Paolo Naso, Brunetto Salvarani “Verso un nuovo statuto dell’ora di religione?”

Effettua la tua ricerca

More results...

Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors
Filter by Categories
#finsubito

Prestito personale

Delibera veloce

 


A partire dal titolo, che è già un programma, vale la pena di prendere sul serio le riflessioni del vescovo di Pinerolo Derio Olivero, presidente della Commissione per l’ecumenismo e il dialogo della CEI, riportate in un articolo comparso sul n.7/8 della “Rivista del Clero Italiano”: “Insegnamento, religioni, spazio laico. Verso un nuovo statuto dell’ora di religione nella scuola pubblica”. Tra i motivi che, a suo dire, invitano a pensare a un nuovo statuto dell’ora di religione c’è la consapevolezza di vivere un pluralismo religioso del tutto inedito, nel quadro di quello che papa Francesco insiste a definire un cambiamento d’epoca: “uno statuto che contribuisca alla creazione di una civitas ecumenica, capace di riconoscere e apprezzare le differenze. In questa luce la chiesa cattolica potrà fare un passo indietro, rinunciando a uno spazio che le spetta di diritto in nome del Concordato, per aiutare la società a fare un passo avanti”.

Oggi, sostiene il vescovo, è necessario un insegnamento che riconosca e includa le altre confessioni e religioni, senza trascurare quanti, in ricerca, non sono legati a nessuna religione: “In questa prospettiva si può immaginare l’insegnamento della religione in chiave interreligiosa. Anzi, di più: se la cultura religiosa è chiamata a essere parte delle conoscenze e delle competenze dello studente in formazione, possiamo ipotizzare un insegnamento della religione per tutti, superando l’equivoco della facoltatività”. Si aprono, ora, diversi interrogativi, ma l’autorevolezza della firma e le ragioni della proposta non possono essere facilmente accantonati. “Come essere Chiesa in uscita nello spazio pubblico?”, si domanda don Derio. Si aprirà un dibattito al riguardo? Ce lo auguriamo. Qui scegliamo di toccare solo qualche punto, per contribuire a rilanciare la questione. Delicata e strategica.

Impressiona la reticenza con cui, in ciò che resta del mondo cattolico, si riflette sulla situazione dell’ora di religione cattolica (tecnicamente IRC) nelle scuole italiane. Meglio, potremmo dire non si riflette, per più di un motivo: timore di perdere un privilegio acquisito da tempo, scarsa volontà di aprire un possibile contenzioso con lo Stato, sottovalutazione del calo progressivo di quanti aderiscono all’IRC, e si potrebbe continuare.

Una questione che, peraltro, s’intreccia con altre delle quali, pure, ben poco (e male) si ragiona: dal dramma cronico dell’analfabetismo religioso all’amara constatazione di quanto pesi sulla fragile identità cattolica dei nostri connazionali l’assenza della conoscenza della Bibbia nei circuiti culturali, e non solo in quelli. Fino al relativo interesse con cui pensiamo al ruolo della scuola, conclusasi la stagione gloriosa dell’associazionismo cattolico di impegno pedagogico e didattico, di cui fa fede la moria delle riviste specializzate e dell’editoria storica non meno che delle figure di riferimento. Quella scuola che, del resto, permane l’unico ambito sociale in cui sono destinati a transitare prima o poi tutti gli italiani, in veste di discenti, docenti o genitori…

Sconto crediti fiscali

Finanziamenti e contributi

 

Per cogliere la necessità di uno sguardo nuovo sulla religione a scuola, basta partire da un dato oggettivo. La revisione del Concordato fra Santa Sede e Repubblica italiana del 1984, che ha sancito l’attuale situazione dell’IRC, fu pensata e firmata in un contesto storico-culturale abissalmente distante da quello odierno, in cui – per dire – erano ancora in piedi il Muro di Berlino e le Twin Towers a New York, la secolarizzazione sembrava aver trionfato sul bisogno di sacro e con essa la sensazione che più modernità equivalesse a meno religione. Ora, al crollo simbolico e reale di quei muri si accompagna ciò che chiamiamo post-secolarizzazione, e la convinzione diffusa che con le religioni (al plurale) non si possa non fare i conti sul piano sociale e culturale, in un quadro di religiosità fluide, porose, post-moderne.

