Scontro politica e giustizia, Mattarella preoccupato. Il timore è di nuove scintille che alimentino la tensione

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di
Marzio Breda

Il presidente della Repubblica e l’incontro con la premier Meloni al Colle nel giorno della comunicazione della Procura

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Bisogna pensare a una stanza satura di gas nella quale a un certo punto si sprigiona una scintilla: che cosa succede? Scoppia tutto, no? E l’incendio, poi, chi lo ferma più? Sarà forse ingenua o banale, ma è questa la metafora che circola al Quirinale per spiegare il silenzio di Sergio Mattarella sullo scontro aperto tra politica e giustizia. Una sfida incrociata che si sta esasperando e che vede Giorgia Meloni esibire trionfali sondaggi per sé dopo la rabbiosa e pubblica denuncia lanciata contro le «toghe rosse», eterno nemico del centrodestra. «Vogliono governare loro, ma indagare me è colpire l’Italia… non mollerò di un millimetro», ha minacciato. 

Per come si sono messe le cose, la partita non sembra destinata a chiudersi presto, il che ha spinto molti a domandarsi perché il capo dello Stato non abbia parlato. Non ancora. La risposta è riassunta in quell’immagine dello sfavillio che rischia di accendere esplosioni a catena nella «stanza» (cioè nei Palazzi del potere, che sono tanti) quando è piena di gas. Con il sottinteso che prima di entrarci occorre almeno spalancare le finestre e far uscire l’aria intossicata.




















































Il presidente si è chiuso nel riserbo, come fa sempre quando intorno a lui c’è troppo frastuono e nel caos generale qualcuno magari perde la testa. Se è vero che «capita di dover tacere per essere ascoltati», come diceva lo scrittore polacco Stanisaw Jerzy Lec, ecco la sua strategia. Tra l’altro, una prova di forza così aspra era imprevedibile, per lui, dopo l’incontro di martedì pomeriggio sul Colle, durante il quale la premier lo aveva informato della comunicazione giudiziaria a suo carico che le aveva fatto recapitare il procuratore capo di Roma, Francesco Lo Voi. Certo, nel faccia a faccia Meloni si era espressa con i toni veementi che le sono propri e che Mattarella ben conosce. Gli aveva anticipato il suo personale sdegno, accompagnato da un battagliero «non starò ferma». Ma non aveva minimamente accennato agli attacchi mediatici che stava per scatenare. Per capirci: nessun riferimento alla tambureggiante autodifesa studiata apposta per dilagare su video e social. E tantomeno aveva parlato del blocco del Parlamento che sarebbe derivato dal rifiuto dei ministri (e di lei stessa) coinvolti nella vicenda a presentarsi a riferire davanti alle Camere.

Mattarella era dunque impreparato al clima di altissima tensione che si è venuto creando tra i due fronti in conflitto. Definirlo ora contrariato, per chi un po’ lo conosce, sembra un eufemismo. Diciamo quindi almeno preoccupato. Del resto, al momento non c’è nulla che possa fare e non vede spazi per intervenire, mentre la disputa s’infiamma tra la gestazione di una riforma della giustizia assai divisiva e le ininterrotte recriminazioni di un complotto delle toghe contro il governo. Con, sullo sfondo, lo scottante affaire del generale libico Almasri, arrestato e subito riportato nel suo Paese: una faccenda che, appartenendo alla sfera dell’indicibile, sarà fatalmente archiviata.

Per uscirne decentemente serve un supplemento di riflessione e disponibilità a parlarsi da parte di tutti. Atteggiamento che Mattarella, che è anche presidente del Csm, ha chiesto molte volte, in questi 10 anni. Distribuendo con l’equità di chi è garante degli equilibri costituzionali incoraggiamenti e critiche alle parti in causa.

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31 gennaio 2025 ( modifica il 31 gennaio 2025 | 22:01)

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