Occupazione suolo pubblico tra discrezionalità e bilanciamento degli interessi: due recenti sentenze

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Due recenti sentenze ci offrono lo spunto per affrontare il delicato tema dell’occupazione di suolo pubblico, spesso ricorrente sia nella prassi sia nella giurisprudenza.

In particolare, l’aspetto su cui si soffermano le pronunce segnalate riguarda la discrezionalità alla base dell’occupazione ed il bilanciamento degli interessi in gioco.

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Provvedimento autorizzazione a occupazione di suolo pubblico: la natura discrezionale

Tanto il Consiglio di Stato, sez. V, nella sent. 7 gennaio 2025, n. 87, quanto il TAR Lazio, Roma, sez. II stralcio, nella sent. 2 gennaio 2025, n. 56, hanno ribadito che il provvedimento di autorizzazione all’occupazione di suolo pubblico ha natura discrezionale[1], visto che l’ente concedente deve effettuare un bilanciamento degli interessi in gioco.

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Il perseguimento di un preminente interesse pubblico

In particolare, come evidenziato dal Consiglio di Stato nella sentenza richiamata, la sottrazione del bene pubblico all’uso collettivo (come una strada) in favore dell’uso privato, mediante il provvedimento di concessione del bene, deve essere giustificata dal perseguimento di un preminente interesse pubblico per l’ente e comunque non deve confliggere con altri interessi meritevoli di tutela.

L’amministrazione è tenuta a verificare che la concessione avviene nel perseguimento di un preminente pubblico interesse e che non si risolve nella lesione di altri pubblici interessi, al di là della comparazione tra l’interesse pubblico perseguito e quello privato; ne deriva che è legittimo negare il provvedimento di occupazione di suolo pubblico se il suo rilascio compromette l’interesse pubblico alla vivibilità dei cittadini o alla circolazione stradale.

Nel caso specifico affrontato dal Consiglio di Stato, si era dinanzi ad una richiesta di occupazione suolo pubblico che, laddove concessa, avrebbe determinato una distanza di 2,90 mt tra l’occupazione dello spazio pubblico con tavoli e sedie richiesta per l’attività di ristorazione e le finestre di un condominio poste al piano terra, il che evidenziava l’evidente turbamento dell’ambiente residenziale dei condomini e quindi della vivibilità delle abitazioni. Inoltre, la concessione dell’uso dell’area negata avrebbe ridotto lo spazio di manovra per accedere ai boxes del condominio e avrebbe richiesto per le auto ingombranti la necessità di effettuare più manovre, ed essendo la strada a fondo cieco e terminante davanti al condominio, la concessione della porzione di spazio pubblico antistante il condominio fino al termine della strada avrebbe provocato difficoltà di manovra e di inversione di marcia per i mezzi di soccorso.

Come evidenziato dai giudici del TAR Lazio, Roma, spetta, quindi, all’amministrazione contemperare i diversi interessi pubblici e privati che emergano nel provvedimento di occupazione del suolo pubblico; ciò comporta che il diniego di concessione dell’uso del suolo pubblico, richiesta per il soddisfacimento di un interesse privato, deve essere congruamente motivato, non essendo sufficiente una motivazione generica che non consenta di comprendere le ragioni del diniego.

Occorre condurre un’istruttoria caso per caso al fine di vagliare in concreto se sussistano i presupposti per consentire l’occupazione dello spazio pubblico, accertando se l’interesse privato posto a base dell’istanza non leda gli interessi pubblici che indefettibilmente vanno salvaguardati. L’adozione del provvedimento di diniego deve essere preceduta dalla comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento della domanda di OSP (art. 10-bis della legge n. 241/1990); la mancata comunicazione dei motivi ostativi impedisce all’istante di interloquire con l’amministrazione sul contenuto del provvedimento finale di diniego. Nel caso specifico affrontato dai giudici del TAR Lazio, nessuna comunicazione vi era stata prima del diniego: tale circostanza aveva determinato l’illegittimità del diniego stesso.

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Ulteriori aspetti rilevanti

L’ente può sempre stabilire limiti e modalità di utilizzo dell’occupazione di suolo pubblico, purché non manifestamente illogici o irragionevoli[2]: ad esempio, nel caso di concessione del suolo pubblico richiesta al fine dichiarato di effettuazione di attività di propaganda politica, secondo la giurisprudenza[3], è corretto l’operato dell’amministrazione nel richiedere, al fine di valutare l’assentibilità dell’istanza, una dichiarazione preventiva di adesione ai valori costituzionali dell’antifascismo e di ripudio del fascismo e del nazismo: così facendo, l’amministrazione ha bilanciato correttamente l’interesse privato della ricorrente a svolgere attività di propaganda politica con l’interesse pubblico a che ciò avvenga nel doveroso e consapevole rispetto dei valori costituzionali.

È escluso, inoltre, stante anche l’assenza di una esplicita previsione normativa in tal senso[4], che sull’istanza di occupazione di suolo pubblico possa operare l’istituto del c.d. silenzio-assenso[5], tenuto conto della sua natura concessoria, dei rilevanti interessi pubblici connessi alla corretta pianificazione del territorio[6] e delle insopprimibili ed ovvie esigenze di interesse pubblico al pieno controllo dell’ente comunale circa l’utilizzo delle proprie strade[7]. Come correttamente evidenziato, il procedimento concessorio presuppone l’esercizio di una potestà discrezionale anzitutto sull’an, che esclude in radice l’applicabilità del regime del silenzio-assenso[8].

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Note

[1] Una volta instauratosi il rapporto concessorio, l’Ente conserva comunque un’ampia discrezionalità, considerato che può procedere alla revoca della concessione di suolo pubblico per inadempimento, per mancato rispetto delle prescrizioni previste in materia di sicurezza stradale, per sopravvenuti motivi di sicurezza pubblica; per abusi, come nell’ipotesi in cui il concessionario abbia occupato una superficie maggiore di quella autorizzata.
[2] T.A.R. Campania, Salerno, sez. I, sent. 24 febbraio 2022, n. 550.
[3] T.A.R. Piemonte, sez. II, sent. 18 aprile 2019, n. 447.
[4] T.A.R. Emilia Romagna, Bologna, sez. II, sent. 3 febbraio 2022, n. 122.
[5] T.A.R. Lazio, Roma, sez. II ter, sent. 23 luglio 2021, n. 8905; sez. II, sent. 16 aprile 2020, n. 3994; T.A.R. Campania, Salerno, sez. II, sent. 23 giugno 2020, n. 712; T.A.R. Lombardia, Milano, sez. I, sent. 7 febbraio 2018, n. 350.
[6] T.A.R. Lazio, Roma, sez. II ter, sent. 12 luglio 2021, n. 8292 e n. 8303 e sent. 31 dicembre 2013, n. 11192; T.A.R. Lombardia, Milano, sez. I, sent. 7 febbraio 2018, n. 350; T.A.R. Puglia, Lecce, sez. I, sent. 12 marzo 2021, n. 389; T.A.R. Molise, sez. I, sent. 21 gennaio 2021, n. 16; T.A.R. Sicilia, Catania, sez. III, sent. 14 dicembre 2017, n. 2898; Consiglio di Stato, sez. V, sent. 9 maggio 2017, n. 2109; TAR Campania, Napoli, sez. III, sent. 3 giugno 2016, n. 3316.
[7] T.A.R. Lazio, Roma, sez. II ter, sent. 20 gennaio 2021, n. 841.
[8] Consiglio di Stato, sez. V, sent. 6 novembre 2019, n. 7564.

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