Un mese senza «Angelo», dimenticato da tutti nella culla della morte

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Caro «Angelo», bimbo senza nome che ha avuto la sfortuna di nascere in un grembo di Bari, tutti si sono dimenticati di te. Tua madre non ti voleva o non poteva tenerti; Bari ha pianto qualche giorno e poi si è scordata che sei morto nella culla termica di una sua chiesa. E di chi ti ha lasciato morire, prima ancora che potessi scendere dalla tua bara, non si sa più nulla.

Peccato Angelo, tutti si ricordano di Gesù bambino ma di te, nato nel mese delle festività e morto all’alba dell’anno nuovo, non si ricorda più nessuno. Il prossimo 2 gennaio, anniversario della tua morte, dopo le sbornie di Capodanno torneremo tutti alle nostre vite, tra champagne stappati e cartucce di fuochi d’artificio per strada. Come quella notte del 2025, quando gemevi intirizzito dal freddo in un contenitore spento (o difettoso) di Poggiofranco, ricco quartiere residenziale di Bari, e nessuno si accorgeva di te. Dovevi essere al sicuro, pensava tua madre che ti ha lasciato lì, qualcuno si sarebbe preso cura di te. E invece niente, Angelo, il tuo Capodanno, l’alba di una vita che meritavi di vivere se non fossi nato così sfortunato, lo ha festeggiato la morte.

Ti è venuta a prendere e, a quanto pare, a nulla sono serviti i tuoi pianti, sentiti da una residente di passaggio. Né il tuo gracile peso è servito a segnalare la tua nascita abbandonata al geniale ideatore della trovata, la «culla della vita» che doveva accogliere te e tutti i diseredati del mondo che passano da Bari. Niente, il cellulare del parroco non ha squillato, o almeno così lui ha detto mentre era impegnato a Roma, e a nessuno è venuto in mente che prendersi una responsabilità del genere, equivalente a quella di un pronto soccorso, significa innanzitutto assumersi le responsabilità – anche penali – delle conseguenze.

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Lì, sulle pareti della chiesa di San Giovanni Battista, dove sei morto solo come un cane abbandonato, c’è ancora il manifesto che «pubblicizza» quella trovata, la culla termica. Qualcuno, in quei giorni di veloce clamore, ha deposto fiori e pupazzetti mentre i tuoi gracili resti venivano seppelliti in gran fretta nel cimitero, con la benedizione di un vescovo imbarazzato e di un parroco tenuto al riparo dalle telecamere.

Già, le telecamere. Che fine hanno fatto le squadre dei TG prontamente mandate ogni giorno che c’era una perizia, una curiosità, una reticente testimonianza di qualche residente da raccogliere? Una settimana e.. puff… Angelo è morto (si dice «andato in cielo», fa più figo e serve a lavare la coscienza di chi lo dice), ne abbiamo parlato abbastanza. Passiamo oltre, la culla termica non fa più share.

Un aggeggio micidiale quella trovata: doveva garantire la vita agli orfanelli. Quanta misericordia, quanto amore, quante cristianità in questa bellissima idea, ampiamente diffusa dai media quando è sorta, con tanto di foto opportunity e parroco vocato a meritata carriera sacerdotale. Poi il silenzio, calato come sempre finché non ci scappa il morto. Ed è toccato a te, con la tua vita, risvegliare le coscienze e l’attenzione sui rischi di quelle culle.

Di don Antonio e di quale sia la verità di quel Capodanno 2025 in cui sei crepato al gelo di condizionatori mal funzionanti, squilli che non partivano o non arrivavano, persone che non si preoccupavano se tutto fosse a posto mentre tutti, lì attorno, brindavano e festeggiavano, nessuno – tranne gli inquirenti – se ne occupa più. E hai voglia a barcamenarsi sulle ipotesi e sulle responsabilità. Pensa Angelo, ci sono regole per tutto, da come guidi un’auto a come hai disposto l’uscita di sicurezza o il wc in un locale pubblico, ma sulle culle termiche non c’è nemmeno una norma. Chi vuole buttarsi nella generosità (o farsi pubblicità) ne apre una, anche se non ha un ospedale, personale adibito, sistemi di controllo certificati o autorizzazione a svolgere un servizio pubblico, e tutti applaudono. Poi, come si suol dire, Dio vede e provvede.

Ci sei finito tu lì dentro e ci sei morto. Di fame, freddo, stenti, come i neonati che galleggiavano sulle sponde di Cutro, che almeno hanno avuto la consolazione di essere stati protetti sino all’ultimo dalle braccia di papà e mamma naufraghi. Tu niente, lasciato lì e non si sa nemmeno chi ti abbia lasciato lì, visto che pure tua madre non ha avuto la forza (o il coraggio) di prendersi le responsabilità, pari o simili a quelle di chi non è stato in grado di raccoglierti e accudirti.

Caro Angelo, un mese è bastato a dimenticarti e chissà se almeno questa volta Parlamento e Governo vorranno regolamentare l’uso (improprio) delle culle termiche fuori dagli ospedali, o magari vietarle. Chissà se qualcuno, mosso da pietà per te – piccolo Gesù dimenticato – vorrà metterci la faccia sulla tua precoce e assurda morte. Chissà se questa città, Bari, che come il resto d’Italia trita la memoria di guerre, catastrofi e tragedie umane al passo di un tweet o di un video su TikTok, vorrà fermarsi a riflettere su quello che ti è successo.

Ciao Angelo senza nome, dimenticato dalla fretta dei media e ucciso dall’incuranza di tutti.



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