene ci sia un miglioramento complessivo nel presidio delle tematiche ESG, colpisce come non ci siano stati progressi significativi, nemmeno tra le grandi imprese, nella misurazione degli impatti ambientali, nonostante la normativa stringente. È migliorata, invece del 16% la misurazione degli aspetti di governance.
Nel complesso c’è un potenziale di miglioramento del 60% per le imprese italiane in termini di vantaggi che una maggiore implementazione della sostenibilità potrebbe garantire. Vantaggio che potrebbe derivare da una riduzione dei costi grazie, per esempio, all’efficientamento dell’uso delle risorse e alla mitigazione e gestione del rischio (68%), da opportunità di ricavo (59%), dall’accesso a nuove risorse finanziarie e umane (53%).
Nel concreto, i comparti con potenziale di crescita in termini sia di sostenibilità sia di competitività sono quelli legati a climate change, efficienza energetica, salute e sicurezza, diritti umani, innovazione e catena del valore. Questo significa che un maggiore presidio di questi temi (individuando le aree di impatto materiali e i KPI da stimare, attuando piani d’azione e misurazione, poi quelli di sviluppo e monitoraggio e avanzando nel progredimento dei target) garantirebbe vantaggi economici e finanziari.
Di cosa hanno bisogno le aziende
In particolare, il navigatore rileva che per poter sfruttare appieno le potenzialità le imprese devono dotarsi di strumenti per rendicontare e monitorare gli aspetti ambientali; porsi dei nuovi target e soprattutto dei piani d’azione per raggiungere nuovi obiettivi sociali, a eccezione dei diritti umani, dove le imprese italiane hanno dimostrato di avere un buon presidio dal punto di vista della rendicontazione, ma meno sull’organizzazione, quindi sul presidio interno che deve essere rafforzato. E infine, migliorare in termini di governance che necessita di una maggiore visione strategica in quanto è una leva fondamentale nel rapporto tra sostenibilità e competitività.
Ma una volta individuato dove è necessario concentrare maggiormente gli sforzi, cosa serve alle aziende per fare un passo avanti?
La risposta, stando all’analisi di Open-es è puntare sulla formazione e sulla conoscenza per aumentare la consapevolezza degli impatti che le tematiche ESG hanno sui modelli di business e sulle attività aziendali. Questa risulta essere la strategia più vincente perché consentirebbe di incidere su circa un terzo del potenziale di competitività a disposizione dell’ecosistema imprenditoriale.
Le priorità dell’alleanza Open-es
Alla luce dell’analisi effettuata e delle esigenze normative, il Navigatore restituisce poi un piano per il 2025 che prevede tre campi d’azione per l’alleanza e la piattaforma Open-es: rafforzare la formazione con nuove iniziative e potenziare quelle già esistenti e diffondere strumenti di misurazione accessibili a tutti e semplici (soprattutto per gli aspetti ambientali e di governance), fornire linee guida e best practice per supportare le imprese a definire processi, strategie e target chiari (con particolare focus sul pilastro sociale) e infine integrare e stimolare le imprese a connettere la competitività con la sostenibilità attraverso il supporto alla definizione di azioni concrete.
Al contempo, le imprese dell’Alleanza sono chiamate a partecipare attivamente alle iniziative di formazione messe in campo dalla community, adottare gli strumenti di misurazione che la piattaforma offre, definire o rafforzare dei processi per darsi dei piani sulle otto dimensioni ESG identificate per sfruttare il potenziale in termini di competitività, identificare rischi e opportunità per ogni ambito di business e definire dei piani d’azione biennali concreti.
Investimenti e capitali: cosa serve per spingere la transizione sostenibile
La fiducia sulla rilevanza crescente che queste tematiche stanno acquisendo è ormai tangibile. Secondo quanto rilevato da una recente indagine di The European House Ambrosetti e presentata da Benedetta Brioschi, la transizione ecologica è la prima sfida prioritaria per gli italiani e le imprese del paese. Oggi infatti l’impegno ESG è richiesto su diversi fronti: dalle istituzioni europee, dalla finanza sempre più preoccupata dei rischi catastrofali, dagli investitori che mettono, secondo quanto affermato da Brioschi, i criteri ESG al terzo posto per importanza nella scelta dei potenziali target in cui investire, le giovani generazioni e i consumatori che tra gli aspetti chiave nella scelta di un prodotto citano la provenienza delle materie prime, la tracciabilità, la tutela dei diritti dei lavoratori, l’utilizzo di fonti di energia rinnovabili.
Le perplessità derivanti dal nuovo scenario geopolitico sono legittime, afferma Brioschi, ma “non possiamo permetterci di rallentare: questa direzione è stata tracciata in modo molto incisivo e deve essere perseguita. Le imprese hanno bisogno di indicazioni chiare e di un percorso ben definito”.
