Saiwan Momika ucciso in diretta TikTok, il premier svedese: c’è una mano straniera

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È stato ucciso nel luogo in cui si sentiva più al sicuro, nel suo appartamento di Södertälje, sobborgo a Sud di Stoccolma. Salwan Momika è morto durante una diretta TikTok, raggiunto da diversi colpi di pistola e probabilmente dalla rabbia di chi voleva mettere a tacere una volta per tutte l’uomo che da anni conduceva una personale crociata anti-Islam.

Cristiano di origine irachena, 38 anni, Momika era noto per aver bruciato pubblicamente il Corano nel 2023, gesto ripetuto poi in diverse occasioni che aveva provocato un’ondata di proteste in Svezia e in molti Paesi islamici, culminate con una crisi diplomatica tra Baghdad e Stoccolma. Il suo ultimo post su X, oltre agli appelli per una raccolta fondi che gli avrebbe garantito, a suo dire, asilo politico negli Stati Uniti, era una scritta bianca su fondo nero: «Fuck Islam».

Nelle primissime ore dopo l’omicidio la polizia svedese ha detto di aver arrestato cinque persone, molte della stessa famiglia e tutte residenti a Södertälje, come Momika, tra quei palazzi costruiti negli Anni 70 dall’ambizione di Olof Palme di garantire a tutti una casa. Il più giovane, 20 anni, è arrivato in Svezia dalla Siria quando aveva 13 anni. Il più anziano ha 60 anni. Tutti negano di essere coinvolti nell’omicidio, mentre si affaccia la paura che la guerra tra gang che si combatte in Svezia ormai da anni, non sia più il pericolo peggiore cui confrontarsi: ieri il premier Ulf Kristersson ha detto che «c’è il rischio che dietro l’omicidio ci sia un una potenza straniera».

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La polizia ha risposto a una chiamata poco dopo le 23. Al suo arrivo ha trovato Momika riverso in un lago di sangue. L’ultima immagine della diretta TikTok è quella di un agente che, dal salotto della vittima, interrompe il video, dopo aver chiesto alle migliaia di follower: «Hello, qualcuno parla inglese?». Secondo alcune persone che seguivano la diretta Momika sarebbe stato ucciso sul balcone di casa, dopo essere uscito per fumare una sigaretta.

Ieri mattina il tribunale di Stoccolma avrebbe dovuto pronunciarsi sull’incitamento all’odio etnico di cui era stato accusato Momika, insieme a un altro uomo, Salwan Najem, dopo il rogo del Corano del 2023. Allora, il 38enne dal passato travagliato aveva calpestato il libro sacro islamico, l’aveva avvolto nel prosciutto e poi gli aveva dato fuoco, prendendolo a calci come fosse un pallone.

Personaggio controverso, disprezzato e odiato dalla nutrita comunità musulmana svedese (l’8% della popolazione), Salwan Momika era diventato un volto famigliare a causa delle sue ripetute provocazioni contro l’Islam. Da quella prima manifestazione era andato avanti bruciando Corani, bandiere palestinesi, cartelli in cui si dipingevano musulmani come assassini assetati di sangue. In un caso, con il sodale Salwan Najem, aveva organizzato una protesta anche davanti all’ambasciata irachena. La decisione delle autorità di lasciar proseguire la “protesta” in virtù della libertà d’espressione – principio ben più sacro, in Svezia, di qualsiasi credo religioso -, aveva spinto l’Iraq a espellere l’ambasciatore svedese e a revocare la licenza alla società di telecomunicazioni Ericsson di operare nel Paese. Nell’agosto dello stesso anno, l’agenzia di intelligence svedese aveva innalzato il livello di minaccia a quattro su una scala di cinque, dopo che i roghi del Corano avevano reso il Paese un «obiettivo prioritario». Nello stesso mese, Momika era stato rinviato a giudizio con Salwan Najem, accusati entrambi di incitamento all’odio etnico. Momika aveva espresso sorpresa per le accuse, ma non paura, affermando di aver scelto la Svezia proprio per la sua protezione della libertà di pensiero. Forse, vista la reiterata richiesta di ottenere asilo negli Stati Uniti, aveva cambiato idea.

Parlando con Aftonbladet nel 2023 diceva di non aver mai voluto causare problemi in Svezia, dove viveva dal 2018. «Non voglio danneggiare questo Paese che mi ha accolto e ha preservato la mia dignità». I rapporti però con le autorità si sono guastati. Nell’ottobre 2023 l’Agenzia per la migrazione gli revoca il permesso di soggiorno, per “informazioni false” nella sua domanda d’asilo, ma gliene concede uno temporaneo. Il mese precedente l’Iraq aveva chiesto la sua estradizione, ma Stoccolma aveva deciso di non espellerlo per proteggerlo. Nel marzo 2024 Momika lascia il Paese per chiedere asilo in Norvegia, dichiarando che la libertà di espressione in Svezia è «una grande bugia». Oslo lo rispedisce indietro poche settimane dopo.

Prima di arrivare in Svezia, gli account di Momika sui social media raccontano una “carriera” politica in Iraq e legami con una fazione armata cristiana attiva durante la battaglia contro lo Stato Islamico, la creazione di un oscuro partito politico siriaco, le rivalità con influenti paramilitari cristiani e un breve arresto. Momika aveva anche partecipato alle proteste anti-corruzione che hanno scosso l’Iraq nel 2019, nella cui repressione rimasero uccise 600 persone.

Ora, in attesa delle immagini della diretta social che potrebbero chiarire dinamica e movente dell’omicidio, la vera domanda è capire se davvero sia stato commissionato, ispirato o sostenuto da una potenza straniera, come teme il premier. Intanto il compagno di proteste Salwan Najem, non ha dubbi: «Chiunque ci sia dietro, io sono il prossimo della lista».



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