Educatori, famiglie, prof, adesso monta il dissenso

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CREMONA – «Non è in dubbio la legittimità del bando emanato, ma come operatore mi chiedo: a quali esigenze risponde la convocazione di una gara in cui a vincere è, come prevedibile, il massimo ribasso?».

Bando Saap: a quasi una settimana dall’esplosione di quello che si è subito trasformato in un caso politico e sociale, non accennano a placarsi i commenti e le rimostranze riguardo al servizio di supporto all’educazione degli studenti con disabilità recentemente affidato con una nuova gara d’appalto alla cooperativa bergamasca Progetto A, che dal primo di marzo dovrebbe subentrare alla cordata di coop locali che fino ad ora hanno coperto il servizio. Negli scorsi giorni si erano espressi alcuni enti del mondo delle cooperative locali: Cosper, Solco e Forum del terzo settore; contestualmente si era espressa anche la minoranza, unita in consiglio comunale.

Ora a prendere parola sono i diretti interessati, gli ‘addetti ai lavori’: educatori e educatrici che da anni lavorano nel circuito dell’assistenza alla disabilità, ma anche genitori e famiglie degli utenti e insegnanti che con gli operatori hanno un rapporto di collaborazione privilegiato.

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Federico Pederneschi, da oltre dieci anni educatore, sottolinea subito «la volontà di tutti i coinvolti che vedranno la propria vita cambiare per scelte di altri, che nulla hanno a che vedere con le esigenze dei ragazzi». E che dal primo marzo si troveranno a dover scegliere tra continuare un percorso con gli studenti che conoscono da anni, ma con una cooperativa estranea al territorio, o rimanere nella propria organizzazione sociale abbandonando il percorso lungo al fianco dei ragazzi.

«Una scelta che nessuno di noi si sarebbe mai sognato di dover affrontare: tra il bene dei ragazzi e il nostro futuro lavorativo».

E proprio di fronte a questo bivio, molti educatori non hanno dubbi: «Ci viene spiegato – scrive Daniela Magnani – che per continuare il nostro servizio dobbiamo accettare di andare a lavorare con una cooperativa sconosciuta, che non ha relazioni con il territorio. Metà del mio orario di lavoro in bilico… Ma no, non andrò a lavorare per un’organizzazione che non ho scelto e che crede (evidentemente a ragione) che un ribasso economico sia una mossa sufficiente ad annullare anni di lavoro e reti di relazione. E mi sentirò in colpa verso V. e la sua famiglia, anche se colpa non ho se non quella di ascoltare ancora la mia coscienza».

Una fermezza legata non solo alle modalità con cui avviene il passaggio e alle incertezze riguardo al nuovo inquadramento contrattuale offerto dalla coop bergamasca, ma anche alla natura stessa del lavoro cooperativistico: la maggior parte dei lavoratori è legato alle proprie organizzazioni, che magari ha contribuito a fondare o di cui condivide i valori.

Di Progetto A invece, con i suoi ottomila dipendenti operanti in 11 regioni, molti operatori non condividono «l’impianto aziendalistico».

«Per 36 anni — prosegue Magnani — sono stata educatrice nella mia cooperativa, scegliendo di lavorare con persone che condividessero un’idea di comunità e un progetto sociale basato sulla cura delle relazioni e delle persone». In dubbio, nel discorso che si leva dalla base di lavoratori e lavoratrici coinvolte, è la continuità di un servizio di affiancamento che poteva contare su una rete territoriale oliata e funzionante.

«Da professore conosco bene il lavoro degli educatori – testimonia Thomas Brigada, insegnante di scienze motorie –. Per i ragazzi sono punti di riferimento insostituibili, non solo a scuola ma in quel processo di cucitura di esperienze nelle tante realtà scolastiche, extrascolastiche e sportive che fortunatamente il territorio offre. Anche grazie a quelle stesse cooperative locali che entrano nelle aule».

La preoccupazione, per tutti, è che la nuova assegnataria non possa connettere «così tanti ambiti in un sistema-città come il nostro. E sicuramente non a metà anno scolastico».
Un sistema che peraltro si è sempre guadagnato elogi e apprezzamenti per la qualità e l’ampiezza dei servizi offerti: «Ma ora pare che, per qualche ragione, si voglia smantellare anche questo – afferma Mirella, mamma di un giovane utente del servizio Saap –. Ci chiediamo, come genitori, a quale volontà politica faccia capo la scelta di emanare un bando che ci pare trascuri la qualità dei rapporti umani costruiti, come nel caso di mio figlio, in sette anni di conoscenza e fiducia tra educatore e alunno».

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E in tanti, oltre alle domande, azzardano le risposte: «I ragazzi si troveranno ad avere a che fare con perfetti sconosciuti. E questo solo perché, ancora una volta, si è scelto di monetizzare. Solo che in questo caso in ballo non c’è lo spostamento di qualche pacco, ma i rapporti umani tanto delicati».
Tutto si decide in questi giorni: sono nati gruppi di operatori che si stanno organizzando per far sentire la propria voce collettivamente. La prima occasione utile potrebbe essere la commissione di vigilanza convocata sul tema martedì.





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