Le piccole e medie imprese (Pmi) rappresentano la spina dorsale dell’economia europea, con 25,8 milioni di attività che impiegano 88,7 milioni di lavoratori. Il loro impatto ambientale cumulativo è significativo e rappresenta circa il 63% delle emissioni di CO2 di tutte le aziende dell’Unione europea. Secondo l’ultimo report in materia dell‘Eurobarometro “SMEs, resource efficiency and green markets” commissionato dalla Direzione Generale per il Mercato Interno, l’Industria, l’Imprenditoria della Commissione Europea, oggi il 93% delle Pmi dell’Unione sta implementando almeno una misura di efficienza delle risorse energetiche. Le azioni più comuni includono la riduzione dei rifiuti e il risparmio energetico, altre misure includono il risparmio di materiali (57%), il risparmio idrico (49%) e il riciclo interno dei materiali (48%). Tuttavia, solo il 24% delle Pmi europee utilizza prevalentemente fonti energetiche provenienti da energia rinnovabile. Un dato che pare non impressionare il Partito popolare europeo (Ppe) per il quale, nel documento sulla semplificazione burocratica per le aziende firmato a Berlino dai leader del partito nella riunione del 18 gennaio scorso, “La legislazione europea sulla sostenibilità aziendale si sta rivelando eccessiva e onerosa” e ha per questo chiesto che le direttive dell’Unione sulla rendicontazione della sostenibilità aziendale e sulla diligence “Siano congelate per due anni”. Così, dopo aver a lungo sostenuto il Green Deal europeo il partito presieduto da Manfred Weber, che ha espresso la Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, fa un deciso e preoccupante dietrofront sulle politiche ambientali comuni.
Per il leader della Cdu Friedrich Merz e il presidente del Ppe, Weber, la critica all’eccessiva regulation di Bruxelles parte dalla constatazione che “Negli ultimi tre anni abbiamo perso oltre 300.000 posti di lavoro nell’industria tedesca, anche a causa dell’eccessiva regolamentazione nazionale ed europea”. Per questo il Ppe suggerisce di limitare per due anni l’applicazione di normative green alle sole aziende con un organico superiore ai mille dipendenti e propone una riduzione di almeno il 50% nei carichi di rendicontazione anche per le grandi aziende. In particolare il Ppe chiede di armonizzare le legislazioni attuali che causano confusione e doppie rendicontazioni attraverso l’applicazione di un regolamento omnibus che creerebbe certezza giuridica per tutte le aziende interessate e ridurrebbe l’onere burocratico a lungo termine. Se per Carlo Stagnaro, direttore ricerche e studi dell’Istituto Bruno Leoni, potremmo essere all’alba di una nuova era del Ppe, basata su “Un approccio più pragmatico e meno ideale” per il deputato europeo di Socialisti e Democratici (S&D) Tiemo Wölken la ricerca di un compromesso tra competitività e ambiente del Ppe rischia di innescare una preoccupante marcia indietro sui temi ambientali: “Serve energia rinnovabile, non dipendenza da importazioni di petrolio e gas da Stati autocratici. Dobbiamo renderci indipendenti e smettere di raccontarci storie superate che mettono in pericolo vite umane e posti di lavoro”, ha spiegato la scorsa settimana Wölken, che è anche membro della Commissione Ambiente ENVI. La fine dell’accordo sul transito del gas russo da Kiev per la S&D non dovrebbe cambiare i piani green di Bruxelles ma rinforzarli: “Questa è la missione dell’Unione Europea, il Green Deal. Noi socialdemocratici lo difenderemo”.
