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Perché pensare da giovani alla pensione? È una trappola in cui molti rischiano di cadere, rimandando il momento in cui prendere sul serio l’argomento. A volte, agire tempestivamente può cambiare di molto la nostra situzione economica, ma sul tema della previdenza si sa spesso troppo poco.
Ed è un male, perché è un tema che riguarda tutti. Nel 2023 gli assicurati INPS sono stati ben 26,6 milioni, oltre un terzo dell’intera popolazione italiana. La cifra include sia i lavoratori dipendenti sia gli indipendenti, che sono una piccola minoranza, ricoprendo una quota pari a circa 5 milioni. Il totale di chi riceve un assegno pensionistico è in aumento di oltre 300 mila unità rispetto al 2022, e di oltre un milione rispetto al valore prepandemico di 25,5 milioni del 2019. Inoltre l’importo medio mensile degli assegni pensionistici è pari a 1.370 euro. Una cifra che indica come degli importi tutto sommato dignitosi. E questo nonostante nel 2012, con la riforma Fornero – Ministra del governo Monti – ci sia stato il passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo, che ha stravolto le regole di calcolo.
«Su questo punto stiamo ragionando insieme al Presidente e al Direttore dell’INPS: quello che vorremmo fare è una campagna per un progetto che miri a informare i giovani su come funziona il sistema pensionistico» dice Diego De Felice, Direttore centrale della Comunicazione dell’INPS. «Parliamo della fascia tra i 18 e i 34 anni. La platea che potrà contare sul sistema contributivo puro».
Ci spieghi meglio
«La logica è quella di una fondamentale regola di matematica finanziaria. Chi ha questa età, quando andrà in pensione riceverà l’indennità in base al sistema contributivo puro, che è stato introdotto in Italia nel 1995 con la legge dell’1 gennaio 1996 numero 335. Questo significa che si percepiranno somme tarate in base ai contributi versati. Su questa base si calcolerà l’importo della pensione, dunque i versamenti andranno intesi come un grande salvadanaio. È un concetto che spesso sfugge».
La differenza rispetto ai loro genitori è sostanziale
«Sì, perché in precedenza il sistema applicato era invece quello retributivo. In concreto, quello che accadeva era che la pensione si calcolava mediamente su quanto versato nell’ultimo anno lavorativo. Uno schema non più sostenibile. Adesso invece a contare è tutta la vita contributiva, un modello molto più equo».
Anche la Gestione Separata dell’INPS, dedicata ai liberi professionisti, si basa su questo sistema
«Sì anche qui il sistema è contributivo puro. Ancora però non vediamo erogazioni di pensioni per chi ha aderito a questa cassa. Il motivo è che è nata troppo poco tempo fa, da un circa 30 anni. Quindi chi versa è ancora in attività».
Iscriversi alle casse previdenziali per gli autonomi è un obbligo
«Lo è per tutti i liberi professionisti. Vale sia nel caso in cui appartengano a ordini professionali e quindi versino a casse autonome, come per avvocati, medici, commercialisti, architetti o giornalisti, sia per chi non appartiene a un ordine professionale e non è registrato presso un albo, come consulenti aziendali, fotografi, personal trainer, amministratori condominiali. Questi ultimi gestiscono i propri compensi tramite Partita IVA e hanno l’obbligo di versare i contributi direttamente, al posto del datore di lavoro».
Per farsi un’idea di quanto si possa andare a percepire in futuro, quali sono i calcoli da fare?
«Nel sistema contributivo i versamenti si accumulano su una specie di conto corrente previdenziale virtuale. La cifra tende a aumentare perché sono rivalutati di anno in anno al tasso medio quinquennale di crescita del PIL, andando poi a costituire il cosiddetto montante contributivo. Al momento del pensionamento, il “tesoretto” viene convertito in pensione mediante i coefficienti di trasformazione. Anche questi a loro volta crescono in base all’età. In ogni caso, sul sito ufficiale dell’istituto è possibile controllare la propria posizione pensionistica. È il cosiddetto estratto conto individuale, un documento che elenca tutti i contributi versati all’INPS in favore del lavoratore. È il principale strumento di controllo e verifica sul regolare adempimento degli obblighi da parte del datore di lavoro».
Non è così scontato come potrebbe sembrare
«No, infatti il primo consiglio che mi sento di dare ai giovani è proprio questo: mai pensare che essere pagati in nero possa portare dei vantaggi. Qui bisogna fare la massima attenzione: se i contributi sono versati si è a posto, altrimenti si corre un rischio. Non solo dal punto di vista pensionistico, ma anche per un fatto di coperture a livello di sicurezza. Nel lavoro irregolare non si hanno tutele in caso di incidenti. Su questo punto è bene insistere: ogni accordo tra datore di lavoro e lavoratore per aggirare gli obblighi contrattuali non è valido. Si parla di lavoro nero, un danno per tutta la collettività. Entriamo nell’illegalità perché non pagare imposte e contributi può sembrare ingenuamente più conveniente, sia per le imprese sia per i lavoratori. Invece si traduce in assenza di assicurazioni sociali come infortuni, malattia e disoccupazione. In più non si alimenta la futura pensione».
Che cosa bisogna fare se si riscontrano irregolarità?
