di Cuore verde – I presidenti delle Regioni Emilia-Romagna e Toscana, Michele de Pascale ed Eugenio Giani, in questi giorni, hanno siglato una “lettera d’intenti” per consolidare e rafforzare la loro collaborazione interregionale, sottolineando l’importanza di un rapporto stabile che si basa su anni di cooperazione in vari progetti e iniziative comuni.
Le stesse Regioni si sono impegnate a rafforzare la collaborazione istituzionale in settori di interesse comune: sanità, ricerca e innovazione, Appennino e aree interne, turismo e grandi eventi, cultura digitale, infrastrutture e mobilità, contrasto al dissesto idrogeologico. Il piano prevede di formalizzare tali impegni tramite la stipula di specifici accordi attuativi, che saranno approvati dai rispettivi organi competenti. La notizia di questo accordo, che, di fatto, definisce una macroregione ‘tosco-emiliana’, presenta aspetti interessanti non solo sotto il profilo amministrativo, ma anche sotto quello politico e geopolitico.
Questo patto evidenzia, innanzitutto, che le regioni possono coordinarsi tra loro per gestire specifiche materie rilevanti, quali sanità e infrastrutture, promuovendo una gestione “macroregionale” senza dover aspettare per lunghi anni che il Parlamento approvi e conceda improbabili autonomie variamente differenziate. Il coordinamento tra regioni pertanto si può realizzare senza leggi, regolamenti e circolari “romane” ma con una semplice lettera di intenti tra presidenti di regione da tradurre poi in un dettagliato protocollo d’intesa.
Il coordinamento delle regioni padane di Guido Fanti
Guido Fanti, primo presidente della Regione Emilia Romagna, nel 1975 aveva proposto un analogo coordinamento ma rivolto alle regioni del Nord – Lombardia, Veneto, Piemonte, Liguria e, appunto, Emilia-Romagna – denominato “super-regione della Padania” o “lega del Po”.
L’Unità del 6 ottobre 1975, presentava in anteprima la proposta di coordinamento interregionale con l’articolo “Per definire il ruolo delle autonomie locali in un progetto di riconversione produttiva – Fanti propone un intervento coordinato fra tutte le Regioni della Valle Padana”.
Ecco un breve ma significativo passo tratto dallo articolo: “Il compagno Fanti ha poi anche proposto una possibilità di intervento coordinato tra tutte le Regioni della valle Padana. L’esigenza di una corretta riconversione produttiva — ha rilevato Fanti — si collega direttamente ai «nodi storici» dello squilibrio della realtà italiana, reso evidente dal rapporto Nord-Sud. Ci sembra perciò corretto proporre alle Regioni a maggiore concentrazione industriale (Liguria, Piemonte, Lombardia, Veneto, oltre che la stessa Emilia-Romagna) — ha affermato il compagno Fanti — di ripensare in termini nuovi la funzione complessiva della valle Padana nei rapporti tra Nord e Mezzogiorno ed anche in riferimento al più ampio quadro della realtà degli altri Paesi della Comunità europea. E’ un discorso, questo, che naturalmente la Regione intende proporre a tutte le forze interessate: dalle altre Regioni del nord, al governo, all’imprenditoria pubblica e privata.”
La proposta veniva ulteriormente divulgata con la pubblicazione dell’articolo-intervista a Guido Fanti pubblicato da La Stampa del 6 novembre 1975: “Ma nascerà davvero la super regione della Padania? – Fanti spiega la sua proposta per una grande «lega del Po»”.
La “super-regione della Padania” di Guido Fanti fu prontamente osteggiata e accantonata perché ritenuta un’alleanza, una ‘super lega dei ricchi’, costituita egoisticamente, per una pretesa egemonia del Nord a svantaggio delle regioni povere del Sud.
Forse è opportuno non guardare troppo al passato, ma alcuni percorsi semplici e praticabili per arrivare all’autonomia regionale sono già stati perfettamente tracciati. Dal punto di vista politico, resta pertanto da capire perché, in tutti questi anni, i presidenti delle regioni del Nord, in particolare quelli leghisti della Lombardia e del Veneto, non abbiano considerato di rivalutare questa idea e costituire appunto dei coordinamenti come potrebbero essere le macroregioni del Nord-Ovest e del Nord-Est.
La ‘macroregione del Nord-Ovest’ recentemente proposta da Marco Bucci, presidente della Regione, sembrerebbe finalmente invertire questa tendenza, rappresentando un’opportunità significativa per promuovere una maggiore cooperazione tra le regioni di Liguria, Lombardia e Piemonte. Sarebbe auspicabile che anche il Veneto rispondesse con una proposta simile, la ‘macroregione del Nord-Est’, spostando l’attenzione dalle questioni di potere politico, suscitate dalle prossime scadenze elettorali regionali, verso un’analisi più ampia delle dinamiche territoriali.
Patto territoriale o alleanza politica?
Il patto tra Emilia–Romagna e Toscana, secondo quanto riportato nella lettera di intenti del 18 gennaio 2025, è nato per “la volontà di dare una cornice stabile alle relazioni interregionali per continuare e rafforzare la collaborazione attiva tra regioni confinanti e con numerosi aspetti di omogeneità e interdipendenza, nell’ambito di un percorso che, avviato da molti anni, ha visto le due Regioni cooperare attivamente su innumerevoli piani, specifici progetti e iniziative comuni”.