Materia incandescente e spinosa, ovvio, soprattutto in stagioni, come la nostra, ricca di identitarismi e di sordità reciproche fra nuovi clericalismi e laicismi impenitenti, più che di dialogo e di ospitalità. Proprio per questo, peraltro, l’ambito scolastico sarebbe chiamato a un supplemento di responsabilità, pena il divenire lo spazio principe per strumentalizzazioni e banalizzazioni varie. Pensiamo, ad esempio, ad annose querelle che si ripresentano stancamente, e puntualmente, ogni anno, come presepe sì – presepe no, e velo sì – velo no

Sì, il mosaico delle confessioni di fede che ci sta attraversando e ha ormai messo radici è, infatti, destinato a porre a dura prova la tradizionale ignoranza italiana in campo religioso, invitando l’universo della scuola e della formazione permanente a un impegno più serio e approfondito al riguardo.

Sarà impossibile, in ogni caso, continuare a considerare il fatto religioso come un elemento puramente individualistico o folkloristico, privo d’influssi culturali, economici e sociali. Come ogni novità, un panorama simile potrà provocare paure e indurre a chiusure intellettuali, e lo sta facendo, ma altresì stimolare a un autentico salto di qualità, se sarà vissuta con la necessaria laicità (dato che una laicità aperta è il presupposto di ogni sano pluralismo).

Ecco dunque, in Italia e in Europa, in negativo, i preoccupanti indizi di un risorgente antisemitismo, di un’islamofobia e di un antiziganismo montanti, di un’intolleranza crescente nei confronti dell’immigrazione dalle nazioni più povere, di un razzismo più o meno strisciante, e così via.

Di fronte a tale scenario, in costante trasformazione, il sistema ipotizzato all’epoca dal Concordato Craxi-Casaroli appare oggi giocoforza inadeguato, complice de facto non solo dell’odierno ricordato stato di analfabetismo religioso ma anche dell’ignoranza quasi assoluta della Bibbia, grande codice dell’immaginario occidentale. Cose sotto gli occhi di tutti, volendo essere intellettualmente onesti.

Compete al sistema scolastico il ruolo di alfabetizzare gli alunni sulle grandi aree dell’esperienza umana, compresa l’area dell’universale esperienza simbolico-religiosa, alla cui lettura critica si dedicano, con serietà di metodi e plausibilità di risultati, non poche scienze storiche, filologiche, ermeneutiche, teologiche, e così via.

Ci pare evidente, in tale prospettiva, che l’aspetto della confessionalità dell’insegnamento religioso in Italia risulti anacronistico, a cominciare dalla stessa sua dizione, Insegnamento della religione cattolica, come se quella cattolica fosse una religione e non una confessione cristiana accanto alle altre. Così come il meccanismo attuale di scelta dei docenti, che registra il protagonismo dei vescovi, ma sovente mette a disagio chi è coinvolto (per più di un motivo, essendo una gabbia insieme dorata e precaria). Sarebbe un segnale importante se la Conferenza Episcopale, sulla linea dell’analisi del vescovo Olivero, accettasse di avviare una ridiscussione con le autorità competenti, in un dibattito franco e aperto: ne guadagnerebbero i docenti di IRC, condannati a percepirsi e a essere percepiti necessariamente di serie B rispetto agli altri a dispetto dell’avvenuta messa in ruolo di diversi fra loro, ma anche gli studenti tutti (certo – si potrebbe rispondere – ma l’attuale Parlamento avrebbe interesse ad affrontare una questione così spinosa? non c’è che da verificarlo…). Per non parlare, e si dovrebbe farlo, del regime di facoltatività dell’insegnamento religioso, che fa acqua da ogni parte e non fa giustizia del legittimo diritto degli studenti italiani di ricevere dalla scuola, tutti nessuno escluso, una seria competenza sul Fattore R (come Religione), elemento decisivo per capire le dinamiche storiche del mondo ma anche la condizione geopolitica odierna.