«Bisogna denunciare, anche rivolgendosi all’Ispettorato del Lavoro. E poi ci sono le vie giudiziali. Per questo è importante controllare il proprio estratto conto contributivo».
Il tasso di disoccupazione è ai minimi, ma non quello dei giovani. Cosa si può fare per migliorare la loro condizione attuale?
«I giovani devono poter lavorare per costruirsi un futuro. Vanno messe in campo politiche attive del lavoro per aiutare chi non ce l’ha a trovarlo. Il contrasto alla disoccupazione passa anche per il gap, che si riscontra soprattutto al Centro Nord, tra domanda e offerta: spesso la prima è sovrabbondante. Per questo esiste una piattaforma che si chiama SIISL ed è stata lanciata dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, in collaborazione con l’INPS. È rivolta a tutti e si aderisce inserendo il proprio curriculum. Serve non solo a trovare un’occupazione ma anche a essere reinseriti sul Mercato tramite corsi di formazione»
La preoccupazione che hanno molti è che però, tra lavori saltuari e retribuzioni basse, le pensioni che andranno a percepire non saranno sufficienti per mantenersi in vecchiaia. Che risorse esistono per loro?
«È chiaro che se si guadagna molto poco, per esempio sui 300 euro mensili, non ci sono margini per creare un montante contributivo adeguato. È anche vero però che i lavori cosiddetti poveri sono tali perché le ore di lavoro non sono sufficienti per creare un reddito dignitoso. Se si raggiunge invece una retribuzione sopra una certa soglia, la pensione è assicurata. E comunque non ci si deve allarmare perché le casse dell’INPS sono in buona salute, oltre a essere garantite dallo Stato».
Quali sono le strade per arricchire la propria pensione?
«Una è quella del riscatto dei periodi in cui non ci sono stati versamenti. Il caso tipico è quello della laurea. Ogni anno vale circa 5mila euro. Si può rateizzare e gli importi sono deducibili. In questo modo si va ad aumentare il proprio montante contributivo, aggiungendo quei quattro o cinque anni in cui si è studiato».
Anche il lavoro all’estero si può riscattare?
«Esistono accordi internazionali che garantiscono al lavoratore parità di diritti e doveri. Sul piano pensionistico vige il principio di territorialità. Quindi si deve versare nello Stato in cui effettivamente si svolge l’attività lavorativa. Ma una volta tornati in Italia quel periodo assicurativo non andrà perduto».
In che modo?
«I regolamenti UE di sicurezza prevedono la possibilità di totalizzare gratuitamente i contributi maturati in tutti i Paesi dell’Unione Europea, nei Paesi SEE (Islanda, Liechtenstein e in Norvegia), e in Svizzera. La totalizzazione internazionale non comporta il trasferimento dei contributi da un Paese all’altro ma consente di tenere conto, ai soli fini del diritto alla pensione, dei periodi assicurativi maturati all’estero».
C’è un intervallo minimo?
«Almeno cinquantadue settimane, ma nel caso di accordi e convenzioni bilaterali con Paesi extra-europei il periodo è stabilito in maniera diversa, attraverso singoli accordi e convenzioni. Naturalmente, per essere validi, i periodi assicurativi esteri non devono essere sovrapposti a quelli accreditati in Italia».
C’è poi la previdenza complementare
«Quello è un secondo pilastro, per chi ha le capacità finanziarie per realizzare accantonamenti. Ci sono anche piani aziendali che lo prevedono. Però in linea di massima se si ha un reddito adeguato si può raggiungere una pensione che lo sarà altrettanto».
Non bisogna dimenticare che i contributi servono non solo a coprire la fase non lavorativa della propria vita, ma anche i momenti di difficoltà che si attraversano dal punto di vista professionale
«Sì, pensiamo ad esempio alla NASpI (Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego, ndr). In questo caso non si tratta di un sussidio ma di una indennità mensile, che a sua volta produce contributi per i lavoratori che abbiano maturato almeno tredici settimane di contribuzione nei quattro anni precedenti l’inizio del periodo di disoccupazione. È pensata per chi perde il lavoro involontariamente, quindi per dimissioni o licenziamento per giusta causa».
Anche per i liberi professionisti è lunga la lista di prestazioni
«Ci sono tutele per invalidità, vecchiaia e pensioni ai superstiti. Indennità per malattia e degenza ospedaliera. Ancora, indennità straordinaria per continuità reddituale e operativa, la cosiddetta ISCRO, che è un aiuto economico agli autonomi con Partita IVA che subiscono una diminuzione dei guadagni. Un sussidio con lo scopo di garantire una continuità reddituale in un periodo di difficoltà».
La nuova legge di Bilancio ha previsto una stretta in tal senso. Cosa cambierà?
«Sì, quello che è stato fatto è correggere una stortura per contrastarne l’utilizzo non corretto. Dallo scorso 1° gennaio, in caso vi siano delle dimissioni presentate prima del licenziamento per il quale si richiede la NASpI, il requisito delle 13 settimane di contributi varrà non nei quattro anni precedenti alla disoccupazione (cioè al licenziamento), ma dalla data delle dimissioni. Un meccanismo per evitare aggiramenti furbeschi della legge, che consentirebbe di incassare importi non dovuti».
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📸 Credits: Canva
Articolo tratto dal numero del 1° febbraio 2025 de il Bollettino. Abbonati!
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