Espansione urbana, nuovi edifici e infrastrutture mettono l’Italia ai primi posti in Europa per consumo di suolo; eppure, costruire su brownfield, ossia utilizzare terreni precedentemente urbanizzati e dismessi per la costruzione di nuovi edifici, è ancora oggi così dispendioso ed incerto dal punto di vista burocratico ed economico che molto spesso le aziende ritengono ancora più percorribile lo sviluppo su terreni inedificati.
Tutto ciò ha ovviamente un costo “nascosto” che supera i 9 miliardi di euro ogni anno, se si considera solo la perdita di suolo rilevata tra il 2006 e il 2022, secondo le stime di Ispra. Ma i costi salgono se si considera anche la perdita di 72,5 km2 acquisita nel 2023, superiore del 7,16% rispetto all’anno precedente confermando un trend di incremento progressivo ininterrotto dal 2006. Tra l’altro, l’Ispra ha voluto sottolineare che del terreno perso nel 2023, 21,42 km2 sono situati in zone a rischio idrogeologico.
Sul tema si è provato a fare chiarezza nel corso del convegno “Rigenerare per costruire: il futuro dell’edilizia parte dal Brownfield”, voluto e organizzato a Milano da Gse Italia, filiale italiana di uno dei principali leader mondiali dell’edilizia industriale sostenibile.
“I tempi lunghi e soprattutto imprevedibili per ottenere i permessi a costruire su terreni brownfield mettono a rischio gli investimenti”, ha dichiarato Valentino Chiarparin, country manager di Gse Italia. “Questi terreni presentano un intrinseco pericolo connesso alla presenza di eventuali inquinanti, la cui classificazione non è spesso né immediata né univoca. Questo aspetto, assieme alla scarsità dei centri di conferimento adatti al loro trattamento, genera un importante impatto economico, temporale ed ambientale. C’è poi un altro tema rilevante, che limita l’adozione di questo modello virtuoso da parte delle aziende: al momento, non esiste alcuna premialità fiscale o procedurale per chi sceglie di realizzare degli edifici su aree di recupero che di fatto non sono inserite in nessuna corsia preferenziale rispetto a quelle greenfield”.
Tutti ritardi e carenze normative che hanno portato l’Italia ad essere il quinto paese membro per tasso di crescita del consumo di suolo, con una velocità quasi doppia rispetto alla media dell’Unione europea. Ma la situazione deve cambiare perché Bruxelles ha posto un obiettivo di monitoraggio e riduzione del consumo di suolo entro il 2050 e fra gli strumenti più utili a disposizione degli stati membri c’è il brownfield.
“L’attuale situazione ci porta a una diatriba tra la necessità di favorire lo sviluppo economico italiano che oggi comporta la costruzione di circa 1,5 milioni di metri quadri all’anno e le oggettive difficoltà burocratiche che rendono molto difficoltoso individuare aree per queste costruzioni tra quelle dismesse”, ha affermato Antonio Guarascio – managing director confluence Europe – Gse. “Il nostro obiettivo è quello di coinvolgere le Istituzioni per trovare insieme soluzione a questo problema: non è possibile che costruire su un terreno brownfield, contribuendo allo sviluppo del Paese senza impattare sul consumo di suolo, possa costare molto di più, comportando un raddoppio dei tempi”.
In Francia hanno già fatto loro il tema con il decreto Zan – Zero artificialisatiòn nette: “La legge si propone prima di tutto di dare una definizione univoca di artificializzazione e di consumo di suolo, dandosi l’obiettivo ambizioso di dimezzarne l’utilizzo entro il 2035 e azzerarlo del tutto entro il 2050”, ha detto Rosemarie Serrato, avvocato partner presso Advant Nctm Studio Legale.
Una risposta da parte delle istituzioni italiane è arrivata dall’intervento della deputata Erica Mazzetti (FI), responsabile dipartimento Lavori Pubblici che ha partecipato al convegno, sottolineando la volontà dell’esecutivo di passare dall’indisciplina normativa a una disciplina dei principi attraverso un nuovo testo unico delle costruzioni: “Costruire rigenerando comprende una vera riconversione urbana, sociale, economica ed energetica. Per farla, bisogna tener presente alcuni punti cardine: la certezza della normativa, i finanziamenti pubblici e privati, centralità del progetto partendo dal concetto che l’urbano è l’umano. Sono consapevole che occorre più flessibilità negli strumenti normativi, dettando principi e – poche – regole in grado di garantire uno sviluppo armonico e chiaro, dal singolo edificio al quartiere, raccordando con le infrastrutture e la mobilità, tenendo conto dei progressi della tecnologia, a partire dal digitale”, ha concluso Mazzetti.
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