Richiedi prestito online

Procedura celere

 

Com’è apparso evidente negli ultimi anni, cercando di cogliere le ragioni profonde dei conflitti fra Russia e Ucraina e di quello israelopalestinese, ad esempio.

Si noti: anche da parte protestante, e da tempo, arrivano spinte nella direzione di un insegnamento curricolare e laico. Anni fa se ne fece interprete il pastore e teologo della Facoltà valdese Ermanno Genre: “La posizione dei protestanti italiani – affermò in un dibattito pubblico riportato dal mensile “Confronti” (8 marzo 2010) – è stata espressa con chiarezza più volte: le cose sono da tempo cambiate; il Concordato del 1984 e le Intese sono ormai lontani; viviamo in un’altra Italia. Oggi non si giustifica più una politica di “avvalersi o non avvalersi” dell’Irc: è maturo il tempo perché ci sia un insegnamento curricolare del fatto religioso nella pluralità delle sue espressioni, gestito autonomamente dalla scuola e non più dall’autorità cattolica, come avviene in molti paesi europei. Certo, esiste il problema della formazione degli insegnanti di religione che è un problema serio: ma non è un impedimento perché continuino, oggi, ad insegnare quelli che si trovano in servizio, con opportuni corsi di formazione” (a conferma di questa linea, nel 2005 Genre aveva pubblicato, insieme al pedagogista cattolico Falvio Pajer, il volume L’Unione Europea e la sfida delle religioni. Verso una nuova presenza della religione nella scuola, per Claudiana, che prefigurava proprio un insegnamento delle religioni).

Nel frattempo, le cose sono cambiate e varie università italiane preparano docenti in grado di insegnare le religioni in una prospettiva aconfessionale, attenta al pluralismo religioso dell’Italia di oggi. Sulla stessa linea del prof. Genre, anni fa, si era espressa anche l’associazione 31 ottobre che, nata per difendere la laicità della scuola, nel 2012, per bocca del suo presidente, prevedeva: “Non si tratterà certo di un processo rapido e indolore, ma la convergenza anche di esponenti della pedagogia cattolica oltre che un diffuso senso comune… fanno presagire che l’argomento non potrà essere facilmente archiviato”. Sono passati dodici anni, in realtà, ma nulla è accaduto fino all’intervento di mons. Olivero.

Possiamo quindi ritenere che esiste un fronte ecumenico a sostegno della proposta? Presto per dirlo ma, superando i prevedibili sgambetti e proteggendosi dalla retorica laicista della religione fuori dalla scuola, è almeno plausibile. “La Chiesa desidera entrare nella scuola” – scrive Olivero – “per contribuire non tanto a educare dei credenti, ma dei cittadini. Cittadini capaci di abitare questo tempo, plurale e post-secolare.

Capaci di capire questo tempo e di impegnarsi a costruire una società in dialogo nelle differenze, in pace”. In tale prospettiva, crediamo occorra muoversi nell’ottica di un sistema multireligioso in cui sia lo Stato, attraverso i suoi docenti, a educare alla cultura religiosa delle diverse fedi, ovviamente tenendo anche conto dell’incidenza preponderante della cultura cristiano-cattolica nel nostro Paese, sul piano storico, sociale e antropologico. Un insegnamento di tutte le religioni, aconfessionale e destinato a tutte/i, senza alcuna facoltatività. Realisticamente, esso potrebbe essere tenuto dagli attuali docenti di IRC, in attesa che si formino e crescano anche insegnanti provenienti dalle università, sottoposti allo stesso regime degli altri docenti, con regolari concorsi (da qualche anno, fra l’altro, c’è stato il ritorno degli insegnamenti di teologia nel sistema universitario italiano, a centocinquant’anni dalla soppressione nelle università italiane di quelle facoltà di teologia che ci sono da sempre in Germania, Svizzera, Belgio, Inghilterra, e perfino in Francia). Sarebbe la fine di un’anomalia tutta italica, figlia di una stagione superata e, ci auguriamo, non più destinata a riproporsi.



Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Contributi e agevolazioni

per le imprese

 

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link