Sinceramente, lasciano un po’ perplessi i “numerosi aspetti di omogeneità e interdipendenza” tra le due regioni, considerate addirittura “gemelle” per alcuni limitati tratti linguistici (dialetti ibridi) derivanti dalla comunanza frontaliera appenninica.
Raffaele Piccoli, commentando la notizia del patto “tosco-emiliano”, ha opportunamente evidenziato come la base di questi accordi, prevalendo la “ragion di partito” sugli interessi del territorio, sia piuttosto da ricercare nell’obiettivo politico di costituire un “nocciolo duro” di regioni a guida PD, ovvero, una roccaforte elettorale da contrapporre partiticamente al “pentagono” nordista – Lombardia, Veneto, Piemonte, Liguria, Friuli-Venezia Giulia – saldamente in mano alla destra, piuttosto che in questioni di carattere territoriale.
Talvolta si obietta che anche Guido Fanti, nel contesto sociale ed elettorale degli anni ’70 orientato a sinistra, anche in Padania, volesse creare un blocco geopolitico di stampo social-comunista. A tale critica si può facilmente rispondere che il progetto di Guido Fanti era certamente più ampio, in quanto includeva anche il democristianissimo Veneto.
In realtà, è proprio in Emilia-Romagna che si è registrata in tempi recenti una specie di conversione dal “nordismo” autonomista ad una politica “centro-sudista”. Stefano Bonaccini, nel 2018, peraltro senza alcun preliminare referendum regionale consultivo, come invece si era tenuto in Veneto e in Lombardia, dopo un iter complesso, iniziato nel 2017, aveva sottoscritto insieme a Maroni e Zaia un protocollo di intesa con il governo Gentiloni per l’ottenimento delle autonomie ai sensi dell’art. 116 della Costituzione. Il PD di Elly Schlein, invertendo decisamente la rotta, si ricompattava con i 5Stelle in un “Fronte del No” per difendere il Sud dalla “secessione dei ricchi”, intravedendo nella cosiddetta autonomia differenziata addirittura “una minaccia per l’unità d’Italia”.
La “profetica” esercitazione del novembre 1993
Dal 9 all’11 novembre 1993, le prefetture e questure di Lombardia, Piemonte, Liguria e il comando della Regione militare del Nord Ovest, nell’esercitazione Ditex Superga 7, in un ipotetico scenario post-secessionistico, simularono un articolato attacco militare a una Padania, oramai staccatasi dall’Italia, divisa in due stati amici: i “verdi” (Piemonte, Liguria, Valle d’Aosta e Lombardia) e i “gialli” (Trentino, Friuli e Veneto), raggruppando negli attaccanti, i “grigi”, tutte le altre regioni. Si ritiene che sia stata la prima volta in cui ci si sia preparati ad affrontare una situazione di guerra civile interna e non contro un nemico proveniente dall’esterno del territorio italiano.
Si ebbe notizia dell’esercitazione soltanto il mese successivo (“Prove di golpe nella repubblica del Nord”, Corriere della Sera, 4 dicembre 1993; Il Viminale e la guerra civile” e “Ecco il wargame delle 3 Italie”, la Repubblica, 5 dicembre 1993) suscitando forti proteste da parte della Lega Nord (“Golpe simulato, Lega furente – Il Viminale: «Tutto regolare»”, Corriere della Sera, 5 dicembre 1993; “Ha la coda di paglia chi polemizza con le esercitazioni”, la Repubblica, 6 dicembre 1993). Umberto Bossi definì queste esercitazioni come “un’interferenza sulle elezioni, un avvertimento al Nord.”
È interessante notare che nel 1993 coloro che avevano predisposto questa esercitazione avevano ben chiaro il quadro geopolitico padano, in realtà non molto dissimile da quello attuale: due macroregioni da secoli divise dal fiume Adda, potenzialmente “amiche”, e l’Emilia-Romagna, ancorché padana in senso stretto, politicamente attratta dal centro-sud.
Un precedente anche per le altre Regioni del Nord
Dopo aver constatato che, allo stato attuale l’Emilia-Romagna, non ha intenzione di aderire al “fronte padano”, preferendo ancora mantenere rapporti basati su affinità politiche, è innegabile che l’idea di un patto “tosco-emiliano” si possa rivelare come un interessante precedente per promuovere analoghe cooperazioni tra le Regioni del Nord, senza dover seguire complicati e burocratici impianti legislativi, bensì attraverso tavoli di coordinamento su questioni cruciali come viabilità, trasporti, sanità e istruzione. Questo approccio pratico, non solo rafforzerebbe i legami effettivi tra le varie identità padane, ma costituirebbe anche una solida base per movimenti politici territoriali contemporanei in grado di affrontare le sfide moderne.
Mi auguro che, in tempi brevi, seguano altre intese per coordinare le regioni padane del Nord-Ovest e del Nord-Est. La strada è tracciata; ora si tratta solo di aggiungere all’azione politica una forte dose di pragmatismo e buona volontà.
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