Giudici e pm, separare le carriere a Costituzione invariata

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La separazione delle carriere dei giudici e dei magistrati del pubblico ministero richiede una modifica costituzionale? È questa la strada battuta dal governo e dalla maggioranza parlamentare. È possibile, tuttavia, che l’operazione possa essere compiuta a Costituzione invariata.

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1) Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a un giudice terzo e imparziale (art. 111 comma 2 Cost.). Il pubblico ministero è parte, come lo è l’imputato (e il suo difensore). Dalle parti il giudice deve essere equidistante: non può identificarsi con una delle parti perché cesserebbe di essere terzo e imparziale.

2) I giudici sono soggetti soltanto alla legge (art. 101 comma 2 Cost.) I giudici, non i magistrati del pubblico ministero. Non che questi non debbano essere soggetti alla legge; ma essi non sono soggetti soltanto alla legge. Mentre guarda ai giudici come individui, la Costituzione guarda al pubblico ministero come un ufficio. Un ufficio particolarmente complesso (procuratore della Repubblica, procuratore aggiunto, sostituto procuratore) che, come tutti gli uffici complessi, richiede, per funzionare, una relazione di gerarchia; in cima alla quale c’è il procuratore della Repubblica. Gli altri componenti d’ufficio sono soggetti alla legge, ma anche al procuratore capo.

3) Il pubblico ministero gode delle garanzie stabilite nei suoi riguardi dalle norme sull’ordinamento giudiziario. Queste norme sono norme di legge ordinaria (art. 108 co. 1). Ma le garanzie dei giudici sono stabilite direttamente dalla Costituzione (C.S.M., art. 104; riserva al C.S.M. dei provvedimenti di assunzione, trasferimento, promozione, disciplina, art. 105; inamovibilità, art. 107). Queste norme (artt. 104, 105 e 107), per la verità, fanno riferimento ai «magistrati»: sembrerebbero, quindi, includere fra i destinatari i magistrati del pubblico ministero. Perché, allora, prevedere per loro garanzie stabilite con legge ordinaria? Non potrebbe significare che ai magistrati del pubblico ministero non si applicano le garanzie stabilite con norme costituzionali? E che, di conseguenza, queste ultime – le norme costituzionali di garanzia riguardano essenzialmente i giudici? Alla luce di queste osservazioni può essere messo in discussione l’assetto attuale del Csm, composto per due terzi da magistrati (giudici e pm); ossia da rappresentanti dei giudici e da rappresentanti di una delle parti (del processo penale). Che ne diremmo di una composizione in cui, accanto ai giudici, ci fossero gli avvocati, ossia i rappresentanti dell’altra parte e fossero esclusi i pm? Che le cose non siano così ovvie, come ritengono i nemici della riforma, lo attesta il dibattito all’assemblea costituente. La maggioranza dei partecipanti era dell’avviso che i giudici e magistrati dell’accusa non fossero equiparabili, nel piano delle garanzie.

L’onorevole Bettiol, penalista illustre e esponente importante della Democrazia cristiana, rilevò che «è proprio dei regimi totalitari il concetto di voler considerare il pubblico ministero come un organo della giustizia «mentre in tutti i regimi liberali esso è considerato come un organo del potere esecutivo» (A.C., pag. 2519).

Piero Calamandrei, preoccupato che «una magistratura così chiusa e appartata» potrebbe entrare in conflitto con il potere legislativo o il potere esecutivo, propose di istituire un «procuratore generale commissario della giustizia», come organo di collegamento tra magistratura e governo – in parte magistrato e in parte rappresentante politico, con diritto di partecipare con voto consultivo alle sedute del Consiglio dei ministri.
Palmiro Togliatti propose che la vice presidenza del Csm fosse affidata al ministero della Giustizia (e che una quota di magistrati fosse eletta dal popolo).
Per Giovanni Leone, illustre docente di Procedura penale e futuro presidente della Repubblica, «lo scopo da raggiungere è di sganciare il potere giudiziario degli altri poteri dello Stato (…), ma nello stesso tempo di impedire il crearsi di una casta chiusa della magistratura». Il pm, «in quanto promotore dell’azione penale (…) e in quanto promotore del procedimento disciplinare a carico di magistrati (…) rappresenta presso il potere giudiziario l’organo di iniziativa e di controllo dello Stato».
Se la separazione delle carriere è possibile, e in qualche modo imposta, a costituzione vigente, non è esagerato combattere la riforma definendola incostituzionale? Coloro che si oppongono alla riforma, invocando la Costituzione, dovrebbero chiedersi se non è proprio la Costituzione a richiedere la separazione dei due ordini. La Costituzione contiene comunque un art. 138 che disciplina il procedimento di revisione.

Cambiare la Costituzione non è incostituzionale.

* Professore emerito di Diritto amministrativo nell’Università di Roma tre

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