Rd Congo: Goma al collasso e una tregua sembra lontana

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Un’attivista ascoltato da Nigrizia: «Persone chiuse in casa senza acqua nè luce»

Msf a Goma: «Vertici militari hanno lasciato la città. Difficile riuscire a portare le cure ai pazienti»

Veduta di Goma. (Credit: MONUSCO/ Abel Kavanagh)

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La calma che sembra avvolgere Goma dopo due giorni di combattimenti non deve illudere: la situazione umanitaria in città è critica mentre autorità locali e vertici delle forze armate hanno lasciato il centro più importante del nord-est della Repubblica democratica del Congo in barca, dal lago Kivu. Lo scenario è stato riferito a Nigrizia da fonti sul posto e attivisti informati dei fatti.

Da lunedì 27 gennaio il capoluogo del Nord Kivu sembra essere caduto nelle mani dell’M23 e delle forze armate rwandesi che sostengono la milizia.

Sebbene Kigali ancora ieri, nel corso di una riunione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, abbia smentito questa versione, la presenza delle sue truppe a Goma è data per certa dalle Nazioni Unite, il governo congolese e la stragrande maggioranza dei media internazionali.

L’ingresso a Goma è solo l’ultimo atto di un’offensiva che l’M23 ha lanciato nel novembre 2021, dopo essere quasi scomparso dalle scene per circa un decennio. Il gruppo armato aveva conquistato la città per alcuni giorni nel 2012.

L’M23 nasce nel 2009 dalla mancata integrazione di una precedente milizia nell’esercito regolare congolese ed è da considerarsi come l’ultimo di una serie di gruppi sostenuti dal Rwanda e legati agli interessi della comunità tutsi presente nel nord est della Rd Congo. 

Gli aggiornamenti diplomatici 

Nelle ultime ore si stanno intanto moltiplicando i tentativi di arrivare a un cessate il fuoco. Una riunione straordinaria convocata per oggi dalla Comunità dell’Africa orientale (EAC) e presieduta dal presidente di turno dell’organismo, il capo di stato kenyano William Ruto, è stata disertata dal presidente congolese Felix Tshisekedi.

L’Unione Africana ha chiesto all’M23 di deporre le armi dopo una riunione d’emergenza del suo Consiglio di pace e sicurezza mentre un invito alla cessazione immediata delle ostilità è partito anche dal Consiglio di sicurezza dell’ONU, che si è riunito d’emergenza per parlare della Rd Congo per la seconda volta in tre giorni.

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Il presidente del Rwanda Paul Kagame si è detto a favore di un tregua durante un colloquio telefonico con il segretario di stato USA, Marco Rubio, ma i passi per arrivarci non sono stati toccati. Il ritiro dal Nord Kivu che gli viene chiesto da Kinshasa e da parte della comunità internazionale non sembra neanche essere in agenda. 

Al contrario, figure della diplomazia rwandese, come il controverso Vincent Karega, responsabile per la regione dei Grandi Laghi, hanno affermato alla stampa che un discesa dell’M23 verso il Sud Kivu non è da escludere qualora «nel frattempo non si aprisse un dialogo e dei negoziati efficaci on il governo». Cosa, ha aggiunto Karega, «di cui dubito».

La guerra a Goma

Tornado alla situazione a Goma, non è ancora chiaro se la città sia completamente sotto il controllo della milizia ribelle. L’M23 avrebbe nei giorni scorsi preso il controllo della sede locale dell’emittente radiotelevisiva nazionale, RTNC, per poi perderla a favore dell’esercito.

I miliziani avrebbero invece preso l’aeroporto secondo varie fonti rilanciate dai media internazionali. L’M23, oltre a beneficiare del supporto rwandese, è anche sostenuto da un’alleanza dissidente congolese che è stata creata nel dicembre 2023 per volere di Corneille Nangaa, ex presidente della Commissione elettorale nazionale.

Secondo quanto riferito a Nigrizia da Lawrence Muhindo, attivista della rete della società civile congolese Lucha che ha lasciato Goma dopo l’ingresso dei miliziani, fino a ieri sera «in alcune zone della città proseguivano i combattimenti fra esercito rwandese e unità delle forze armate congolesi, sostenute da gruppi di giovani».

Natalia Torrent, direttrice dei programmi di Medici senza Frontiere (MSF) in Nord Kivu, ha affermato che già da ieri 28 gennaio «in città regnava una sostanziale calma. Durante la notte precedente – ha proseguito la dirigente – alti ranghi dell’esercito e autorità locali avevano lasciato la città in barca dirigendosi verso Bukavu», capoluogo del Sud Kivu situato sulla sponda opposta del lago Kivu.

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Sono rimasti a Goma però «gruppi residuali dell’esercito e uomini delle milizie alleate note come Wazalendo», gruppi di auto difesa che si sono ufficialmente alleati con l’esercito per contrastare l’avanzata dell’M23.

La crisi umanitaria 

Questa fase del conflitto è segnata da diverse incognite. Di certo ci sono però le difficili condizioni in cui vivono gli abitanti della città, a cui negli ultimi giorni si sono aggiunte decine di migliaia di persone fuggite dai campi per persone sfollate che si trovano attorno a Goma. «A dicembre questi campi ospitavano circa 700mila persone – calcola Torrent – e sappiamo che molte di queste strutture sono state abbandonate in massa dopo l’arrivo dei miliziani».