Di fatto in materia di energie rinnovabili l’Europa sembra tenere il passo con lo sviluppo di uno modello energetico sempre più sostenibile senza troppe difficoltà. Il 23 gennaio il think tank sulle rinnovabili Ember ha presentato European electricity review, la prima panoramica completa del settore elettrico dell’Unione nel 2024, che delinea la netta avanzata di una profonda trasformazione energetica nel vecchio continente: “Nel 2024 per la prima volta il fotovoltaico ha prodotto più elettricità (11%) del carbone (10%), mentre l’eolico (17%) ha generato più elettricità del gas (16%) per il secondo anno consecutivo”. Di fatto la forte crescita del solare, unita alla ripresa dell’idroelettrico, ha portato la quota delle rinnovabili a quasi la metà della produzione di energia elettrica dell’Ue (47%), mentre i combustibili fossili si sono fermati al 29%. Solo cinque anni fa, nel 2019, i fossili fornivano il 39% dell’elettricità dell’Ue, mentre le fonti rinnovabili erano ferme a poco più di un terzo (34%). Per Chris Rosslowe, analista senior di Ember e primo autore del rapporto “I combustibili fossili stanno mollando la loro presa sull’energia dell’Ue. All’inizio del Green Deal europeo, nel dicembre 2019, pochi pensavano che la transizione energetica dell’Ue potesse essere al punto in cui è oggi; l’eolico e il solare stanno spingendo il carbone ai margini e costringendo il gas a un declino strutturale”. Attualmente questa avanzata delle rinnovabili ha permesso di evitare ulteriori rincari energetici per famiglie e imprese visto che senza la nuova capacità di produzione eolica e solare installata negli ultimi cinque anni, l’Unione avrebbe importato 92 miliardi di metri cubi in più di gas fossile e 55 milioni di tonnellate in più di carbone, con un costo aggiuntivo di 59 miliardi di euro.
In base alle stime Ember qualcosa di simile accade anche in Italia, che pur non riuscendo a stare al passo con i progressi energetici rinnovabili europei, senza i nuovi impianti solari ed eolici installati tra la fine del 2019 e il 2024, avrebbe importato 4 miliardi di metri cubi in più di gas fossile e 5 milioni di tonnellate in più di carbone, per un costo aggiuntivo di 3,3 miliardi di euro. Per Beatrice Petrovich, analista senior di Ember “L’Italia si sta avvicinando a un futuro energetico pulito, ma rimane molto dipendente dal gas fossile per la produzione di elettricità, rendendo le famiglie e le imprese più vulnerabili alle impennate nei prezzi del gas rispetto ad altri Paesi dell’Ue. Mantenere la crescita dell’eolico e del solare aiuterà a proteggere i consumatori italiani dagli shock dei prezzi sul mercato globale del gas”. Nel 2024, grazie alla forte crescita del solare fotovoltaico e dell’idroelettrico, quasi la metà dell’elettricità prodotta in Italia è stata da fonti rinnovabili (49%). Il solare ha generato il 14% dell’elettricità italiana nel 2024, più della media Ue, e ha registrato il tasso di crescita più elevato degli ultimi 10 anni, raggiungendo un record storico. “Questi dati sono più che incoraggianti – ha spiegato Michele Governatori, responsabile Relazioni esterne e Energia del think tank italiano Eccoclimate – e potremmo fare meglio se i politici ne prendessero atto e, invece di disperdere risorse nelle energie fossili o in soluzioni costose e remote come il nucleare, si concentrassero su solare, eolico, accumuli e flessibilità della domanda”. Forse è tempo che competitività e ambiente non siano più messi in contrapposizione!
Sono Alessandro, dal 1975 “sto” e “vado” come molti, ma attualmente “sto”. Pubblicista, iscritto all’Ordine dei giornalisti dal 2009 e caporedattore per il portale Unimondo.org dal 2010, per anni andavo da Trento a Bologna, pendolare universitario, fino ad una laurea in storia contemporanea e da Trento a Rovereto, sempre a/r, dove imparavo la teoria della cooperazione allo sviluppo e della comunicazione con i corsi dell’Università della Pace e dei Popoli. Recidivo replicavo con un diploma in comunicazione e sviluppo del VIS tra Trento e Roma. In mezzo qualche esperienza di cooperazione internazionale e numerosi voli in America Latina. Ora a malincuore stanziale faccio viaggiare la mente aspettando le ferie per far muovere il resto di me. Sempre in lotta con la mia impronta ecologica, se posso vado a piedi (preferibilmente di corsa), vesto Patagonia, ”non mangio niente che abbia dei genitori”, leggo e scrivo come molti soprattutto di ambiente, animali, diritti, doveri e “presunte sostenibilità”. Una mattina di maggio del 2015 mi hanno consegnato il premio giornalistico nazionale della Federazione Italiana Associazioni Donatori di Sangue “Isabella Sturvi” finalizzato alla promozione del giornalismo sociale.
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