I Ventisette uniti sulla difesa ma si litiga su armi e risorse. «Serve un nuovo Recovery»

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«L’Europa ha bisogno di uno scatto nella difesa». La premessa che mette d’accordo tutti i leader Ue la sintetizza la presidente della Commissione Ursula von der Leyen, a corredo di una foto pubblicata sui social durante la discussione informale sulla difesa al “ritiro” del Palais d’Egmont, nel centro di Bruxelles.

I NODI
L’incontro, il primo dall’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca, era nato con il proposito di essere il primo interamente dedicato alla sicurezza collettiva. Segno di tempi che cambiano rapidamente e della necessità di serrare i ranghi. L’unità a 27, però, rischia di finire qui, infranta contro le più classiche divisioni Ue: la diagnosi è condivisa, non la cura. Con che soldi rilanciare la difesa comune e per comprare quali armi – i due principali dossier toccati dai leader nei loro interventi – sono, infatti, questioni fin troppo sensibili per le capitali Ue, ed evidenziano l’assenza di una visione comune. Ma qualcosa si muove. Toccherà alla Commissione Ue fare sintesi quando, tra poco più di un mese, presenterà il nuovo Libro Bianco dell’Ue sulla difesa. Partiamo dalle risorse.

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Arrivando al Palais d’Egmont, il segretario generale della Nato Rutte – vecchia conoscenza dei summit dei leader Ue per essere stato premier olandese per 14 anni – non ha fatto mistero che l’impegno di spesa pubblica nella difesa «dovrà adesso essere considerevolmente più alto che il 2%» del Pil, obiettivo concordato dall’Alleanza poco più di dieci anni fa. Trump, determinato a “sganciare” gli Usa dalle garanzie di sicurezza del continente europeo, vorrebbe portare il target al 5%; molti osservatori ritengono siano possibile trovare un punto di caduta intorno al 3,5%. Sono, dopotutto, già 23 su 32 i Paesi membri dell’Alleanza che hanno raggiunto o superato il 2%, mancato tuttavia da “pesi massimi” di Ue e Nato come Italia e Spagna, mentre la Polonia, da prima della classe, viaggia sopra il 4%.

La coperta delle risorse nazionali, però, è corta, soprattutto perché i governi frugali – olandesi in testa – escludono ogni possibile riapertura del negoziato sul Patto di stabilità per consentire agli Stati più indebitati maggiori margini di manovra attraverso una esclusione tout court delle spese per la difesa dai vincoli della disciplina sui conti pubblici. Soprattutto a nord, il muro frugale sta, tuttavia, dando segni di cedimento. «Siamo aperti a ogni soluzione per finanziare la difesa comune. Abbiamo bisogno di risorse condivise, siamo pronti a discuterne», ha affermato il premier finlandese Petteri Orpo ieri a Bruxelles, facendo fronte comune con la Danimarca che aveva già infranto il tabù degli Eurobond, stavolta per le armi. Il capo del governo greco Kyriakos Mītsotakīs, voce influente tra i popolari del Ppe, ha idee ancora più chiare, e ha evocato l’esperienza del Recovery Plan: occorre creare «un nuovo strumento europeo, di almeno 100 miliardi di euro», ha scritto sul Financial Times. Per comprare quale armi, però, è fonte di dissapori tra i Paesi Ue, e si incrocia con la parallela (e tesa) partita commerciale.

GLI ACQUISTI
La Francia punta i piedi a sostegno del principio del “Buy European”: incrementare gli acquisti sì, ma solo di equipaggiamenti militari fabbricati in Europa, così da rilanciare l’industria del continente. Aumentare le commesse militari dagli Usa, che rappresentano già il 63% del totale Ue, rientra nella strategia di Bruxelles per scoraggiare una guerra commerciale tra le due sponde dell’Atlantico. Un approccio massimalista contestato dal premier polacco Donald Tusk: «Convincerò gli altri a non introdurre restrizioni che possano limitare o eliminare la possibilità di spendere denaro europeo per gli armamenti americani». La difesa non è terreno di chiusure ma di apertura ai partner extra-Ue, ha aggiunto. La coalizione per la sicurezza del continente punta, infatti, ad allargarsi anche al di là dei confini Ue, bypassando capitali neutrali e filo-russe ma ricomprendendo il Regno Unito, l’unico Paese ad aver finora abbandonato il blocco. «Non si tratta di tornare a far parte dell’Ue, ma di migliorare la relazione sulla difesa», ha precisato Keir Starmer, primo premier britannico a partecipare, ieri sera, a un summit Ue a cinque anni esatti dal compimento della Brexit.

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