Secondo l’alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR), in Nord e Sud Kivu solo dall’inizio di questo mese 400mila persone hanno dovuto lasciare le loro case a causa dell’avanzata dell’M23. Ieri la ministra degli esteri congolese Therese Kayikwamba Wagner ha già portato questa cifra a 500mila persone parlando al Consiglio di sicurezza dell’ONU.

Muhindo, l’attivista di Lucha, riferisce che «le persone a Goma sono chiuse e in casa ma nelle loro abitazioni non hanno elettricità, né acqua, né internet per comunicare con l’esterno».

Un resoconto che trova riscontro nelle parole di Torrent: «È quasi una settimana che molti degli abitanti di Goma non si muovono dalle loro case mentre i viveri diminuiscono e i mercati non aprono a causa della situazione – afferma la direttrice locale di MSF – Anche le linee dell’alta tensione sono state colpite e per questo molte aree della città sono senza luce; c’è ancora copertura telefonica ma non è possibile collegarsi a internet».

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La mancanza di cibo, prosegue la dirigente, «ha portato a saccheggi nei magazzini di alcune organizzazioni umanitarie, come il Programma alimentare mondiale». Un altro grosso problema «è costituito dall’accesso all’acqua potabile, sempre più scarso. Ci troviamo in una zona – ricorda Torrent – dove il colera è endemico è così c’è il rischio che questa malattia si diffonda rapidamente».

Sotto pressione le strutture sanitarie. «Msf opera nell’ospedale di Kyeshero: al momento il nostro obiettivo è non far collassare la struttura di Ndosho gestita dalla Croce rossa internazionale, ci stiamo facendo quindi carico dei pazienti meno gravi per operazioni di chirurgia leggera e ricoveri post-operatori».

La situazione è però «molto volatile oltre che insicura, alcune ambulanze sono rimaste coinvolte nei combattimenti e in generale è molto complesso riuscire ad accedere ai pazienti o far sì che questi possano accedere alle nostre strutture».

Altre fonti di Msf riportano di spari all’indirizzo dell’ospedale di Kyeshero, senza feriti, e di scorte di medicinali e attrezzatture saccheggiate. 

Le proteste di Kinshasa e il ruolo del governo 

Il caos che ha colpito Goma ieri si è esteso in parte alla capitale Kinshasa. Proteste convocate per esprimere solidarietà alle forze armate, condannare il Rwanda e chiedere un maggiore impegno della comunità internazionale sono degenerate in attacchi e anche assalti alle ambasciate di diversi paesi africani e occidentali, fra cui Kenya, Uganda, Stati Uniti, Francia e Belgio, oltre al Rwanda.

Per Muhidi, il punto è che «le persone hanno la sensazione che la comunità internazionale sia compiacente nei confronti del Rwanda. A esempio, l’Unione Europea continua a finanziare l’esercito rwandese a colpi di milioni di euro, nonostante sia accertato che questo combatte in Rd Congo a fianco dell’M23».

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Il riferimento dell’attivista è al sostegno di Bruxelles alla presenza militare rwandese nel nord del Mozambico, nella provincia di Cabo Delgado, recentemente rinnovato con nuovi 20 milioni di euro.

In teoria l’intesa non dovrebbe permettere il travaso di risorse dal Mozambico alla Rd Congo ma la realtà è molto più complessa da controllare. A dimostrarlo trasferimenti  di alto livello nelle file dell’esercito fra questi due scenari, documentanti anche nell’ultimo report degli esperti sulla Rd Congo dell’ONU.

Rabbia popolare quindi, tanta da costringere il governo a esprimere rammarico e a vietare le proteste per la giornata di oggi. La realtà però è ancora più complessa, secondo Muhindi. «Quello che è successo a Kinshsasa ha molto a che vedere con la manipolazione dell’opinione pubblica da da parte del governo», avverte l’attivista di Lucha.

«Le manifestazioni nella capitale erano state convocate dal ministro della giustizia, Constant Mutamba, e i cortei hanno visto la partecipazione massiccia di esponenti del partito di governo, l’Unione per la democrazia e il progresso sociale (UPDS)» del presidente Tshisekedi.

La crisi nel nord-est della Rd Congo passa anche per il volere di attori stranieri. Da quelli regionali, come Rwanda ma anche Uganda e Burundi, attivamente presenti nel conflitto, alla comunità internazionale in senso più ampio, che partecipa con la sua inerzia ma anche con quella che sembra a volte essere aperta connivenza.

Un esempio viene dal recente e controverso protocollo d’intesa per per la promozione di «catene di valore sostenibili e resilienti» nei minerali critici, fra i quali il tantalio, componente del coltan. L’iniziativa ha suscitato le ire di Kinshasa, che da anni denuncia il saccheggio delle sue risorse, a partire proprio dal coltan, a opera del Rwanda.

Circa due mesi dopo la firma del documento, l’M23 ha preso il controllo di una delle più grandi riserve di questo minerale del mondo, in Nord Kivu. Gli ultimi due report degli esperti dell’ONU forniscono numeri e dettagli del traffico di coltan  messo in piedi dai miliziani fra la miniera e il Rwanda.

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Un commercio illegale così imponente da contaminare «come mai prima» la catena di approvvigionamento dei minerali critici, sempre secondo le analisi degli esperti ONU.





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