ROI to read – Ritorno sull’investimento della lettura. Il libro del mese di ROI Edizioni, idee di management e per crescere.
Raccontarsi è sempre più importante, per manager, imprenditori, brand e aziende. Essenziale, addirittura. La sfida è farlo nel modo giusto, scegliendo la narrazione più idonea al proprio pubblico e i canali più indicati per raggiungerlo. Come orientarsi? Una bussola fondamentale è rappresentata dai libri di Andrea Fontana, antesignano dello storytelling in Italia, sempre attento all’evoluzione dei linguaggi, dei temi e dei media. Nel suo ultimo libro spiega come creare universi narrativi.
Come siamo passati dallo storytelling allo storiverso?
«È stata una naturale evoluzione. Lo storytelling si concentra sulla creazione di singole storie emozionanti e coinvolgenti. Di recente, ci siamo accorti che tutto questo va bene, ma non basta. Bisogna considerare anche gli interlocutori, i media, i contenuti. Nasce così un universo omnicanale. Oggi siamo orientati verso una visione più olistica, che permette a un marchio e a un leader di costruire un sistema narrativo coerente e flessibile».
Perché narrarsi è diventato essenziale?
«Viviamo in mondi pieni di contenuti competitivi, cioè che si contendono l’attenzione delle persone. Non solo, i media che adoperiamo hanno una struttura che ci porta al racconto. Fotografie, video, post: tutti i format ci spingono a raccontarci, anche se non sempre ce ne accorgiamo. Oggi, quindi, comunicare e comunicarsi per un’azienda e un leader è una necessità. Però bisogna saperlo fare. Occorre capire chi si è e come rappresentarsi con testi, immagini, video, addirittura suoni. Tutto ciò è fondamentale per creare fiducia, posizionarsi, coinvolgere gli stakeholder interni ed esterni. Un tema molto attuale è quello dell’employer branding, utile per attrarre nuovi collaboratori o trattenere quelli attuali. In questo caso, diventa essenziale comunicare con i più giovani».
La narrazione si impara o si delega?
«Entrambe le cose. Sicuramente, la capacità di raccontarsi è oggi una competenza manageriale a tutti gli effetti, al pari di leadership e problem solving. È necessario avere almeno le basi, anche solo per saper scegliere la persona o l’agenzia giusta a cui delegare questo compito».
I manager e gli imprenditori come e dove si devono narrare?
«C’è un insieme di termini inglesi che ci aiuta: you, me, now, media. A volte pensiamo di avere contenuti interessanti, ma l’importante è che siano adatti al nostro pubblico (you). Bisogna, poi, fare un lavoro di conoscenza su se stessi, capire che cosa si vuole raccontare. Per far questo, è essenziale avere ben chiaro e definito il proprio purpose, cioè qual è l’apporto che si vuole dare per cambiare il mondo (me). Now rappresenta le grandi sfide sociali e i topics da cui non si può prescindere. I media, infine, sono il luogo in cui le storie si incarnano e diventano post, video, podcast, relazioni alla macchinetta del caffè… Occorre orchestrare i diversi temi nei vari formati».
Come narrarsi su LinkedIn?
«Puntare su contenuti che mostrino competenza, il media lo richiede. Ma anche umanità. È efficace alternare post su temi professionali e personali che documentino difficoltà, sfide, cadute e risalite. E, soprattutto, spieghino che cosa si è imparato in queste circostanze. Chi comunica solo performance e successi non crea empatia. Non tutti siamo abituati a parlare della nostra storia intima, ma è una competenza da acquisire».
Da chi possiamo imparare a comunicare?
«Su LinkedIn sta facendo un ottimo lavoro sul racconto personale Cristina Scocchia, amministratore delegato di Illycaffè. Ma anche Francesco Mutti, ceo di Mutti. Più in generale, è interessante la linea narrativa di Brunello Cucinelli. Non si limita a comunicarsi come produttore di capi di abbigliamento, ma parla di un’azienda radicata sul territorio, di rispetto per le persone e di cultura d’impresa. Hanno in comune il fatto di portare valori, apprendimenti e, soprattutto, difficoltà superate. L’azienda deve sempre avere anche un volto umano».
Da quali spot e campagne farsi ispirare?
«È interessante l’iniziativa Adamo 2050 di Plasmon, a sostegno della natalità. Il tema è sociale, di grande attualità e declinato su media diversi: web, social, stampa… Altra campagna da studiare è quella di Esselunga, che ha usato dei frutti per raccontare temi sociali. Ci sono state tante reazioni, anche negative e ironiche, ma nel complesso l’impatto è stato positivo. Allargando lo sguardo all’estero, fra le aziende maestre in questo ambito ci sono sicuramente Apple e Nike».
Quali temi raccontare?
«Tutti quelli che contribuiscono a umanizzare non solo le persone, ma anche le aziende e i brand. Sono cinque le linee narrative che possiamo usare: le storie di riscatto, apprendimento, esplorazione, potere, valore. Se ci pensiamo, sono quelle che troviamo nei grandi racconti dell’umanità».
Donald Trump si è insediato alla Casa Bianca. Come ha convinto gli americani?
«Ha capito che il suo pubblico viveva un momento difficile, di grandi tensioni sociali, crisi, disagi. Si è raccontato come l’uomo forte in grado di risolvere tutto. Lo ha fatto declinando il messaggio su media diversi – tv, social, eventi dal vivo – e facendosi aiutare da una rete di storyteller. Uno dei grandi segreti dello storytelling è proprio quello di rispondere alle paure di un pubblico, entrare in connessione e presentarsi come chi risolverà questi problemi, che sia vero oppure no».
Brand storiverso. Universi narrativi per marchi che sono persone e persone che diventano brand (ROI Edizioni, pagg. 204, € 24) è disponibile nelle librerie e online. Andrea Fontana è sociologo della comunicazione e pioniere della narrazione d’impresa. Advisor in narrazione d’impresa, è docente di Corporate storytelling all’Università di Pavia, autore di molti libri e contributor di svariate testate giornalistiche.
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