Il metodo Donald Trump: dazi, annessioni e vendette. Dietro le minacce c’è una (sua) logica

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di
Viviana Mazza

Il tycoon sceglie di creare imprevedibilità per ottenere accordi migliori, la sua dottrina è stata definita«madman diplomacy» rievocando Nixon e Kissinger

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DALLA NOSTRA CORRISPONDENTE 
NEW YORK – Nella sua prima settimana alla Casa Bianca, Donald Trump ha minacciato di prendersi la Groenlandia e il Canale di Panama con le buone o con le cattive, di trasformare il Canada nel 51° Stato americano, di rinominare il Golfo del Messico «Golfo d’America», di imporre dazi contro chiunque, ma potrebbe — come si suol dire — esserci «method to his madness», una logica nella follia. 

Il metodo di Trump consiste nel «creare imprevedibilità, dire cose scandalose, aprire scontri diretti per apparire forte e ottenere l’accordo migliore, e si spera che riesca ad atterrare in una posizione ragionevole», osserva Michael Froman, ex rappresentante Usa per il Commercio di Barack Obama ed ex vice-consigliere per la Sicurezza nazionale di Bill Clinton che oggi guida il think tank Council on Foreign Relations di New York, in una intervista con il sito Politico.




















































La «dottrina Trump» è stata definita «madman diplomacy» (diplomazia del pazzo) in un recente editoriale dell’Economist, che rievoca Richard Nixon e la lezione di Henry Kissinger e che — come Froman — nota i possibili pro e contro di quest’approccio. Trump vede le relazioni internazionali come una lotta tra leader potenti che cerca di convincere un po’ adulandoli, un po’ minacciandoli. La domanda è se i suoi metodi non convenzionali serviranno ad ottenere obiettivi importanti oppure la loro distruttività sarà fine a se stessa.

Contro la Colombia la Casa Bianca ha dichiarato vittoria: domenica il presidente Gustavo Petro aveva annunciato sui social di aver rifiutato di far atterrare due «voli militari» carichi immigrati colombiani in catene, specificando che devono essere rimpatriati con «dignità»; Trump ha risposto sui social minacciando dazi del 25% (e fino al 50% dopo 7 giorni) devastanti per l’industria dei fiori colombiana alla vigilia di San Valentino, oltre restrizioni ai visti. In serata la Casa Bianca proclamava vittoria: la Colombia ha accettato i voli anche militari (i colombiani sostengono di avere garanzie sulla «dignità»). Ma la disputa stessa tra i due presidenti — un immobiliarista e un ex guerrigliero di sinistra, entrambi col grilletto facile sui social — ha sorpreso i rispettivi Paesi, perché è in vigore da anni un patto per il rimpatrio degli immigrati (due voli a settimana).

Ci sono «granelli di verità» dietro quello che dice Trump, osserva Froman. Per esempio sulla Groenlandia: la sicurezza dell’Artico è un problema, il che non significa che il metodo sia giusto. Trump sta usando il potere americano – economico e militare – per costringere un alleato della Nato, la Danimarca, a cedere un territorio. 

La Danimarca «sarebbe pronta a negoziare con gli americani… la sicurezza dell’Artico e qualunque altra cosa voglia l’Amministrazione Trump», afferma Ian Bremmer, politologo che guida l’Eurasia Group. «Adesso è più probabile che la Groenlandia voti per l’indipendenza in un futuro referendum, creando un suo accordo per la sicurezza con gli americani e minando in modo critico i rapporti tra Stati Uniti e Danimarca e con il blocco dei Paesi nordici». 

Quanto a Panama, il segretario di Stato Marco Rubio vi farà tappa nel suo primo viaggio all’estero tra pochi giorni e probabilmente – scrive David Sanger sul New York Times – oltre a riaffermare le alleanze «chiederà che il Trattato del Canale di Panama sia stracciato e che si torni a quello che aveva in mente Theodore Roosevelt nel 1903: il controllo americano». 

Da una parte «conquista l’attenzione», «tutti i leader mondiali vogliono sapere come fare ad arrivare a un accordo con lui», dice Froman, ma d’altra parte nel lungo periodo può danneggiare la credibilità della parola del presidente Usa e l’affidabilità dell’America come partner e spingere i Paesi ad alleanze diverse (la Colombia già pensava ai Brics con la Cina). Da una parte «conquista l’attenzione», «tutti i leader mondiali vogliono sapere come fare ad arrivare a un accordo con lui», ma d’altra parte nel lungo periodo può danneggiare la credibilità della parola del presidente Usa e l’affidabilità dell’America come partner e spingere i Paesi ad alleanze diverse (la Colombia già pensava ai Brics con la Cina).

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I dazi sono solo una leva negoziale in alcuni casi, ma in altri Trump parla sul serio perché vede nel surplus commerciale il segno che gli Stati Uniti vengono «fregati», che si tratti di Cina, Messico, dell’Unione europea o dell’India. Ora gli occhi sono puntati sulla nuova guerra commerciale con Pechino e sulle prossime mosse legate alla convinzione che la forza americana porterà alla pace con la Cina. Trump ha invitato Xi Jinping all’insediamento per metterlo in una posizione impossibile: accettando, sarebbe sembrato debole; rifiutando, scortese. Alla fine ha mandato il vice.

In Medio Oriente come in Ucraina non bastano 24 ore e Trump lo sa. Un suo cattivo patto per Kiev porterebbe a paragoni con l’abbandono dell’Afghanistan da parte di Biden e rafforzerebbe la Cina, l’Iran e la Nord Corea, nonché nuocerebbe alla sua reputazione di «maestro dell’accordo». Ma non è solo di Ucraina che vogliono parlare Putin e Trump: tra le minacce e adulazioni in questa prima settimana, entrambi danno segnali di voler discutere del controllo delle armi nucleari.

27 gennaio 2025 ( modifica il 28 gennaio 2025 | 07:10)

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