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La ministra: la sfida comune è l’impiego ottimale delle risorse
Caro direttore,
ho letto l’intervento dell’Associazione ricercatori a tempo determinato (pubblicato sul Corriere del 14 ottobre) che pone due questioni. La prima sui presunti tagli alle Università; la seconda sulla cosiddetta precarizzazione della ricerca. Andiamo con ordine partendo dai numeri. Il Fondo di finanziamento ordinario ammonta a oltre 9 miliardi, -173 milioni rispetto allo scorso anno. Tuttavia, se di «astuzia contabile» si vuol parlare, l’unica è stata l’anticipo di 120 milioni che gli atenei hanno ricevuto nel 2023 invece che nel 2024. Abbiamo poi svincolato 50 milioni come ulteriore strumento di flessibilizzazione. Complessivamente dal 2019 a oggi il Fondo ha visto un trend in crescita per un ammontare totale di 50 miliardi. Soldi dei contribuenti che hanno portato il bilancio degli atenei in attivo di quasi 1 miliardo. Numeri che non giustificano allarmi.
La vera sfida comune che abbiamo di fronte è l’impiego ottimale delle risorse: passare dalla logica della spesa all’ottica dell’investimento. Ma su una cosa l’Associazione e i Rettori hanno ragione. Il meccanismo di distribuzione è rigido. Dobbiamo renderlo più flessibile. E c’è la mia massima disponibilità. Ma su un principio sarò irremovibile: a più autonomia deve corrispondere maggiore responsabilità.
Criterio di responsabilità, per venire alla seconda obiezione, caposaldo ineludibile anche per la riforma sulla valorizzazione della ricerca, e non sul pre ruolo come erroneamente definita. Anche qui, partiamo dai fatti. Fino a qualche giorno fa l’unico strumento per inquadrare i ricercatori erano gli assegni. Poco tutelanti e ancora meno qualificanti. Stop. Il contratto di ricerca era bloccato in sede di contrattazione sindacale. Una situazione che ha generato quella che non fatico a definire la giungla del precariato. Non intervenire avrebbe significato avallare questo scempio. Grazie all’Aran, è stata sbloccata la trattativa sul contratto, che è ora a disposizione delle Università.
Ma non basta. Abbiamo approvato un disegno di legge. Una «riforma delle opportunità» che dà dignità ai lavoratori della ricerca, anche nelle tutele. Superiamo l’assegno e introduciamo nuove figure contrattuali, strumenti diversi per esigenze diverse. Il contrario del precariato. È dare garanzie che prima non c’erano. La precarietà non è legata alla varietà di contratti alternativi e non consequenziali, ma alla durata eccessiva dei rapporti a termine. Con questa riforma usciamo dall’inferno dell’instabilità. Un percorso che stiamo facendo insieme al Parlamento, ai sindacati e agli stessi ricercatori. Lavoriamo insieme, nella stessa direzione.
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