Guardando all’Italia, la grande maggioranza del tessuto industriale, il 98% delle imprese pari a circa la metà del valore aggiunto generato dal Paese e che ingloba quasi il 60% degli occupati, ricorda Brioschi, è riconducibile alle PMI. Secondo quanto rilevato dal Twin Transition Index – indice che The European House Ambrosetti ha sviluppato con Amundi – lo Stivale si posiziona al 17esimo posto tra i 27 Paesi europei in ambito transizione (20° posto per quanto riguarda la sostenibilità ambientale, 13° posto nel pilastro digitale e 17° nel pilastro sociale).
Per migliorare le prestazioni, le imprese hanno bisogno di risorse finanziarie, ma il mercato dei capitali in Italia presenta quattro problematiche che ostacolano l’accesso ai fondi necessari per sostenere la transizione. In primo luogo, le famiglie italiane infatti investono poco: il 32% circa della ricchezza degli italiani sta sui conti corrente e non è investito: “sono oltre 1,5 trilioni di euro che dovremmo mettere in circolo nell’economia reale e potrebbero dare un impulso importante alla transizione” afferma Brioschi. Poi, la capitalizzazione di mercato media italiana è limitata: “la capitalizzazione sul PIL in Italia è 39% rispetto al 130% della Francia e il 108% della Gran Bretagna”, continua. Pochi sono poi gli investimenti in PMI: il FTSE Small Cap ha dimensioni ridotte e l’indice Euronext Growth ha un flottante limitato rispetto alle altre economie europee. E infine gli investitori istituzionali investono poco in Italia: nel Mib solo 8% degli investitori istituzionali sono italiani, sulla borsa francese la percentuale è del 25%.
Assicurazioni e rischi catastrofali: necessario sfruttare di più le informazioni
Il tema dell’accesso alle risorse e degli investimenti è stato messo all’attenzione anche dal Vice Direttore Generale Banca D’Italia, Paolo Angelini: “Molti dei costi legati alla sostenibilità sono in realtà investimenti per il futuro”, afferma. E pensando alla nuova legge che obbliga le imprese ad assicurarsi sui rischi catastrofali, Angelini dichiara che “anche questa può essere vista in due modi: come l’ennesima imposizione burocratica o come un importante strumento per mantenere la propria competitività e per sopravvivere poi in un mercato e in una situazione in cui i rischi catastrofali stanno diventando molto rilevanti”.
Il Vice Direttore ha evidenziato l’importanza di investire in termini di informazioni in questa direzione: “da alcune rilevazioni di Banca d’ Italia emerge che le informazioni circa le coperture assicurative contro i rischi catastrofali non sono ben valorizzate nel rapporto banca-impresa. Nelle pratiche di apertura di fido ci risulta solo un 30% di imprese che riesce a far valere queste informazioni. Questo può essere dovuto a diversi fattori (scarsa sensibilità da parte delle banche o poca consapevolezza da parte delle imprese). Ma il punto è che è necessario arrivare a una maggiore standardizzazione delle coperture assicurative affinché diventino più semplici da valutare. L’auspicio”, conclude Angelini, ”è che le imprese da una parte, le banche dall’altra utilizzino queste informazioni al meglio”.
Visione pragmatica, semplificazione e cultura industriale: perché è importante un’alleanza come Open-es
Tre sono i motivi per cui, infine, secondo Lara Ponti, Vice Presidente per la Transizione Ambientale e gli Obiettivi ESG di Confindustria, è necessaria un’alleanza strategica come quella di Open-es: costruire una visione pragmatica, semplificare i processi e creare e diffondere una nuova cultura industriale.
“Nonostante sia ormai sotto gli occhi di tutti l’urgenza di attuare la transizione – pensiamo ai morti a Valencia o alle alluvioni in Emilia Romagna”, dichiara Ponti, “le imprese si stanno dibattendo da una parte con una complessità documentale crescente che diventa poi un onere e dall’altra con i costi legati a dei vincoli europei che sono tali soprattutto perché si confrontano con dei sistemi economici internazionali che non sono sottoposti a tali nuove legislazioni, creando asimmetrie nella competitività”.
Quindi per la Ponti quello che il sistema deve riuscire a fare è dare una visione, mantenendo fissi e stabili gli obiettivi ambientali, sociali e di governance da raggiungere, ma costruendo in maniera pragmatica e concreta gli strumenti per arrivarci, senza compromettere nel frattempo gli obiettivi di competitività. E a questo si lega il tema della semplificazione che consiste nella capacità di armonizzare gli sforzi informativi, di rendicontazione e legati alle richieste normative, creando “un modello unico di condivisione”.
Infine, tale collaborazione e aiuto reciproco, a cui una piattaforma come Open-es punta, devono portare all’elaborazione di una cultura industriale da presentare in fronte unito alle istituzioni governative le quali devono essere in grado di costruire le condizioni affinché i risultati possano essere raggiunti attraverso strumenti attuativi che siano coerenti e abilitatori dei processi.
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